Quanto è ecologica e sostenibile l’Italia?

Un quadro generale su norme europee e italiane relative alla tutela ambientale ed efficienza energetica. Scarica la guida di Consulcesi Club

Tra le tematiche più gettonate degli ultimi anni, vi è certamente quella ambientale. Lo stato di salute dell’ambiente in cui viviamo influenza il nostro benessere psico-fisico più di quanto immaginiamo e, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la scienza fornisce ogni giorno prove di quanto appena affermato, tanto da costringere – finalmente – anche la politica, l’economia, ogni componente sociale e collettiva, a fare i conti con l’ecologia e la sostenibilità di ogni iniziativa, progetto, idea. Il risultato? Ogni nostra azione quotidiana è influenzata, la normativa italiana ed europea si è dovuta adattare ma quanto la nostra mente, il nostro modus operandi e il nostro ordinamento sono al passo coi tempi?

Proviamo a rispondere.

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Il quadro attuale in UE

L’ultimissima curiosità riguarda l’approvazione del reato di Ecocidio da parte del Parlamento Europeo. I primi giorni di aprile, infatti, L’Unione Europea ha pensato di prevedere e punire la fattispecie per cui si configura il reato di danneggiamento e distruzione di interi ecosistemi. Un reato a cui praticamente assistiamo da sempre, ma che non abbiamo mai riconosciuto come tale.

Già nel 2021 si era parlato di ecocidio in sede europea, la Commissione UE aveva però presentato una proposta che si limitava a menzionare l’ecocidio tra i disastri ambientali, ma non lo riconosceva come reato. Adesso è, a tutti gli effetti, penalmente perseguibile. L’obiettivo? Identificare un crimine internazionale come l’ecocidio aiuta a fissare i parametri e scoraggiare i peggiori danni alla natura per limitare al massimo:

  • I danni all’oceani;
  • L’inquinamento dell’aria;
  • La contaminazione di terra e acqua;
  • La deforestazione.

Tra le notizie che hanno fatto più scalpore, lo scorso 21 marzo Milano ha registrato il record di terza città più inquinata al mondo dopo Tehran e Pechino, stabilendo per la Pianura Padana il primato di regione più inquinata d’Europa. Il PM2.5 indica le particelle solide e liquide che stanno sospese nell’aria e inquinano e che sono pericolose per la salute dell’uomo, in quanto entrano in profondità nei polmoni. Queste particelle sono generate per lo più da combustione di motori, impianti industriali e di riscaldamento e da incendi boschivi. Queste particelle e le PM10 sono quelle più presenti nella Pianura Padana, zona molto industrializzata e densamente popolata, delimitata da catene montuose su tre lati, caratteristica che riduce la forza del vento e la circolazione dell’aria, intrappolando le particelle.

È dell’11 aprile, invece, la notizia che ha reso protagonista un gabbiano che ha costruito un nido di plastica. Motivo per cui l’allerta della comunità scientifica continua ad essere sempre più incisiva.

Inoltre, tra le sette città con la peggior aria d’Europa, cinque sono italiane.

Potremmo continuare all’infinito parlando degli allevamenti, dell’ingestibile vivibilità tra uomini e animali sempre più affamati e sempre più vicini all’uomo che invade i loro spazi; e ancora, di quanto le polveri sottili, la plastica influenzano l’economia e stravolgono gli ecosistemi.

La normativa UE

In Europa, è stato riconosciuto che la strategia “One-Health” debba essere incorporata a tutti i livelli nel sistema che gestisce la sanità, tenendo conto che la salute umana, animale e ambientale si condizionano le une con le altre. Integrare i meccanismi di prevenzione, redigere i piani di preparedness con valutazione del rischio in ottica di sistema integrato e soprattutto tenendo a mente che solo con questo tipo di approccio è possibile arrivare a dei meccanismi che sono cost effective è stato il punto di partenza di tutti gli Stati Membri che mirano, oggi, alla Salute Globale.

