Il panorama delle agevolazioni fiscali e dei sostegni economico-normativi in materia di maternità per il 2026 è ricco e articolato. Di seguito vengono analizzate in dettaglio le principali misure vigenti a livello nazionale – incluse le novità introdotte di recente – e alcune iniziative regionali di rilievo, con riferimenti alle fonti normative (leggi statali, circolari INPS e regolamenti regionali).
Congedi di maternità e paternità: obbligatori e facoltativi
Congedo di maternità obbligatorio (dipendenti) – Alle lavoratrici dipendenti spetta il congedo di maternità obbligatorio per un totale di 5 mesi (in genere 2 prima del parto e 3 dopo, con possibilità di flessibilità). Durante questo periodo è corrisposta un’indennità pari all’80% della retribuzione, a carico INPS secondo il Testo Unico maternità/paternità (D.lgs. 151/2001, art. 16). La legge consente, in alternativa, di lavorare fino al parto e fruire interamente dei 5 mesi dopo la nascita, previa certificazione medica (opzione introdotta dalla L. 145/2018). Per le lavoratrici del settore privato, l’indennità è anticipata dal datore di lavoro e conguagliata con l’INPS; nel pubblico viene erogata direttamente. Durante il congedo obbligatorio vige il divieto di licenziamento e la maturazione dell’anzianità di servizio prosegue normalmente.
Congedo di paternità obbligatorio (dipendenti) – I padri lavoratori dipendenti hanno diritto (ed obbligo) ad astenersi dal lavoro per 10 giorni lavorativi in occasione della nascita del figlio, fruibili dai 2 mesi precedenti il parto fino ai 5 mesi successivi. Questo congedo di paternità obbligatorio è stato reso strutturale dalla Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) in recepimento della direttiva UE 2019/1158. In caso di parto plurimo i giorni raddoppiano a 20. Durante tali giorni il padre percepisce un’indennità pari al 100% della retribuzione, analogamente al congedo di maternità, erogata dall’INPS. Il congedo paterno obbligatorio si aggiunge (senza sostituirlo) al congedo di maternità della madre e si applica anche in caso di morte perinatale del bambino. Il padre deve preavvisare il datore di lavoro con almeno 5 giorni di anticipo, indicando le date di astensione. Sono previste sanzioni amministrative per i datori che ostacolino l’esercizio di tale diritto.
Congedo parentale (astensione facoltativa) – Dopo i congedi obbligatori, entrambi i genitori (dipendenti) possono usufruire del congedo parentale facoltativo, entro determinati limiti di durata e retribuzione, per assistere i figli nei primi anni di vita. Le regole sono state recentemente potenziate. In base alle modifiche introdotte dal D.lgs. 105/2022 (attuativo della direttiva UE sull’equilibrio vita-lavoro) e dalle ultime Leggi di Bilancio, il diritto complessivo di congedo parentale indennizzato per i genitori dipendenti è di 9 mesi totali (elevati a 11 mesi per il genitore solo), fruibili entro i 12 anni di età del figlio. Ciascun genitore ha diritto in modo indipendente ad almeno 3 mesi non trasferibili all’altro, mentre ulteriori 3 mesi sono utilizzabili alternativamente, nel limite suddetto di 9 mesi totali indennizzati. La parte di congedo parentale eccedente tali durate può essere fruita senza indennità (salvo casi di reddito basso).
