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Didattica a Distanza e Covid19, ci stiamo ponendo le domande giuste?

10/01/2021

Didattica a Distanza e Covid19, ci stiamo ponendo le domande giuste?

Contributo della Dottoressa Maria Cristina Gori, medico chirurgo specialista in Neurologia, laureata in Psicologia e specializzata in Psicoterapia, responsabile scientifica del corso di formazione “Imparare dal Covid-19. Le conseguenze psicologiche da isolamento e didattica a distanza”. 

“È meglio che mio figlio vada a scuola e rischi di contrarre il coronavirus o che io lo lasci a casa?”, “Se svolgessi educazione parentale durante il COVID sarebbe meglio?”, “Se non va a scuola ne risentirà a livello sociale?” , “E se poi sviluppasse paure?”, “Se si infettasse?”, “Se non crescesse come gli altri?”

Queste sono le principali domande che i genitori hanno chiesto e chiedono durante il periodo pandemico, immaginando che ci sia una risposta giusta e una risposta sbagliata.

Vediamo perché è la domanda ad essere incongrua e non la risposta. Infatti, come insegnano i cognitivisti più acclarati, ad una domanda incongrua non può seguire una risposta razionale.

Anzitutto non esiste una risposta giusta ed una sbagliata di per sé. Questo perché davanti ad una evidenza di imprevedibilità inerente vari aspetti della pandemia, immaginare di compiere previsioni con alta affidabilità è fuorviante .Troppe sono a tutt’oggi le domande ancora aperte: incertezza sulla fine della pandemia, incertezze sulla durata dell’efficacia dei vaccini, incertezza sull’efficacia delle strategie politiche preventive a medio e lungo termine, incertezze inter-regionali sull’indice Rt. Nello stesso tempo, le pregresse incertezze che fino a qualche mese fa costituivano motivo di ansia, come i meccanismi fisiopatologici responsabili della malattia a livello clinico, incertezza sul tipo di terapia, incertezza sulle misure protettive, sembrano aver ottenuto risposte più esaustive.

“Dinanzi alla imprevedibilità è solo possibile osservare nel tempo i fenomeni,
misurarli e monitorarli prima di fornire le risposte più plausibili, anche se mai perfette. “

Infatti anche nel miglior disegno sperimentale scientifico non esiste mai certezza assoluta, ma piuttosto si parla di probabilità, cercando di individuare un margine di incertezza o di risposta dovuta al caso inferiore ad un certo livello percentuale, generalmente accettabile se inferiore all’uno o al 5% dei casi osservati. Ciononostante l’uomo continua a cercare la certezza assoluta, anche arrivando a coltivare ogni sorta di cose che darebbero la sensazione di certezza (Dewey, 1929), finanche il ricorso a tesi complottistiche, o al contrario negazioniste, purché abbiano la capacità di spiegare più fenomeni possibili. E sono sempre le condizioni di incertezza a produrre rilevanti fenomeni collettivi come la paura di massa, la messa in atto di comportamenti antisociali (contro untori o autorità), ma anche a promuovere comportamenti prosociali, come il sostegno reciproco e la solidarietà.

Nel tentativo di rispondere alle prime domande sopra esposte l’essere umano è portato automaticamente a cercare una risposta in tutti i modi possibili. Nella pandemia da coronavirus il mezzo principalmente utilizzato è stato proprio il mezzo informatico, con il rischio di non riuscire a differenziare le fonti autorevole dal rumore o dalla distorsione dell’informazione.

Il corso “Imparare dal Covid-19. Le conseguenze psicologiche da isolamento e didattica a distanza” ha un obiettivo rilevante, che è quello di parlare della didattica a distanza con i mezzi della didattica a distanza, fornendo sul campo esempi pratici di tutte quelle esperienze negative che nel passato hanno determinato catastrofi mediatiche, come il caso in cui Orson Welles, nel corso di un grande esperimento sociale nel 1938 negli Stati Uniti, pur informando i telespettatori che sarebbe stato letto un brano tratto da “la guerra dei mondi” nel corso di un comune programma televisivo, ha scatenato un panico collettivo di portata gravissima. Lo stesso Orson Welles così ne parla: “Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottovalutato l’estensione della vena di follia della nostra America”. Il potere della parola continua ad avere un ruolo determinante, ulteriormente potenziato dai mezzi di informazione attuale che, se da una parte costituiscono una arma di disinformazione, dall’altra, se correttamente utilizzati possono invece rappresentare un mezzo potente per raggiungere chiunque, fornire informazioni corrette, avvicinare umanità distanti.