In base a questa filosofia, dunque, i testi progettuali e normativi relativi alla Missione 6 Salute del PNRR orientano le azioni verso obiettivi di modelli sanitari con discipline integrate. Il nuovo assetto di prevenzione collettiva nell’ambito della sanità pubblica, dunque, ha portato all’istituzione del Sistema Nazionale Prevenzione Salute dei rischi ambientali e climatici (SNPS) con lo stanziamento di 500 milioni di euro per affrontare e realizzare:

  • L’istituzione del Sistema Nazionale Prevenzione Salute dai rischi ambientali e climatici (S.N.P.S.) e del Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (S.N.P.A.) e suo successivo potenziamento a livello nazionale, regionale e locale, tramite il miglioramento e lo sviluppo di infrastrutture, capacità umane e tecnologiche e ricerca applicata;
  • Lo sviluppo e implementazione di programmi operativi pilota specifici, per definire modelli di intervento salute-ambiente-clima in due siti contaminati di interesse nazionale, appositamente selezionati;
  • La creazione di un programma nazionale di formazione continua, anche di livello universitario, avente ad oggetto la triade salute-ambiente-clima;
  • La promozione e finanziamento di programmi di ricerca applicata multidisciplinari in specifiche aree di intervento salute-ambiente-clima;
  • La creazione di una piattaforma di rete digitale nazionale sia per il S.N.P.S. che per il S.N.P.A.

Ovviamente, la Missione 6 del PNRR pone le sue radici nella normativa ambientale dell’UE. Ma cosa si intende per normativa ambientale europea?

Di certo, in tal senso, si intende l’insieme delle leggi e dei regolamenti che mirano a proteggere l’ambiente e promuovere lo sviluppo sostenibile all’interno di ogni Paese membro dell’UE. La promozione dell’uso efficiente delle risorse naturali è il modo che l’Unione utilizza per cercare di cambiare la mentalità dei cittadini dell’Unione. Tra i pilastri della normativa UE si possono annoverare moltissime direttive.  

La Direttiva quadro sull’Acqua

Questa stabilisce e regola la gestione delle risorse idriche all’interno del territorio dell’UE e mira a garantire che tutte le acque, interne e costiere, si mantengano in buono stato ecologico con interventi che raggiungano questo ambito obiettivo entro il 2027.

La direttiva sull’acqua 2020/2184/CE è stata recepita dal nostro Paese molto di recente: lo scorso 23 febbraio 2023 con il D.L. n. 18.

Il testo della direttiva stabilisce i requisiti minimi che le acque potabili devono rispettare e le attività di monitoraggio che devono essere effettuate dai gestori idropotabili, dalle autorità ambientali e sanitarie; definisce le sanzioni per il mancato rispetto dei parametri normativi, nonché i requisiti minimi per i reagenti chimici e i materiali filtranti attivi e passivi da impiegare nel trattamento delle acque. In particolare, con il recepimento della direttiva vengono stabiliti nuovi limiti per le sostanze pericolose per la salute, tra cui Pfas, cromo e clorati. Viene introdotta la rilevazione del parametro legionella sull’acqua fredda e viene posta attenzione alla qualità dei materiali e prodotti in contatto con acqua potabile come fonte di potenziale inquinamento. Tra i punti cardine della nuova legge, vi è l’ampliamento di un approccio basato sulla valutazione del rischio e sulle misure volte a migliorare l’accesso all’acqua destinata al consumo umano, anche attraverso la promozione dell’acqua potabile con installazione di erogatori per gli edifici prioritari, quali aeroporti e stazioni e per gli edifici pubblici.