Indennità economica del congedo parentale: fino al 2022 l’indennità era pari al 30% della retribuzione (importo minimo) per tutti i mesi coperti. Le ultime manovre finanziarie hanno però innalzato significativamente la retribuzione per alcuni mesi di congedo parentale. In particolare, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha previsto che un mese di congedo parentale sia indennizzato all’80% dello stipendio (anziché 30%) per chi abbia terminato il congedo obbligatorio dopo il 31/12/2022. La Legge di Bilancio 2024 (L. 213/2023) ha introdotto un secondo mese di congedo parentale indennizzato oltre il 30%, portandolo al 60% della retribuzione (e all’80% in via transitoria per le fruizioni durante il 2024). Infine, la Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) ha aumentato ulteriormente tali aliquote: il mese già portato al 60% viene elevato all’80%, e un ulteriore mese di congedo parentale sale dal 30% all’80%. In pratica, dal 2025 i genitori beneficiari hanno diritto a tre mensilità di congedo parentale retribuite all’80% (anziché al 30%), da fruire entro i 6 anni di età del bambino. I restanti 6 mesi indennizzabili restano al 30% e gli ultimi 2 mesi (sino al limite di 11 complessivi se il padre ne utilizza almeno 3) restano non retribuiti, salvo casi di reddito individuale basso. Queste migliorie si applicano per chi termina il congedo di maternità/paternità obbligatorio da gennaio 2025 in poi, mentre per chi lo aveva terminato nel 2024 si applicano due mesi all’80% (e per chi lo aveva terminato nel 2023 un solo mese all’80%). Di conseguenza, nel 2026 un genitore lavoratore dipendente avrà, in condizioni ordinarie, fino a tre mesi di astensione facoltativa pagati quasi interamente (80%) e ulteriori mesi a retribuzione ridotta (30%). Questa politica incentiva la fruizione del congedo parentale, distribuendo più equamente i carichi di cura tra madre e padre.
Va ricordato che il congedo parentale per i dipendenti spetta fino ai 12 anni del figlio, ma l’indennizzo economico oltre i 6 anni di età è riconosciuto solo se il reddito individuale del genitore è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo della pensione minima (circa 18.000 €) come da art. 34 D.lgs. 151/2001. Inoltre, per famiglie monoparentali (unico genitore) il totale dei mesi indennizzabili sale a 9 (anziché 6) e il limite massimo fruibile a 11 mesi.
Congedo di paternità alternativo – Si segnala infine la possibilità del congedo di paternità “alternativo”, previsto dal TU maternità (art. 28 D.lgs. 151/2001) qualora la madre sia impossibilitata a fruire del suo congedo obbligatorio per eventi gravi (decesso, grave infermità, abbandono, affidamento esclusivo al padre). In tali casi eccezionali, il padre può usufruire del periodo di astensione post-partum non goduto dalla madre, alle medesime condizioni economiche.
Detrazioni e agevolazioni fiscali per figli a carico
Sul piano fiscale, esistono specifiche detrazioni IRPEF per familiari a carico, sebbene per i figli minorenni esse siano ormai in gran parte sostituite dall’Assegno Unico Universale (trattato oltre). Dal 1º marzo 2022, con l’entrata in vigore dell’Assegno Unico, le detrazioni per figli a carico spettano solo per i figli di età pari o superiore a 21 anni. In altri termini, i genitori non possono più applicare detrazioni IRPEF per i figli sotto i 21 anni (né per i minorenni), poiché per essi interviene l’assegno mensile. Fanno eccezione i figli con disabilità di qualsiasi età: per i figli disabili di 21 anni o più è consentito cumulare la detrazione fiscale con l’Assegno Unico percepito.
Questa disciplina è stata ulteriormente modificata dalla Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024). A decorrere dal periodo d’imposta 2025, la detrazione IRPEF base di 950 € annui per figlio a carico spetta soltanto per i figli di età tra 21 e 30 anni (sempreché il figlio abbia reddito personale entro i limiti di legge). Oltre i 30 anni di età il figlio non dà più diritto alla detrazione, salvo che sia disabile ai sensi della L.104/1992. Questa novità (commi 180-182 L. 207/2024) ha ristretto l’ambito delle detrazioni per figli: ad esempio, se nel 2026 un figlio compie 30 anni e non è portatore di handicap, i genitori perdono la relativa detrazione d’imposta a partire da quell’anno. È importante notare tuttavia che, anche se un figlio perde il beneficio della “detrazione per figli a carico” per superamento del limite di età, può continuare ad essere considerato fiscalmente a carico (se il suo reddito annuale non supera il limite di € 2.840,51, o € 4.000 se under 24) ai fini di altre agevolazioni. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito nel 2025 che il compimento dei 30 anni non fa decadere lo status di familiare a carico, permettendo ai genitori di continuare a dedurre o detrarre le spese sostenute per quel figlio (spese mediche, istruzione, ecc.) in dichiarazione dei redditi, purché rispettati i limiti di reddito. In sintesi, dal 2025 la detrazione fissa per figli è limitata ai figli giovani adulti (21-30 anni), mentre per figli over-30 senza disabilità non vi è più detrazione fissa ma rimangono le agevolazioni sulle spese.
