Il tema del fine vita è tornato con forza al centro del dibattito politico e pubblico in Italia. Lo scorso 1° luglio 2025, la Commissione Affari Sociali della Camera ha approvato il testo base del disegno di legge che regolerà la possibilità di interrompere i trattamenti sanitari che tengono in vita i pazienti in condizioni irreversibili. Si tratta di un passaggio importante, che però non spalanca le porte all’eutanasia come avviene in altri Paesi europei.
Ma cosa prevede davvero questa legge e quali conseguenze avrà per i malati terminali? Cerchiamo di capire insieme i punti principali.
Il diritto di dire basta ai trattamenti di sostegno vitale
Secondo il nuovo disegno di legge sul fine vita, chi è pienamente lucido e capace di intendere e di volere potrà scegliere di rifiutare trattamenti di sostegno vitale, come la ventilazione meccanica o l’alimentazione artificiale.
In pratica, se una persona si trova in una condizione di malattia irreversibile, potrà chiedere di interrompere le cure che prolungano la vita in modo artificiale. Il medico sarà obbligato a rispettare questa decisione, anche quando sia stata espressa tramite il testamento biologico (le cosiddette DAT, Dichiarazioni Anticipate di Trattamento).
Tuttavia, c’è un limite molto chiaro: il Servizio Sanitario Nazionale non potrà fornire né acquistare per il paziente il farmaco letale. Chi desidera farla finita dovrà quindi provvedere in autonomia a reperire il medicinale che interrompe la vita.
Il ruolo delle cure palliative
La legge punta molto sulle cure palliative, considerate essenziali per garantire un accompagnamento dignitoso e ridurre la sofferenza nei momenti finali.
Ogni paziente dovrà ricevere informazioni complete sulla possibilità di accedere a terapie di sollievo dal dolore e sedazione profonda. In altre parole, chi decide di rinunciare ai trattamenti potrà comunque essere seguito con cure palliative e assistenza domiciliare, per non restare solo davanti alla malattia.
Questo approccio rispecchia la linea che l’Italia ha seguito negli ultimi anni: aiutare le persone a vivere con dignità fino alla morte naturale, senza ricorrere all’eutanasia attiva.
Le differenze rispetto all’eutanasia e al testamento biologico
Molte persone si stanno chiedendo se questa legge legalizzi di fatto l’eutanasia o il suicidio assistito. La risposta è no.
La nuova normativa sul fine vita non introduce l’eutanasia, perché non consente ai medici di somministrare sostanze letali. E non prevede che sia lo Stato a fornire questi farmaci.
Rispetto al testamento biologico, già regolato dalla legge 219 del 2017, il nuovo testo specifica meglio le procedure per interrompere i trattamenti e i tempi entro cui i medici devono pronunciarsi. Tuttavia, resta ferma la distinzione: il testamento biologico serve a comunicare in anticipo le proprie volontà, mentre la nuova legge stabilisce come applicarle concretamente in presenza di una malattia irreversibile.
Critiche e reazioni politiche
L’approvazione del testo base ha subito acceso il dibattito. Le forze di governo, in particolare Fratelli d’Italia e Lega, hanno difeso una linea più restrittiva per evitare derive eutanasiche. Al contrario, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra hanno criticato la norma, sostenendo che non garantisce un vero diritto di scelta e lascia troppe responsabilità pratiche ed economiche sulle spalle dei pazienti e delle famiglie.
Anche le associazioni per i diritti civili hanno espresso delusione, parlando di una legge che di fatto “scarica” sui cittadini il peso di procurarsi i farmaci e di organizzare l’intero percorso.
Cosa cambia per i malati terminali
Se il disegno di legge verrà approvato definitivamente, i malati terminali avranno almeno due certezze:
- Potranno rifiutare i trattamenti che tengono in vita e chiedere di interromperli.
- Saranno tutelati nel diritto di ricevere cure palliative e assistenza fino alla morte naturale.
Ma chi desidera porre fine alla propria vita in modo attivo dovrà comunque organizzarsi in modo autonomo, perché l’eutanasia non sarà prevista né sostenuta dal sistema sanitario pubblico.
La proposta di legge sul fine vita rappresenta sicuramente un passo in avanti per definire regole più chiare sul tema del diritto di scelta nelle fasi finali della vita. Ma allo stesso tempo conferma una posizione di prudenza: in Italia, a differenza di Paesi come Belgio e Olanda, l’eutanasia resta fuori dal quadro normativo.
Nei prossimi mesi, il testo affronterà la discussione in Aula e potrebbe essere modificato con emendamenti che allarghino o restringano ulteriormente le possibilità per i pazienti.