La Direttiva sull’Aria e sulla sua qualità

Esiste anche una direttiva che si occupa dell’aria e della sua qualità: è la Direttiva 2008/50 che mira a proteggere la salute umana e l’ambiente dall’inquinamento atmosferico. L'inquinamento dell'aria è un problema grave a livello europeo. Solo nel 2013 sono state stimate 400 mila morti premature causate proprio dall’inquinamento atmosferico, oltre agli ingenti danni economici annuali da esso causati (perdite di giorni lavorativi, perdite sanitarie, perdite di raccolto, danni agli edifici, ecc.). Con la pandemia, la qualità dell’aria è migliorata a causa dello stop del lockdown e al progredire dello smart working, tuttavia pian piano si sta implementando nuovamente. È per questo, che la direttiva in questione è stata e va implementata ancora di più. Va inoltre sottolineato che, ai sensi del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea ex art. 193, ogni Stato membro ha il diritto di mantenere o introdurre requisiti più severi per proteggere la salute umana o l'ambiente dall'inquinamento atmosferico. Le misure dell'UE costituiscono quindi un livello minimo comune di protezione, ma consentono a ciascuno Stato membro di combattere efficacemente l'inquinamento atmosferico. La direttiva 2008/50 impone agli Stati membri di valutare costantemente la qualità dell'aria in relazione ai diversi inquinanti sopra menzionati. A tal fine, gli Stati membri istituiscono stazioni di misurazione fisse.

Lo scorso 26 ottobre 2022, inoltre, la Commissione Europea ha aggiornato la direttiva in questione (preceduta dalla 2004/107/EC) con la nuova direttiva sulla qualità dell’aria che ha stabilito i nuovi criteri comuni per la valutazione e la gestione della qualità dell’aria in Europa. Si tratta della proposta per l’intervento “Aria pulita”. La nuova proposta di direttiva cerca di contribuire alla realizzazione del Piano di Azione per l’Inquinamento Zero: ridurre entro il 2050 l’inquinamento atmosferico a livelli non più considerati dannosi per la salute umana e gli ecosistemi naturali. La realizzazione di questi obiettivi a lungo termine passa necessariamente per la realizzazione di quelli intermedi: questi prevedono la riduzione entro il 2030 di almeno il 55% (rispetto al 2005) degli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico (quantificati in termini di riduzione dei decessi prematuri attribuibili all’esposizione) e del 25% di quelli sugli ecosistemi, obiettivi che potranno essere perseguiti solo se si ridurranno ancora significativamente le emissioni dei principali inquinanti.

Le Direttive Habitat e Uccelli

L’unione Europea pensa a proteggere anche la biodiversità. È per questo che sono nate due direttive specifiche a riguardo:

  1. la Direttiva 79/409/CEE del Consiglio relativa alla “Conservazione degli uccelli selvatici”, conosciuta anche come “direttiva uccelli”;
  2. la Direttiva 92/43/CEE del Consiglio relativa alla “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”, conosciuta anche come “direttiva habitat”.

L’allegato I della Direttiva Uccelli individua un elenco di uccelli di interesse comunitario, la cui conservazione richiede misure urgenti, fra le quali la designazione di Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.). Per la situazione particolarmente critica in cui versano, alcune delle specie sono state oggetto di Piani di azioni redatti dal Comitato Ornis e vengono di fatto considerate prioritarie. Gli elenchi vengono periodicamente rivisitati in funzione dei progressi della conoscenza scientifica.

L’allegato I della Direttiva Habitat, invece, individua un elenco di habitat di interesse comunitario, la cui conservazione richiede la designazione di Siti di Importanza comunitaria (S.I.C.), che, una volta validati, si trasformeranno in Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.). L’allegato II della Direttiva individua un elenco di specie animali (esclusi ovviamente gli uccelli, per cui ne esiste uno apposito) e vegetali di interesse comunitario, la cui conservazione richiede la designazione di Siti di Importanza Comunitaria (S.I.C.), che, una volta validati, si trasformeranno in Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.). Alcuni habitat e alcune specie presentano uno status di conservazione particolarmente sfavorevole all'interno dell'Unione e quindi vengono designati come prioritari. Gli elenchi di Habitat e Specie vengono periodicamente rivisitati in funzione dei progressi della conoscenza scientifica.