Importi delle detrazioni e altre agevolazioni fiscali: la detrazione teorica base per ciascun figlio a carico (21-30 anni) rimane € 950 annui (fino a € 1.220 per figli di età < 3 anni, importo che però di fatto non trova applicazione perché i <3 anni rientrano nell’Assegno Unico). Tale importo si ripartisce al 50% tra i genitori (o al 100% al genitore affidatario unico). Sono inoltre previste maggiorazioni delle detrazioni per particolari condizioni, come +400 € per ogni figlio con disabilità, nonché (fino al 2022) +200 € per ogni figlio oltre il secondo – beneficio quest’ultimo superato dall’Assegno Unico. Va aggiunto che la L. 207/2024 ha introdotto un limite massimo di età (30 anni) per considerare fiscalmente a carico un figlio non disabile, ma ha anche elevato alcune detrazioni per oneri relativi ai figli. Ad esempio, dal 2025 la detrazione per spese di istruzione (rette scolastiche, mense, ecc., art. 15 comma 1 e-bis TUIR) è stata aumentata, portando il tetto di spesa detraibile da € 800 a € 1.000 annui. Restano fruibili, per le famiglie con figli a carico, le altre detrazioni del 19% sulle spese sostenute pro filio: spese sanitarie (19% dell’importo eccedente € 129,11), spese sportive dei ragazzi (19% fino a € 210 annui per figlio tra 5 e 18 anni), spese per asili nido (19% fino a € 632 annui – ma attenzione alla non cumulabilità col Bonus Nido), interessi su mutuo prima casa intestato ai figli, premi assicurativi, contributi per colf/baby-sitter, ecc. Tali oneri danno diritto al 19% di detrazione in dichiarazione, nei limiti e condizioni previsti dal TUIR. In particolare, le spese per asilo nido pagate dai genitori restano detraibili al 19% fino a € 632 l’anno per figlio, ma solo per la parte eventualmente non coperta dal Bonus asilo nido (che è un contributo alternativo, analizzato nel paragrafo successivo).
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Assegno Unico Universale e nuove misure per i figli (2026)
Dal 2022 il principale strumento di sostegno economico alle famiglie con figli è l’Assegno Unico e Universale (AUU) per i figli a carico. Si tratta di una prestazione mensile erogata dall’INPS per ogni figlio minorenne e, in misura ridotta, per i figli da 18 fino a 21 anni (se ancora studenti o disoccupati a carico). Non vi sono limiti di età per i figli con disabilità (l’assegno spetta anche oltre i 21 anni in tal caso). L’Assegno Unico ha sostituito a partire da marzo 2022 una serie di precedenti benefici: gli assegni familiari ANF, le detrazioni fiscali per figli <21 anni, il Bonus Bebè, il Bonus Mamma Domani, ecc., unificando il sostegno in un’unica somma parametrata al numero di figli e alla condizione economica.
Importi base dell’Assegno Unico – L’ammontare mensile per ciascun figlio è modulato in base all’ISEE del nucleo familiare. Nel 2025, l’importo pieno per un figlio minorenne è di circa € 201 al mese per ISEE molto basso (fino a 17.300 €) e decresce fino a un minimo di € 57 al mese per ISEE pari o superiore a € 45.000 (soglia oltre la quale l’assegno spetta in misura fissa minima). Per i figli di età 18-21 anni gli importi base sono circa la metà dei corrispondenti importi per minorenni (ad es. € 98 mensili con ISEE basso). L’assegno è “universale” poiché spetta a tutte le famiglie con figli (anche senza ISEE, in tal caso è erogato al minimo) ed unico perché accorpa varie misure pregresse. Il pagamento è effettuato dall’INPS mensilmente (tipicamente a fine mese o inizio del mese successivo) sul conto corrente indicato dal richiedente. Per ottenere l’importo correlato al proprio ISEE, occorre presentare la DSU per l’ISEE ogni anno (l’ISEE va aggiornato entro fine febbraio per evitare di perdere le mensilità iniziali). In assenza di ISEE, viene corrisposto l’importo minimo.
