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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia sulla Malpractice

22/03/2018

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia sulla Malpractice

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha enunciato un interessante principio relativo alla responsabilità dello Stato in relazione ai danni da malpractice.

La pronuncia è avvenuta in relazione ad un caso sollevato da una cittadina portoghese (sentenza del 19 dicembre 2017 su ricorso 56080/13), il cui marito era deceduto dopo qualche mese da un intervento chirurgico di routine, a seguito di una serie di negligenze mediche.

Il ricorso era stato avanzato con riferimento alla violazione dell’art. 2 (Diritto alla Vita) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, poiché si sosteneva che il paziente fosse deceduto a causa della negligenza dello staff medico.

La ricorrente, inoltre, sosteneva che, utilizzando i mezzi interni di tutela, non era riuscita a comprendere le cause effettive del peggioramento e poi del decesso del coniuge, lamentando così anche la violazione degli articoli 6 e 13 della Convenzione, con riferimento alla durata e all’esito del processo.

La CEDU ha ritenuto che, nel caso di specie, la questione da analizzare riguardasse non il diniego di terapie o trattamenti sanitari necessari al paziente, ma l’effettiva negligenza dello staff che lo aveva curato. Dunque, ha precisato che lo Stato non avrebbe potuto essere responsabile dell’eventuale imperizia del servizio sanitario, avendo “solo” l’obbligo, al fine di tutelare il diritto alla vita, di creare un quadro normativo all’interno del quale gli operatori sanitari possano essere messi in condizione di lavorare efficacemente. Dagli atti non emergevano lacune o problematicità rispetto a tali obblighi dello Stato.

Ciò posto, però, la Corte si è soffermata sull’analisi del procedimento avviato internamente dalla ricorrente, con lo scopo di accertare la negligenza dello staff medico. Emergevano, ripercorrendo l’iter processuale, diverse lacune e lentezze del sistema processuale che non avevano garantito una risposta adeguata e tempestiva alle richieste della donna. Dunque si rilevava l’esistenza di una violazione procedurale, ma non sostanziale, dell’articolo sul Diritto alla Vita della Convenzione. Il quadro normativo per la garanzia del Diritto alla Vita era stato ritenuto adeguato, ma le inefficienze procedurali sono state ritenute troppo influenti vista l’azione di tutela richiesta.

Il giudizio si è concluso con una condanna a carico del Portogallo per violazione procedurale dell’art. 2, che ha comportato un risarcimento per danno non patrimoniale in favore della ricorrente. Aldilà della condanna, emerge da questa sentenza un principio importante: anche quando il quadro giuridico in cui esercitano i professionisti del settore sanitario è adeguato, lo Stato, in caso di malpractice, anche solo sospetta, deve essere in grado di garantire al cittadino la verifica tempestiva e puntuale degli eventi e la tutela adeguata, nelle opportune sedi processuali.