La Direttiva su emissioni di gas a effetto serra e la Direttiva sull’efficienza energetica

La direttiva 2003/87/EC istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità, al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.

Il sistema può essere sintetizzato nei seguenti elementi:

  • Il campo d’applicazione della direttiva è esteso alle attività ed i gas elencati nell’allegato I della direttiva; in particolare alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, lavorazione prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni.
  • La direttiva prevede un duplice obbligo per gli impianti da essa regolati:

1) la necessità per operare di possedere un permesso all’emissione in atmosfera di gas serra;

2) l’obbligo di rendere alla fine dell’anno un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno.

  • Il permesso all’emissione di gas serra viene rilasciato dalle autorità competenti previa verifica da parte delle stesse della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.
  • Le quote d’emissioni vengono rilasciate dalle autorità competenti all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota dà diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.
  • Il piano di allocazione nazionale viene redatto in conformità ai criteri previsti dall’allegato III della direttiva stessa; questi ultimi includono coerenza con gli obiettivi di riduzione nazionale, con le previsioni di crescita delle emissioni, con il potenziale di abbattimento e con i principi di tutela della concorrenza; il piano di allocazione prevede l’assegnazione di quote a livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati.
  • Una volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate; tali transazioni possono vedere la partecipazione sia degli operatori degli impianti coperti dalla direttiva, sia di soggetti terzi; il trasferimento di quote viene registrato nell’ambito di un registro nazionale.
  • La resa delle quote d’emissione è effettuata annualmente dagli operatori degli impianti in numero pari alle emissioni reali degli impianti stessi.
  • Le emissioni reali utilizzati nell’ambito della resa delle quote da parte degli operatori sono il risultato del monitoraggio effettuato dall’operatore stesso e certificato da un soggetto terzo accreditato dalle autorità competenti.
  • La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.

La direttiva in questione ha istituito un sistema di scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra all'interno dell'Unione Europea ed è stata recepita in Italia con decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216. Il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216 attribuisce il ruolo di autorità nazionale competente per l'attuazione della direttiva al "Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del protocollo di Kyoto".

Il decreto legislativo, conformemente a quanto stabilito dalla direttiva ha previsto, inoltre, che:

  • dal 1° gennaio 2005 nessun impianto che ricade nel campo di applicazione della stessa, possa emettere CO2, ossia possa continuare ad operare, in assenza di apposita autorizzazione; si segnala che il 23 aprile 2009 il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno approvato la direttiva 2009/29/CE che per il periodo che ha inizio il 1° gennaio 2013, ha integrato ed esteso il campo di applicazione della direttiva 2003/87/CE. I gestori degli impianti in cui al 1° giugno 2011 sono esercitate attività al momento non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 2003/87/CE, ma che lo saranno a partire dal 1° gennaio 2013, devono inviare la domanda di autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra per tali attività entro il 15 giugno 2011;
  • i gestori degli impianti che ricadono nel campo di applicazione della direttiva restituiscano annualmente all'Autorità Nazionale Competente quote di emissione CO2 in numero pari alle emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera.

L'assegnazione delle quote di emissioni di CO2 ai gestori degli impianti regolati dalla direttiva è effettuata dall'Autorità Nazionale Competente sulla base della Decisione di assegnazione.

Tra l’altro, esistono numerosi sistemi di monitoraggio. In particolare, le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera sono monitorate secondo le disposizioni di monitoraggio impartite dall'Autorità Nazionale Competente, comunicate all'Autorità Nazionale Competente secondo le disposizioni di cui al DEC/RAS/115/2006 e certificate da un verificatore accreditato dall'Autorità Nazionale Competente.