Maggiorazioni e premi per determinate condizioni – L’Assegno Unico prevede una serie di maggiorazioni aggiuntive in presenza di più figli o altre situazioni, introdotte dal D.lgs. 230/2021 e potenziate dalla L. 234/2021 e successive manovre. In particolare:
- Figli neonati (<1 anno) – Importo maggiorato del 50% nei primi 12 mesi di vita del bambino. Ciò significa che per il figlio di età inferiore a un anno, la famiglia percepisce un assegno aumentato della metà (ad es., invece di € 200 mensili ne riceve € 300 se in fascia ISEE bassa). Questa maggiorazione, introdotta a partire dal 2023, vale per tutti i nuclei indipendentemente dall’ISEE (è universale, applicandosi come percentuale sull’importo spettante in base all’ISEE). L’obiettivo è sostenere le spese del primo anno di vita del bambino, notoriamente le più onerose.
- Famiglie numerose (almeno 3 figli) – Sono previste due forme di maggiorazione. Primo, una maggiorazione forfettaria “per nuclei con 4 o più figli” pari a € 150 al mese per nucleo (aumentata dai €100 originari a €150 dalla Legge di Bilancio 2024). Secondo, per le famiglie con almeno tre figli minorenni, maggiorazione del 50% dell’assegno per ciascun figlio di età compresa tra 1 e 3 anni, purché l’ISEE familiare non superi circa € 240. In pratica, in un nucleo con tre figli sotto i 3 anni e ISEE basso, l’importo di ciascun assegno per i figli di 1-3 anni è raddoppiato. Questa misura (transitoria per il triennio 2022-24, ora stabilizzata) punta a sostenere le famiglie numerose nei primi anni di vita dei bambini. A tali maggiorazioni per nucleo si aggiunge sempre anche la maggiorazione per ciascun figlio successivo al secondo, pari (per ISEE minimo) a € 91,90 mensili decrescenti fino a € 16,20 (per ISEE vicino alla soglia massima). Questo importo premiale per il terzo figlio (e quarto, etc.) era già previsto originariamente nell’AUU.
- Madre giovane – Se la madre ha meno di 21 anni di età, spetta una maggiorazione di circa € 22 al mese per ciascun figlio, indipendentemente dall’ISEE.
- Genitori entrambi lavoratori – Per i nuclei in cui entrambi i genitori percepiscono redditi da lavoro (dipendente o autonomo) è riconosciuta una maggiorazione complessiva di circa € 30 al mese per figlio (massimo € 34,37 nel 2025 per ISEE basso, decrescente fino a zero oltre € 000). Questa misura – introdotta dal 2022 – incentiva la partecipazione al lavoro di entrambi i genitori, soprattutto le madri, e include anche i nuclei monogenitoriali vedovili.
- Figli con disabilità – L’Assegno Unico prevede importi maggiorati in base al grado di disabilità, senza limiti di età. Ad esempio, per ciascun figlio minorenne con disabilità grave spetta una maggiorazione di € 108 circa (2024) che sale a € 119 per i non autosufficienti. Per i figli disabili maggiorenni (over 21) l’assegno continua ad essere erogato (a importo fisso: € 85 mensili per disabilità grave, € 53 medio, € 18 lieve – importi 2024).
- Maggiorazione compensativa “ponte” – È ancora prevista fino al 2024 una maggiorazione transitoria (cd. assegno ponte) fino a € 120 mensili per quei nuclei con ISEE ≤ € 25.000 che nel 2021 percepivano gli ANF per figli minori. Questa componente compensativa, introdotta per non penalizzare i nuclei a reddito medio-basso nel passaggio al nuovo assegno, decadrà definitivamente dal 2025. Per i nuclei che godono di tale maggiorazione e hanno figli disabili, è previsto anche un incremento forfettario di € 100 mensili aggiuntivi.
