Stress a lavoro? Il datore paga al dipendente il risarcimento dei danni

La Corte di Cassazione ha affermato, con l’ordinanza 4279/2024, che pure laddove non sia possibile accertare un’ipotesi di mobbing lavorativo, il Giudice è tenuto comunque a verificare se sia possibile pervenire alla condanna del datore di lavoro per non aver adottato misure adeguate a tutelare il lavoratore sia sotto l’aspetto psicofisico che morale.

È notorio che la causa di mobbing presenta un elevato grado di complessità, soprattutto riguardo al gravoso onere probatorio a carico del dipendente. Ciò non significa che le condotte illegittime e stressogene in ambito lavorativo non possano comunque condurre ad un’affermazione di responsabilità datoriale, anche quando non siano riscontrabili tutti i requisiti richiesti per ottenere una condanna per mobbing.

Di questo si è occupata, proprio di recente, la Corte di Cassazione affermando nell’ordinanza 4279/2024 che, pure laddove non sia possibile accertare un’ipotesi di mobbing lavorativo, il Giudice è tenuto in ogni caso a verificare se, sulla scorta degli stessi fatti appurati in sede giudiziale, sia possibile pervenire alla condanna della stessa parte datoriale per non aver adottato misure adeguate a tutelare il lavoratore sia sotto l’aspetto psicofisico che morale.

Il caso

La questione venuta all’esame della Corte riguardava un funzionario del Ministero della Giustizia che, vistasi respingere sia in primo che in secondo grado la domanda di risarcimento danni per dequalificazione professionale provocata da condotte vessatorie di alcuni colleghi patite nel corso del rapporto di lavoro, ricorreva in Cassazione per sentir affermare la fondatezza della propria pretesa.

La dequalificazione professionale: onere probatorio del lavoratore e poteri del giudice

Sotto il profilo della dequalificazione professionale, il ricorrente ha censurato la declaratoria di rigetto nella parte in cui aveva imputato al lavoratore di aver omesso di raffrontare le mansioni concretamente svolte con quelle previste dalla declaratoria contrattuale del proprio livello di inquadramento stabilito dal CCNL applicabile.

Nell’accogliere il motivo di censura, la Corte ha però osservato che, una volta dedotte le mansioni svolte, il comparto ed il livello di inquadramento, spetta poi al magistrato effettuare il relativo confronto con quanto previsto dalla contrattazione applicabile, appurando così se l’attività eseguita dal lavoratore risulti effettivamente inferiore o superiore rispetto al suo inquadramento formale.

Nessun mobbing? Lo stress va comunque risarcito

Con il secondo motivo, il ricorrente ha quindi denunciato la «violazione o falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e 2043 c.c., anche alla luce dei principi costituzionali di cui agli artt. 32 e 97 Cost. nonché degli orientamenti della Suprema Corte sottesi alle categorie giurisprudenziali di mobbing e straining ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».

Confermata la correttezza della decisione di appello nella parte in cui riteneva insussistente la fattispecie di mobbing, difettandone nel caso concreto gli elementi costitutivi necessari (pluralità di condotte dannose continuative, unico intendimento persecutorio nei confronti del dipendente, danno e correlato nesso causale), la Corte ha però osservato come non fosse stato adeguatamente scrutinato l’ulteriore profilo della responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. per le condotte, comunque vessatorie, assunte nei confronti del dipendente.

Come ripetuto costantemente dalla migliore giurisprudenza, non rilevare gli elementi costitutivi del mobbing non esonera il magistrato dall’obbligo di indagare se le medesime circostanze, allegate e dimostrate dal lavoratore, possano in ogni caso condurre ad un accertamento di colpa del datore “per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute dei lavoratori”.

Deve infatti ritenersi illegittimo – riprendendo un passo della sentenza – “che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori …, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l'esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all'art. 2087 cod. civ.”.

Sarà quindi il datore di lavoro che, per andare esente da responsabilità ex art. 2087 c.c., sarà onerato della prova di avere adottato tutte “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Tra queste, afferma espressamente la Corte rientra, fra l’altro, “la prevenzione e, ove possibile, la rimozione di un clima lavorativo teso e caratterizzato da reciproche incomprensioni”, ripristinando una situazione adeguata e funzionale al migliore espletamento delle prestazioni lavorative.

Le conclusioni della Corte

Alla luce del percorso motivazionale dinanzi descritto, la Corte ha quindi accolto il ricorso spiegato dalla lavoratrice affermando che, nell'ambito del pubblico impiego, per la valutazione del danno da dequalificazione professionale devono essere allegate le mansioni effettivamente svolte, il comparto di appartenenza ed il livello di inquadramento, spettando poi al magistrato operare la necessaria verifica circa la compatibilità delle mansioni svolte con quelle stabilite dall’inquadramento formale.

Inoltre, laddove non sussistano i connotati del mobbing, il giudice di merito deve sempre e comunque appurare se, alla luce degli stessi fatti allegati dal lavoratore, possano individuare profili di responsabilità datoriale “per non avere adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano possibili e necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”.

Infine, si conferma come sarà sempre onere del lavoratore dimostrare l’effettiva ricorrenza del danno e del relativo nesso causale con l'ambiente di lavoro, mentre competerà al datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le misure necessarie.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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