Ultimissima novità sul punto riguarda l’accordo raggiunto sulla direttiva UE dello scorso 30 marzo. Si fa riferimento, in particolare, alle energie rinnovabili. L’accordo politico raggiunto dal Parlamento europeo, dalla Commissione e dagli Stati membri dell’UE include un obiettivo giuridicamente vincolante per “aumentare la quota di energia rinnovabile nel consumo energetico complessivo dell’UE al 42,5% entro il 2030”. I Paesi dell’UE possono integrare questo obiettivo con “un’ulteriore 2,5% che consente di raggiungere il 45%”. Ciò significa raddoppiare la quota pulita nel mix energetico dell’UE, che attualmente è pari al 22,1%, secondo le statistiche dell’UE. La direttiva rivista aggiunge anche obiettivi per gli edifici e cerca di accelerare i processi di autorizzazione per i progetti eolici e solari, con l’introduzione di “aree di accelerazione” dedicate alle rinnovabili. Prima di diventare legge, l’accordo politico deve ancora essere formalmente ratificato dai due co-legislatori dell’UE: il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE, che rappresentano i 27 Stati membri del blocco. Di solito si tratta di una formalità.

La normativa italiana

Nonostante siano molte le procedure d’infrazione che incombono sull’Italia in tema di ambiente, tanto che il nostro Paese è, ad oggi, il terzo stato con più procedure di infrazione in tema ambientale, 6 solo nel 2020, 25 in tutto dal 2003 al 2020. Tuttavia, è da sottolineare che le questioni ambientali costituiscono anche per gli altri Paesi l’ambito più soggetto a inadempienze. Basti pensare dal 1998 al 2020 sono stati in totale 454 i procedimenti aperti sul tema, 29,68% le infrazioni ambientali a carico dei Paesi Ue, sul totale delle procedure aperte nel 2020.

La Commissione Europea, tra le varie funzioni, si occupa di verificare che i Paesi membri adeguino i propri ordinamenti nazionali alle normative europee.

Ad onor del vero, però, la normativa ambientale italiana ha radici abbastanza profonde. In Italia la prima legge per la tutela dell’ambiente è la n. 319 del 10 maggio 1976, concernente la tutela delle acque. Conosciuta come legge Merli, ha introdotto norme relative agli scarichi di tutte le acque e alle fognature, definendo i livelli di competenza territoriale sulla materia. Molte di tali norme sono state riviste e aggiornate nel corso degli anni con altre disposizioni normative, tese a rendere più pesanti le sanzioni e a innalzare i limiti delle sostanze inquinanti scaricabili dalle industrie, specialmente quelle chimiche.

Esiste anche una legge del 1966 relativa all’inquinamento atmosferico e nota come “legge antismog”, che ha disciplinato gli impianti di riscaldamento domestico, le emissioni degli autoveicoli e gli impianti industriali.

Nel 1977 una legge ha definito la fauna selvatica come “res nullius” e patrimonio dello Stato che necessita di tutela e con una legge del 1982 si è affrontata la questione della difesa del mare individuando alcune riserve marine, classificando per la prima volta i rifiuti tossici e stabilendo quindi un metodo per il loro smaltimento.

La legge 431 dell’8 agosto 1985, “legge Galasso” ha posto sotto tutela i più interessanti beni paesaggistici, ma anche altri beni ambientali (laghi, fiumi, ghiacciai).

In merito alla tutela dell’ambiente, esiste un articolo del Codice penale che punisce la distruzione delle bellezze naturali, in relazione all’art. 9 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.  È così che lo Stato italiano si impegna a conservare e proteggere le bellezze naturali del paese e i suoi musei, le biblioteche, gli edifici di carattere storico e artistico.

I principi fondamentali partoriti a proposito dal nostro ordinamento stabiliscono:

  • il danno arrecato all’ambiente colpisce tutta la collettività, per cui lo Stato e gli altri enti pubblici hanno l’obbligo di imporre il risarcimento da parte dell’inquinatore;
  • il secondo è che spetta a ogni cittadino e alle associazioni ambientaliste il diritto di denunciare gli atti che danneggiano l’ambiente;
  • il terzo è che ogni opera pubblica, sia essa la costruzione di una strada o di un edificio, può essere permessa solo dopo aver valutato la sua compatibilità con l’ambiente (il cosiddetto impatto ambientale), che deve essere verificata attraverso precisi accertamenti tecnici.