Adeguamento importi all’inflazione – Gli importi dell’Assegno Unico (valori soglia ISEE e importi mensili) vengono rivalutati annualmente in base all’indice FOI (costo della vita) come previsto dal decreto istitutivo. Nel 2023 c’è stata una rivalutazione significativa (+8%, portando l’importo massimo da € 175 a € 189,20 e la soglia ISEE da € 15.000 a € 16.215). Per il 2024 la rivalutazione è stata più contenuta (+0,8%, importo massimo € 199,40). Nel 2025 si stima un nuovo adeguamento in linea con l’inflazione 2024 (indicativamente qualche punto percentuale). Inoltre, dal 2025 l’Assegno Unico non viene più conteggiato come reddito ai fini ISEE (novità introdotta per evitare che il suo stesso percepimento penalizzasse l’ISEE familiare).
In sintesi, l’Assegno Unico Universale resterà anche nel 2026 il pilastro dei sostegni alla genitorialità, garantendo un aiuto economico modulare e semplificato. Le evoluzioni recenti (maggiorazioni per neonati, famiglie numerose, ecc.) evidenziano la volontà del legislatore di incentivare la natalità e la partecipazione al lavoro, oltre a razionalizzare il sistema di welfare familiare. Si attendono per la Legge di Bilancio 2026 eventuali ulteriori incrementi degli importi o nuove maggiorazioni mirate, compatibilmente con le risorse di bilancio.
Bonus per la natalità e prima infanzia: assegni una tantum e contributi specifici
Accanto all’Assegno Unico, il 2026 vede la presenza di misure “una tantum” e bonus dedicati ai nuovi nati e alla cura della prima infanzia, sia a livello nazionale che locale. Ecco le principali.
“Bonus nuovi nati” 2025-2026 (Carta bimbi) – Si tratta di un contributo economico una tantum di € 1.000 per ogni figlio nato o adottato negli anni 2025 e 2026, introdotto dalla Manovra 2025 (art. 1, commi 65-67 L. 197/2023) con l’obiettivo di incentivare la natalità. Il bonus spetta alle famiglie con ISEE fino a 40.000 €. La fruizione avviene tramite una Carta elettronica (denominata anche “Carta nuovi nati”) rilasciata dopo la domanda all’INPS, da presentare entro 120 giorni dalla nascita o dall’ingresso in famiglia (adozione). Il contributo può essere speso per il sostegno del neonato (pannolini, alimenti, abbigliamento, farmaci pediatrici, etc.) e rappresenta una reintroduzione, seppur con importo diverso e criterio ISEE, di un aiuto simile al precedente “Bonus mamma domani” da 800 € che era stato abolito nel 2022. La misura, finanziata sul biennio 2025-26, è valida anche nel 2026 per i bambini nati/adottati entro il 31 dicembre 2026. È cumulabile con l’Assegno Unico e con eventuali bonus locali. Per informazioni operative l’INPS ha predisposto un’apposita circolare e servizio online.
Bonus Asilo Nido – È un contributo statale, in vigore dal 2017, per aiutare le famiglie a sostenere le rette degli asili nido (pubblici o privati) o, in alternativa, l’assistenza domiciliare per bambini sotto i 3 anni con gravi patologie croniche. Nel 2025 il bonus nido è stato potenziato e rimodulato per i nuovi nati, grazie alla Legge di Bilancio 2024. Le regole attuali sono:
- Per bambini nati fino al 31 dicembre 2023, gli importi massimi annui del Bonus Nido restano quelli precedenti: € 3.000 annui (circa € 272 al mese per 11 mensilità) per nuclei con ISEE fino a 25.000 €; € 2.500 annui per ISEE tra 25.001 e 40.000 €; € 1.500 annui per ISEE oltre 40.000 € (o in assenza di ISEE).
- Per bambini nati dal 1º gennaio 2024 in poi, si applicano importi più elevati e criteri semplificati: € 600 annui (circa € 327 al mese) per ISEE fino a 40.000 €, e € 1.500 annui per ISEE sopra 40.000 €. In altre parole, per i nuovi nati dal 2024 la soglia ISEE alta viene innalzata a 40.000 € con diritto al massimo contributo (3.600 €) per la grande maggioranza delle famiglie, mentre solo chi supera tale soglia riceve l’importo minimo (1.500 €). Questa modifica, attiva dal 2025, ha l’effetto di aumentare il bonus nido soprattutto per le famiglie nella fascia ISEE 25-40 mila, che prima avevano 2.500 € e ora possono ottenere fino a 3.600 €.
