La piccola A, figlia dei coniugi B e C, al terzo mese di vita viene sottoposta alla vaccinazione esavalente, nella giornata di venerdì.
La notte tra venerdì e sabato la bambina inizia ad avere la febbre, tant'è che i genitori, allarmati, non essendo il PLS disponibile nella giornata del sabato, si recano presso il locale pronto soccorso, ove i sanitari, tuttavia, non rilevano nulla di anomalo, trattandosi di una normale reazione al vaccino.
La vicenda clinica: cosa è successo dopo il vaccino esavalente
Dopo il richiamo vaccinale, la bambina accusa nuovamente febbre, come in occasione della prima dose; tuttavia, alla febbre del venerdì notte (anche in questo caso, il vaccino è stato somministrato il venerdì) si unisce un malessere della piccola, che si protrae per i due giorni successivi, tant'è che la domenica i genitori, constatato che la piccola non riusciva a dormire e aveva il respiro affannoso, si recano nuovamente al locale pronto soccorso, dove arrivano alle 11.18.
Una volta effettuato il triage, i sanitari rilevano un indice di saturazione dell'87%; si procede, perciò, a un consulto pediatrico, all'esito del quale la diagnosi è di stress respiratorio, con consigliata rx torace e ricovero in pediatria.
Il pediatra che effettua il consulto, dott. D, tranquillizza i genitori dicendo che la situazione si sarebbe potuta trattare anche a casa ma che lui preferiva, comunque, ricoverare la piccola A per effettuare la terapia sotto monitoraggio medico.
Dopo l'ecografia toracica, la bambina veniva tempestivamente ricoverata in pediatria alle 11:31, con dispnea e saturazione all'88%; la bambina veniva collocata in una stanza insieme alla madre, le veniva prelevato il sangue e le veniva somministrato cortisone, antibiotico e ossigeno con sondino nel naso.
Si procedeva, inoltre, ad avviare il monitoraggio costante della frequenza cardiaca e della saturazione dell'ossigeno.
Il macchinario cui era attaccata la piccola emetteva suoni continui, tant'è che a un certo punto una delle infermiere, alla presenza del dottor D, lo ha silenziato abbassando la suoneria dei sensori, spiegando alla mamma che siccome si trattava di un macchinario per adulti e non per bambini, nel caso di specie non funzionava bene.
Alle 13:00, dopo l'allattamento, la piccola A si addormenta; il dottor D spiega alla mamma che bisognava aspettare che i farmaci facessero effetto, dopodiché si allontana dalla degenza e si reca nello studio dei medici.
La mamma rimane con la bambina, e segnala più volte alle infermiere che l'affanno continuava e che la bambina era fredda, ricevendo come risposta che i farmaci dovevano fare effetto.
La bambina, per essere riscaldata, viene avvolta in una coperta.
Alle ore 14:00 la percentuale di saturazione della bambina era del 95%.
Nell'intervallo orario tra le 14:00 e le 16:00 un'infermiera si “affacciava” per due volte nella stanza, constatando che sia la piccola che la madre riposavano.
Alle 16:00 circa l'infermiera incaricata di somministrare alla piccola A la puntura intramuscolo di antibiotico, notava che non vi era né pianto né reazione all'ago; allarmata, chiamava immediatamente il dottor D. che, constatata la cianosi e l'arresto cardiaco della piccola, iniziava un massaggio cardiaco urlando all'infermiera di chiamare gli anestesisti e applicando la maschera per la ventilazione.
A questo punto, la signora B veniva allontanata dalla stanza.
Intervenivano gli anestesisti, che intubavano la piccola e praticavano la ventilazione meccanica; alle ore 18:00, tuttavia, la piccola A decedeva.
Eseguita l'autopsia, emergeva che la piccola era deceduta per una polmonite interstiziale atipica che ha provocato un ispessimento interstiziale che ha impedito all'aria di penetrare negli alveoli, determinando un'impossibilità agli scambi gassosi, con conseguente insufficienza respiratoria acuta e decesso.
Le responsabilità mediche secondo la normativa e la giurisprudenza
Il caso della piccola A si è verificato sotto la vigenza del Decreto Balduzzi (D.L. n. 158/2012, successivamente abrogato nel 2017), in virtù del quale l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
Difatti, la difesa del dottor D ha tentato, durante tutto il processo, di dimostrare la non gravità della colpa del pediatra, costituita, secondo l'accusa, dalle seguenti condotte:
- non avere effettuato una emogasanalisi, che avrebbe permesso, tramite prelievo arterioso, di determinare i valori nel sangue di PO2 (ossigenazione) e di PCO2 (ventilazione alveolare), così consentendo di diagnosticare e di quantizzare la insufficienza respiratoria nella paziente,
- non avere vigilato sul malfunzionamento e sul silenziamento della suoneria del saturimetro, pur posto in essere da un'infermiera, rientrando nella sfera di controllo sanitario del pediatra,
- non avere costantemente controllato, il livello di ossigenazione della bimba, poiché, una volta verificata tempestivamente la insufficienza respiratoria, si sarebbe potuto e dovuto attivare immediatamente la ventilazione meccanica.
Secondo costante orientamento della Cassazione, al fine di valutare il grado della colpa, l'entità della violazione delle prescrizioni va rapportata proprio agli standard di perizia richiesti dalle linee guida, dalle virtuose pratiche mediche o, in mancanza, da corroborate informazioni scientifiche di base.
Quanto maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa; e si potrà ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato definito dalle standardizzate regole d'azione (così Cass. Pen. Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013).
Secondo i giudici di primo e secondo grado, facendo applicazione di questo principio alla vicenda della piccolissima A, in seguito all'avvenuto silenziamento della suoneria del saturimetro ci si sarebbe dovuti costantemente accertare dei valori e delle condizioni di salute della bambina, non essendovi a disposizione dati certi sull'ossigenazione della piccola.
Per quanto concerne il nesso causale tra le condotte omissive del dottor D e la morte della piccola A, i periti hanno confermato che se fosse stata praticata un'adeguata ossigenoterapia attraverso ventilazione meccanica, con altissima probabilità, quasi vicina alla certezza, la bambina avrebbe superato il momento di grande difficoltà respiratoria, e non sarebbe morta.
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La sentenza definitiva: medico condannato per omicidio colposo
Il dottor D è stato ritenuto, per tre gradi di giudizio, responsabile dell'omicidio colposo, con colpa sanitaria, della piccola A, con condanna alla pena detentiva (con sospensione condizionale) e al risarcimento del danno nei confronti dei genitori della piccola.
A seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, inoltre, il dottor A è stato condannato al pagamento delle spese processuali del terzo grado di giudizio, pari a tremilanovecento euro, e al pagamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.