Retribuzione individuale di anzianità, è illegittimo il blocco delle maggiorazioni

Nell’ultima pronuncia della Corte Costituzionale, si è dichiarata l’illegittimità dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che aveva precluso ai dipendenti pubblici la possibilità di ricevere le previste maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità (cd. RIA) con riferimento al triennio 1991-1993. Vediamo i dettagli

È di qualche mese fa la notizia che la Corte Costituzionale, intervenendo su una disputa ormai trentennale, con la sentenza n. 4/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che, agendo retroattivamente, aveva precluso ai dipendenti pubblici la possibilità di ricevere le previste maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità (cd. RIA) con riferimento al triennio 1991-1993.

Le previsioni normative in questione

Il D.P.R. n. 44/1990, raccogliendo le indicazioni contenute nell’accordo sindacale del 26/09/1989 per il personale ministeriale e degli altri enti indicati dall’art. 2 del D.P.R. 68/86, aveva stabilito il riconoscimento di alcune maggiorazioni della RIA per coloro che, alla data del 1° gennaio 1990, avessero acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio o che avessero maturato detto quinquennio nell'arco della vigenza contrattuale.

Nello stesso disposto normativo veniva enunciato il raddoppio o la quadruplicazione delle somme dovute a titolo di maggiorazione della RIA per il personale che, sempre durante la vigenza contrattuale, avesse maturato, rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni. Successivamente, questo beneficio veniva prorogato, grazie all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, al triennio 1991-1993, con scadenza al 31 dicembre 1993 del termine originariamente fissato al 31 dicembre 1990.

Visto il prolificare di contenziosi provocati dal diniego amministrativo al riconoscimento delle maggiorazioni per coloro che avevano maturato i requisiti entro il termine successivamente prorogato, si assisteva all’introduzione dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Quest’ultima previsione normativa intendeva quindi affermare che, fatti salvi i giudicati già intervenuti, la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 - 31 dicembre 1990, non avrebbe potuto modificare la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità.

La decisione della Corte Costituzionale

Della questione di legittimità costituzionale si faceva portatore il Consiglio di Stato, che censurava il disposto di cui al richiamato art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ritenendo che seppur formulato in termini astratti appariva in realtà preordinato “a condizionare, con l'efficacia propria delle disposizioni interpretative, l'esito dei giudizi ancora in corso in quella materia”.

La Corte ha quindi, nel merito, osservato che, vista l’assenza nell'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, di qualsiasi riferimento testuale da cui desumere la volontà espressa del legislatore di escludere l’operatività della disciplina sulla RIA nel triennio 1991-1993, il successivo art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, escludendo siffatta eventualità, aveva in sostanza attribuito retroattivamente alla precedente norma un significato non previsto dal suo testo.

In dichiarata sinergia con i principi riconosciuti dalla CEDU, la Corte ha dunque individuato i connotati tipici di un uso distorto ed improprio del potere legislativo, sottolineandone la finalità precipua di porre un freno all’orientamento giurisprudenziale favorevole agli interessi dei lavoratori, nella consapevolezza che questo avrebbe comportato una sempre maggiore diffusione del contenzioso promosso per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993.

L’unica ragione giustificatrice di questo intervento normativo veniva quindi rinvenuta, anche alla luce del contenuto dei lavori preparatori, nella manifesta esigenza di garantire allo Stato un risparmio di spesa che, come tale, viene però considerato insufficiente a legittimare l’intervento del legislatore.

Per questo motivo, la Corte Costituzionale ha quindi concluso affermando che “la disposizione in questione, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell'ordinamento giuridico di cui all'art. 3 Cost.”

Conclusione

Alla luce dei principi dettati da questa recente pronuncia di incostituzionalità, rimane allora da verificare, caso per caso e previa verifica da parte di professionisti esperti in materia, quali siano i soggetti che, in possesso dei requisiti per il riconoscimento della maggiorazione RIA, possano ancora richiedere il pagamento del credito maturato, con conseguente ricalcolo degli effetti ai fini previdenziali, tenuto conto dei limiti prescrizionali sanciti dalla nostra Corte Costituzionale in tema di crediti retributivi nel pubblico impiego privatizzato.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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