Il Bonus asilo nido si richiede all’INPS ogni anno, presentando le ricevute di pagamento delle rette. Viene erogato in 11 rate mensili (corrispondenti ai mesi di effettiva frequenza). Non è cumulabile con altre agevolazioni sulla stessa spesa: ad esempio, se si beneficia del Bonus Nido per una certa retta, non si può detrarre fiscalmente quella spesa né ottenere contemporaneamente rimborsi da un eventuale piano di welfare aziendale per la stessa rata. In Lombardia, dove esiste il programma regionale “Nidi Gratis”, il Bonus Nido statale viene utilizzato per primo e la Regione copre l’eventuale quota eccedente (vedi oltre). Per i bambini che, per gravi motivi di salute, non possono frequentare il nido, il bonus può essere riconosciuto per forme di supporto domiciliare (in tal caso l’importo è identico, ma erogato direttamente alla famiglia con certificazione pediatrica).
Nota: Il Bonus Nido è cumulabile con l’Assegno Unico, in quanto quest’ultimo non copre le spese di asilo ma fornisce solo sostegno al reddito. Dunque una famiglia può percepire sia l’Assegno Unico per il figlio sia il contributo asilo nido, oltre ad eventuali sovvenzioni locali.
Altri bonus prima infanzia – Oltre ai suddetti, ricordiamo brevemente: il Bonus latte artificiale, introdotto dal 2020 (DPCM 3.6.2020) per madri che non possono allattare, consiste in un rimborso fino a € 400 annui per l’acquisto di formule per lattanti, ma ha coperture finanziarie limitate e soglie ISEE (oggi erogato solo in alcune regioni/progetti pilota); il Fondo di sostegno alla natalità, gestito da Consap, che offre garanzie statali su prestiti bancari concessi a neogenitori (misura avviata nel 2017, rifinanziata fino al 2021, poi confluita in strumenti di microcredito locale); e il Bonus seggiolino anti-abbandono (contributo di € 30 per l’acquisto di dispositivi obbligatori anti-abbandono in auto, DM 28/1/2020). Nel 2026 tali misure minori hanno un impatto marginale rispetto ai grandi strumenti già descritti, ma rappresentano comunque opportunità aggiuntive per specifiche esigenze.
Agevolazioni per le imprese e il welfare aziendale legate alla maternità
Le politiche recenti hanno introdotto incentivi contributivi e fiscali per favorire l’occupazione e il rientro al lavoro delle madri, nonché per stimolare le imprese ad adottare misure di welfare familiare. Di seguito le principali misure attive nel 2026.
Decontribuzione per lavoratrici madri (L. Bilancio 2024) – La Legge 30 dicembre 2023, n. 213 ha previsto un importante esonero contributivo totale in favore delle madri lavoratrici dipendenti, al fine di supportarne la permanenza o il reinserimento nel mercato del lavoro. In particolare, dal 1º gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 spetta l’esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico della lavoratrice madre (IVS), fino a € 3.000 annui, per le dipendenti a tempo indeterminato che siano madri di almeno tre figli minorenni (il più piccolo di età inferiore a 18 anni). Questo sgravio resta in vigore fino al mese in cui il figlio minore compie 18 anni (quindi potenzialmente per molti anni, entro il limite del 2026 per nuove adesioni). In via sperimentale per il solo 2024, lo stesso esonero pieno è stato esteso anche alle lavoratrici madri di due figli minorenni (con figlio minore di 10 anni). Dunque nel 2024 hanno beneficiato dello sgravio anche le madri con 2 figli under-10, mentre nel 2025-2026 l’esonero rimane applicabile alle sole madri di 3 o più figli (come misura strutturale). Lo sgravio consiste nell’azzeramento dei contributi INPS dovuti dalla dipendente (che in genere ammontano a circa il 9,19% dello stipendio per IVS), entro un tetto di € 250 al mese. Esso non incide sulle contribuzioni figurative per la pensione (l’aliquota di computo resta piena) e non configura aiuto di Stato poiché è un beneficio alla persona fisica lavoratrice. Tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono coperti (incluso apprendistato e pubblico impiego), ad eccezione dei rapporti domestici. L’INPS, con circolare n. 27/2024, ha fornito le istruzioni applicative: in busta paga la lavoratrice interessata vedrà quindi azzerata la trattenuta previdenziale mensile finché rientra nei requisiti, con un beneficio economico fino a € 3.000 annui. Per fare un esempio, una madre con tre figli minorenni e stipendio lordo annuo di € 30.000 risparmia circa € 2.750 di contributi l’anno grazie a tale esonero. Questo intervento, denominato anche “bonus mamme” in gergo mediatico, mira ad aumentare il tasso di occupazione femminile riducendo il cuneo contributivo a carico delle madri con famiglia numerosa.