Walker, nel 2016, così anticipava gli effetti della pandemia sui mezzi informatici: “Quando la prossima grande pandemia colpirà, sarà accompagnata da qualcosa di mai visto nella storia dell’umanità: una esplosione di miliardi di test, tweet, mail, blog, foto e video che attraversano i computer e i dispositivi mobili del pianeta. Alcuni di questi miliardi di parole e immagini saranno informazioni utili, ma molti saranno pieni di voci, insinuazioni e disinformazioni, affermazioni ipersensazionalistiche. Di conseguenza centinaia di milioni di persone riceveranno affermazioni non corrette ed errate, orientamenti non qualificati che, se agiti, potrebbero mettere in pericolo la propria salute, danneggiare le economie e compromettere la stabilità delle loro società».

Quindi, da una parte il potere della parola resta più influente di prima. E dall’altra parte la necessità di porre le domande sulla didattica all’interno di un nuovo contesto globale che consideri come la nostra vita sia stata modificata e si stia modificando.

Ecco quindi che non è possibile rispondere alle prime domande di questo articolo senza considerare tutte le altre implicazioni della pandemia a livello psicologico individuale e collettivo. La domanda più corretta sarebbe: “Esisteranno implicazioni della pandemia attuale sulle nuove generazioni ? Il distanziamento sociale, l’uso delle mascherine chirurgiche, la paura, l’ansia, l’isolamento che noi proviamo avranno effetti sui giovani e sui bambini?” E solo dopo ci si può chiedere se la didattica a distanza funziona, non funziona, è efficace, non lo è. Se le condizioni di vita cambiano non è possibile estrapolare una domanda in modo assoluto senza considerare le modificazioni dell’assetto di vita. Il cambiamento delle condizioni di vita rappresentano delle co-variabili imprescindibili per rilevare l’efficacia dell’educazione. Come possiamo ancora insegnare i valori se manca la speranza? Come possiamo trasmettere la fiducia in se stessi se noi adulti abbiamo perso la voglia di sognare? E’ evidente che ciò prescinde dal mezzo con cui insegniamo.

Il corso che proponiamo vuole rispondere ad alcune domande per le quali è possibile rispondere, fornendo le informazioni scientifiche attualmente disponibili in merito agli effetti del distanziamento sociale sulle giovani generazioni, a partire da quegli studi sulla deprivazione sociale noti in psicologia. Come hanno vissuto gli studenti il primo lockdown? Quali sono state le loro paure? Cosa si aspettano per il futuro? E’ cambiata la loro fiducia in sé stessi, nel mondo, nella vita?
Il corso presenterà i risultati dei diversi sondaggi e raffigurerà il mondo che verrà, così come immaginato dalle giovani generazioni.
Inoltre vuole fornire le informazioni relative alla percezione dell’efficacia della didattica a distanza da parte di diversi attori: studenti, famiglie ed insegnanti. Ancora una volta è importante sottolineare che il vissuto di queste categorie in merito alla DAD è notevolmente differente, come in quella metafora in cui tre ciechi toccano tre parti di un elefante, ma nessuno è in grado di riconoscere l’animale intero.

Ecco quindi che le domande “È meglio che mio figlio vada a scuola e rischi di contrarre il coronavirus o che io lo lasci a casa?” e le altre devono essere riformulate a partire dal proprio vissuto, indipendentemente dal ruolo che si svolge, di genitore, educatore, politico, a partire dalla percezione del proprio potere che è il potere di di rialzarsi, di provare entusiasmo, speranza e gioia di vivere. Solo se ritroviamo questo potere troveremo le parole per trasmettere agli altri. E probabilmente troveremo parole diverse e mezzi diversi, perché “se vogliamo che le cose cambino davvero, allora dobbiamo ascoltare parole differenti” (R. Saviano).