Quando l’omesso consenso informato diventa condanna per omicidio in capo al medico

La sentenza 48944/2022 della Suprema Corte di Cassazione ha condannato per omicidio un medico che ha omesso il consenso informato e ha somministrato ai pazienti in fase terminale trattamenti palliativi o eutanasici.

Sommario

  1. Quale la massima e quali i principi ribaditi in sede di decisione?
  2. Il Consenso Informato e i principi affini
  3. Dalla violazione del “consenso informato” alla riflessione: esiste davvero una buona morte?

Emessa il 30 dicembre 2022 e depositata il 23 dicembre con tutte le motivazioni addotte, la sentenza n. 48944/2022 ha condannato un medico per il reato di omicidio. Il professionista sanitario, ritenuto responsabile di omicidio volontario, somministrava cure palliative o eutanasiche a diversi pazienti ricoverati in gravi condizioni, senza informarli in alcun modo e senza che le stesse cure venissero da loro richieste.

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito e rimarcato l’importanza del consenso informato ai sensi delle leggi 38/2010 e 219/2017, insieme a tutti i presupposti principi fondamentali del caso.

Quale la massima e quali i principi ribaditi in sede di decisione?

"Il paziente ha il diritto di conoscere tutti i dati e gli elementi disponibili sulla propria salute sulla propria malattia e deve avere la possibilità di scegliere, in modo libero e consapevole, se sottoporsi a una determinata terapia un determinato esame diagnostico. Tale consenso (espresso dall'interessato da chi, se del caso, legittimamente lo rappresenta) costituisce il fondamento della liceità dell'attività sanitaria. Il fine della richiesta di consenso informato è esattamente quello di promuovere l'autonomia e libertà di scelta dell'individuo nell'ambito delle decisioni mediche che riguardano la sua persona."

La condanna è scaturita proprio dal fatto che l’imputato si era intestato il diritto di attuare nei confronti dei pazienti – non informati – pratiche di tipo terapeutico non convenzionale in modo del tutto arbitrario. Il tutto, non al fine di rispondere a una determinata richiesta del paziente, ma solo per dare ascolto alla sua convinzione su chi, in quel momento, meritava di vivere e chi di morire.

Il Consenso Informato e i principi affini

La Corte di Cassazione, nell’analisi del caso e per la sua risoluzione, si è rifatta a principi basilari e conclamati nella professione medica che ne rappresentano l’ABC e la ragione del giuramento d’Ippocrate. I Giudici hanno, infatti, fatto presente che il consenso informato non è solo l’assenso all’intervento medico, ma ricomprende:

  • L’indicazione di eventuali cure alternative;
  • Il rischio di possibili complicanze;
  • Eventuali carenze di dotazioni strutturali della struttura al quale il paziente si è rivolto.

Tutto questo al fine di salvaguardare:

  • La libera autodeterminazione;
  • La libertà e la dignità dell’individuo;
  • Il rispetto del principio sancito dall’art. 32 della Costituzione, in virtù del quale: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Inoltre, il documento non deve essere troppo stringato, ma nemmeno troppo prolisso e di facile comprensibilità per il paziente. All’interno del plico, deve essere presente anche la parte dedicata alle dichiarazioni anticipate di trattamento e al testamento biologico. Il nostro ordinamento, poi, regola anche i casi in cui vengono effettuati trattamenti d’urgenza e gli esimenti previsti nel caso in cui il medico non possa dialogare col paziente per le gravi condizioni in cui egli versa.

Nel caso di specie e in generale, quando si parla di “consenso informato”, rileva la disciplina fondata sull'idea che un intervento medico non può considerarsi lecito se prima il paziente non ha ricevuto dai medici le informazioni riguardanti la sua patologia e i trattamenti a cui sarà sottoposto e non ha dato il suo consenso libero e consapevole alle cure.

Dalla violazione del “consenso informato” alla riflessione: esiste davvero una buona morte?

Se da una parte il nostro ordinamento presenta ancora oggi un grande limite nel consentire l’eutanasia al paziente che ne fa richiesta e che ne è assolutamente cosciente nel momento in cui la chiede per porre fine alla vita – non vita; dall’altra parte – nel caso di cui si è occupata la recente giurisprudenza – si è verificata la posizione opposta: un medico ha deciso, secondo proprie convinzioni, chi meritava di continuare a vivere e chi no. Un processo molto triste, ma che pone ai giuristi e all’opinione pubblica, importanti interrogativi. Questo è, ovviamente, legato a tutta una serie di ordini di motivi che non riguardano solo i principi fondamentali dell’ordinamento, ma anche le convinzioni intimamente connesse alla persona e quindi relative alla religione, all’etica, alla moralità che appartiene a ciascuno di noi e che non sono argomenti da trattare in maniera meramente descrittiva.

Tuttavia, nessuno può arrogarsi il diritto di un altro; nessuno può decidere al posto di un altro e per la sua vita, ma vi è ancor di più: nessun medico può anteporre le proprie convinzioni al dovere di informare e di somministrare le cure adatte e quelle alternative soltanto per adempiere alla richiesta del paziente.

Di: Redazione Consulcesi Club

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