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I rischi dell’ambiente di lavoro che espongono i medici alle aggressioni

03/04/2018

I rischi dell’ambiente di lavoro che espongono i medici alle aggressioni

Come nascono le aggressioni ai medici e in quale misura i rischi dipendono dai luoghi di lavoro?

La domanda potrebbe sembrare provocatoria, ma non lo è affatto: i nostri medici sono ormai costretti a operare in condizioni di pericolo costante.

Infatti, secondo dati Inail, confermati dal Ministero della Salute, ogni anno si registrano 1200 episodi di violenza nei confronti degli operatori della Sanità, e nel 70% dei casi le vittime sono donne, soprattutto guardie mediche.

Le caratteristiche del luogo di lavoro che mettono più a rischio i medici in assoluto sono l’accesso senza restrizione di visitatori nelle strutture sanitarie, le sale congestionate a causa di lunghe file d’attesa, la generale carenza di personale. Di conseguenza, i luoghi più esposti a rischio sono quelli che hanno la maggiore affluenza di pazienti e sempre meno personale medico sanitario e di sorveglianza per gestirli. È in queste situazioni di esasperazione, e spesso di degrado e abbandono, che si scatenano nella maggior parte dei casi atti di violenza.

Molte associazioni di medici, ordini e sindacati negli ultimi mesi hanno lanciato un appello, affinché la situazione vessatoria in cui operano gli operatori sanitari trovi l’adeguato livello di attenzione e soprattutto risposte concrete.

I fenomeni di violenza, infatti, non nascono per caso, ma in precisi contesti caratterizzati da fattori che rappresentano veri e propri rischi a cui vengono esposte le persone che frequentano le strutture sanitarie:

  1. L’aumento di pazienti con disturbi psichiatrici acuti e cronici dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali, che non vengono seguiti e monitorati al di fuori delle strutture;
  2. La diffusione del fenomeno di abuso di alcol e droga che può rendere gli individui particolarmente aggressivi, quando mossi dalla ricerca di medicinali o prescrizioni;
  3. L’accesso senza restrizione di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali, in cui non sono presenti controlli, custodi o guardie all’ingresso;
  4. Lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, con aumento della frustrazione in pazienti e accompagnatori;
  5. Ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività (trasporto dei pazienti, visite ed esami diagnostici);
  6. Servizi di assistenza in luoghi dislocati sul territorio che possono restare isolati, senza telefono o altri mezzi di segnalazione/allarme, quali i presidi territoriali di emergenza o continuità assistenziale;
  7. Mancanza di formazione del personale medico-sanitario nel riconoscimento e controllo dei comportamenti ostili e aggressivi;
  8. Scarsa illuminazione e videosorveglianza e delle aree di parcheggio e delle strutture.

Da segnalare, inoltre, che i medici e gli operatori più a rischio sono quelli che operano nelle seguenti aree:

  1. La rete di emergenza-urgenza;
  2. Strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali;
  3. Luoghi di attesa;
  4. Servizi di geriatria;
  5. Servizi di continuità assistenziale.

Queste e altre utili informazioni sono contenute nel corso FAD del provider ECM 2506 Sanità in-Formazione dal titolo Rischio aggressione nel luogo di lavoro, realizzato in partnership con Consulcesi Club e on line gratuitamente sul sito www.corsi-ecm-fad.it.
Parallelamente, abbiamo lanciato la campagna social, curata dall’agenzia di comunicazione Docta, con cui chiediamo di cessare le aggressioni ai medici con l’hashtag #koaggressioniaimedici.