A tal proposito è stato stabilito che sia demandato ad enti predisposti la cura e la tutela di determinate materie e/o beni. In particolare, in Italia esistono:

  1. Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare;
  2. l’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la Ricerca Ambientale, creato nel 2008 a seguito della fusione dell’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) con altri istituti (l’INFS sulla fauna selvatica e l’ICRAM sul mare);
  3. il SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale), che gestisce la Rete (SINAnet), di cui fanno parte: i PFR (Punti Focali Regionali), riferimento territoriale della Rete; i 21 ARPA (Agenzie Regionali e Provinciali, chiamate “APPA” nelle sole province autonome di Trento e Bolzano), nate con legge n. 61 del 1994, aventi funzioni di controllo e di supporto tecnico, scientifico, giuridico e analitico a favore delle amministrazioni pubbliche.
  4. Un ruolo importante svolgono le associazioni ambientaliste, per esempio Legambiente, WWF, Ambiente e Lavoro impegnate a divulgare informazioni sull’ambiente del nostro Paese e sui suoi numerosi problemi.

La normativa vigente

In primis va considerato il Testo unico Ambientale, meglio conosciuto come il Codice Ambientale, per essere più specifici il Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152 entrato in vigore il 29 aprile 2006 rappresenta la normativa principe della tutela ambientale in Italia. Questo decreto legislativo, in realtà, non è un vero e proprio testo unico, in quanto non si occupa di tante discipline importanti (come il rumore, l’elettrosmog, le aree protette ecc.) e la sua epigrafe – appunto – parla soltanto di norme in materia ambientale. Per capirne meglio il contenuto, è necessario soffermarsi su alcuni articoli di questo TUA e sapere che il nostro ordinamento ha previsto dei principi generali enunciati, ad esempio, all’interno dell’art. 9 della nostra Costituzione che tutela quindi non solo più il paesaggio, ma anche l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi; per altro verso, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente. Inoltre, viene stabilito all’art. 1 TUA che: “Il presente decreto legislativo disciplina, in attuazione della Legge 15 dicembre 2004, n. 308, le materie seguenti:

nella parte seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC);

nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche;

nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;

nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;

nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente.”

Tra l’altro, sono stati introdotti nel 2008, cinque articoli. Il Diritto Ambientale ha ancora bisogno di moltissimi accorgimenti per essere rispettato da un Paese che risulta essere famoso per le sue innumerevoli procedure d’infrazione da parte dell’UE in tema ambientale. La tutela e la salvaguardia dell’ambiente sono ancora lontani dal modo di essere e di pensare dell’Italia, nonostante l’alta attenzione sull’argomento. Se gli obiettivi principali erano quelli della semplificazione e riorganizzazione normativa ambientale il TUA non ha aiutato il Paese a raggiungerli. Mancano in particolare tantissimi indispensabili provvedimenti attuativi che renderebbero effettivamente applicabili alcune norme che rischiano di restare lettera morta e inoltre è di tutta evidenza che la gran parte della normativa speciale di settore è ancora fondamentalmente estranea al contenuto del TUA.

Inoltre, soltanto la legge n. 68 del 2015 ha introdotto nuovi reati a salvaguardia dell’ambiente, modificando così il quadro normativo previgente che affidava in modo pressoché esclusivo la tutela dell’ambiente a contravvenzioni e sanzioni amministrative, previste dal Codice dell’ambiente. In tal senso, il diritto penale ambientale può essere esercitato nei casi di: gestione dei rifiuti; inquinamento idrico; inquinamento atmosferico. Il diritto penale ambientale abbraccia diverse materie, tra cui:

  • Urbanistica; Tutela dei beni culturali e ambientali;
  • Energia nucleare;
  • Inquinamento elettromagnetico;
  • Inquinamento acustico;
  • Inquinamento delle acque;
  • Inquinamento atmosferico;
  • Disciplina e gestione dei rifiuti;
  • Modificazioni genetiche e delitti contro l’ambiente.

