La prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego

La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre in costanza di rapporto dal momento della loro progressiva insorgenza o dalla sua cessazione per quelli originati da essa.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è espressa recentemente sulla questione dell’individuazione del termine di prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego contrattualizzato, che ha quindi trovato la sua definitiva risoluzione a seguito della pubblicazione della sentenza n. 36197 dello scorso 28/12/2023.

Vediamo il caso

La questione trae origine dalla richiesta di un dipendente del comparto istituzioni di enti pubblici di ricerca e sperimentazione che, dopo essere stato assunto a tempo indeterminato a seguito di procedura di stabilizzazione conseguente ad una serie di contratti a tempo determinato, invocava il riconoscimento dell’anzianità di servizio fin da principio, invero negata dall’ente di riferimento con azzeramento di quella maturata nel corso dei pregressi rapporti a termine.

La Corte di appello, rigettando il gravame interposto dall’Inail, confermava da un lato il giudizio di infondatezza dell'eccezione di prescrizione dei crediti retributivi, dovendo decorrere dalla data di stabilizzazione del rapporto di lavoro, riconoscendo dall’altro il diritto all'anzianità di servizio maturata nel periodo anteriore alla stabilizzazione, in applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE.

La questione sottoposta alle Sezioni Unite

Proposto ricorso per Cassazione da parte dell’Inail, la Sezione Lavoro ha quindi rinviato la questione, ritenuta di massima importanza, al Primo Presidente per la rimessione alle Sezioni Unite.

Nello specifico, veniva sottoposta alla Corte, nella sua massima espressione collegiale, la decisione circa la decorrenza, nel pubblico impiego contrattualizzato, della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori assunti a seguito di procedura di stabilizzazione, dopo lo svolgimento di rapporti di lavoro regolari e dotati di stabilità reale.

Venivano quindi posti i seguenti quesiti:

  1. a) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell'ultimo, come accade nel lavoro privato;
  2. b) se, nell'eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita da stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione;
  3. c) se la prescrizione dei crediti retributivi, nell'ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la P.A. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti.

La soluzione proposta dalla Corte

Il potenziale contrasto nasceva dal fatto che, mentre per il rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, la giurisprudenza prevalente aveva individuato il decorso del termine di prescrizione dei diritti contributivi dal momento della loro progressiva insorgenza (in costanza di rapporto), ovvero dalla cessazione per quelli che invece traevano origine da quest’ultima; nel rapporto di lavoro privato a tempo indeterminato veniva invece ricondotto al momento della cessazione del rapporto, da cui la verifica se una tale soluzione potesse applicarsi anche al settore pubblico.

La Corte ha quindi osservato che, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, viene in rilievo l’art. 97 Cost. che, di fatto, prevede la tutela del buon andamento e la imparzialità della amministrazione pubblica, per cui non è possibile individuare quella situazione di soggezione psicologica del soggetto nei confronti del potere statale, essendo garantita la stabilità del rapporto attraverso una serie di misura attivabili anche a garanzia degli interessi collettivi.

La validità del caso

Questo ragionamento – a detta della Corte – rimane valido anche in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato dal momento che l’eventuale mancato rinnovo integra, tutt’al più, una “mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica”, mentre in caso di illegittimità del recesso, è prevista già ampia possibilità di tutela invocando la condanna al pagamento delle retribuzioni dovute ed al risarcimento del danno.

Pertanto, a seguito di approfondito excursus giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno dunque avallato l’orientamento giurisprudenziale prevalente, ribadendo il principio secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato deve decorrere sempre – tanto in caso di rapporto a tempo indeterminato, tanto di rapporto a tempo determinato, così come di successione di rapporti a tempo determinato – in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), attesa l’impossibilità di configurare un fondato timore nel lavoratore.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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