Le ultime novità

È da non sottovalutare, inoltre, l’ultima attenzione dedicata alla nostra normativa che riguarda la Proposta di legge costituzionale approvata l’8 febbraio 2022 dal Parlamento, che inserisce la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi fra i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana.

Il provvedimento, votato in via definitiva alla Camera dei deputati, modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione e incide direttamente sullo Statuto delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano in materia di tutela degli animali. L’articolo 9 fa parte di quegli articoli che sanciscono i principi fondamentali della nostra Costituzione. In esso era già contenuta la tutela del patrimonio paesaggistico e del patrimonio storico e artistico della Nazione, con la riforma si attribuisce alla Repubblica anche la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e viene specificato esplicitamente un principio di tutela per gli animali.

La modifica all’articolo 41, invece, sancisce che la salute e l’ambiente siano paradigmi da tutelare da parte dell’economia, al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Lo stesso articolo modificato sancisce anche come le istituzioni, attraverso le leggi, i programmi e i controlli, possano orientare l’iniziativa economica pubblica e privata non solo verso fini sociali ma anche verso quelli ambientali.

 Oggi, dunque, si leggono così:

Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Articolo 41

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.

Le modifiche introdotte dal progetto di legge costituzionale approvato, infine, stabiliscono una clausola di salvaguardia per l’applicazione del principio di tutela degli animali negli Statuti speciali delle Regioni Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta e delle Provincie del Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia.

All’interno di questo contesto che vede l’Italia davvero poco ecologica ma pronta a sforzarsi a cambiare e accelerare la rotta verso un’ecologia concreta e sostenibile, non si può far a meno di considerare le ultime riflessioni.

Per accelerare il processo di transizione dell’Italia occorre dare effettiva attuazione alla modifica della Costituzione approvata lo scorso anno: spetta ora a Governo e Parlamento dotarsi di strumenti adeguati per garantire la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile, in particolare introducendo criteri per valutare la costituzionalità delle nuove leggi e misurarne gli effetti sui 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 in un’ottica di giustizia intergenerazionale e per esaminare la sostenibilità ambientale e sociale degli investimenti pubblici.

Ma come procedere a riguardo?

A tal proposito giungono puntuali, appunto, le proposte dell’ASviS per dare attuazione ai nuovi principi costituzionali, tra cui:

  1. modificare i criteri in base ai quali il Parlamento valuta la costituzionalità delle nuove leggi;
  2. emanare una direttiva del Presidente del Consiglio che preveda l’inserimento nelle relazioni illustrative delle proposte di legge una valutazione sull’impatto atteso sui 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile;
  3. modificare i criteri con cui il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) valuta le proposte per i nuovi investimenti pubblici in base all’impatto sui 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, completando il processo avviato nella scorsa legislatura;
  4. adottare in tempi brevi la nuova Strategia nazionale di sviluppo sostenibile (Snsvs) predisposta dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica; recepire al più presto la direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria delle imprese, così da migliorare la valutazione d’impatto economico, sociale e ambientale dell’attività svolta e accelerare l’adozione di comportamenti più sostenibili.

Una volta applicati questi interventi, al netto die dibattiti politici, sarà utile intendere che la questione ambientale è una questione di salute, nostra e del nostro Pianeta, che oggi più che mai ha bisogno di attenzioni e cure. Consegnare questa eredità alle generazioni future, ci farà assistere ad una rivoluzione copernicana dell’ambiente già in atto: i bambini sono più preparati degli adulti sull’argomento. E questo ci fa ben sperare, perché “Aria pulita” e “Pianeta vivibile” sono due obiettivi che non possiamo in alcun modo perdere di vista e perseguire con azioni quotidiane. Poco a poco, ma continuamente e costantemente, correggerci e correggere per essere certi di avere un domani.

Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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