Bonus mamme lavoratrici 2025 – Ulteriore novità, il Governo ha stanziato per il 2025 un bonus integrativo per le madri lavoratrici dipendenti con figli. Il cosiddetto “Bonus mamme” 2025 (art. 6 D.L. 95/2025) consiste nell’erogazione di € 40 al mese in busta paga per ogni mese lavorato durante il 2025, alle madri con almeno due figli (di cui uno under-10) e alle madri di 3 o più figli (fino ai 18 anni del minore). In pratica, è un’integrazione al reddito di € 480 annui, riconosciuta una tantum per il 2025, cumulabile con la decontribuzione sopra descritta. L’INPS ha disciplinato le modalità di richiesta (domanda telematica entro marzo 2026) e chiarito che ne hanno diritto anche le lavoratrici parasubordinate iscritte alla Gestione Separata e le cooperative sociali (per le socie lavoratrici). Questo bonus, finanziato dal “Fondo strategico per la natalità”, è un esperimento per il 2025; la sua eventuale proroga al 2026 dipenderà dagli esiti e dalle scelte di bilancio future. Se confermato, nel 2026 potrebbe continuare a rappresentare un piccolo ma simbolico incentivo economico per le madri attive nel mondo del lavoro.
Incentivi all’assunzione di donne (anche madri) – In aggiunta alle misure specifiche per madri, restano operative nel 2026 agevolazioni contributive per l’assunzione di lavoratrici appartenenti a categorie svantaggiate, che includono molte donne-madri disoccupate. La legge prevede un esonero contributivo del 100% fino a € 6.000 annui per 12 mesi (estendibili a 18 mesi in caso di contratto a tempo indeterminato) per le assunzioni di donne disoccupate da almeno 6 mesi o residenti in aree svantaggiate, come prorogato dal cosiddetto Decreto Coesione 2024 fino al 2025. Inoltre, per il triennio 2024-2026 è attivo uno sgravio totale per l’assunzione di donne vittime di violenza da parte di cooperative sociali, fino a € 8.000 annui per 36 mesi (L. 197/2022, art. 1 c. 220). Tali incentivi, pur non mirati esclusivamente alle madri, possono favorire il reinserimento lavorativo di donne che si sono allontanate dal lavoro per dedicarsi ai figli, rientrando poi come disoccupate di lungo periodo.
Welfare aziendale per la maternità – Sempre più imprese adottano piani di welfare aziendale a favore dei dipendenti con figli, sfruttando le previsioni fiscali di esenzione. L’art. 51 TUIR esclude da tassazione una serie di benefit collegati alla famiglia: ad esempio, i rimborsi erogati dal datore di lavoro per le rette di asili nido o per baby-sitting, oppure i servizi di educazione e istruzione (dalle ludoteche fino alle scuole dell’infanzia), non concorrono al reddito del dipendente. Ciò significa che un’azienda può prevedere nel proprio piano di welfare il pagamento diretto o il rimborso delle spese di nido ai propri dipendenti-genitori, ottenendo un duplice vantaggio: il lavoratore riceve un beneficio netto (non tassato né soggetto a contributi) e l’azienda deduce integralmente il costo come spesa per lavoro dipendente. Questa misura è incentivante sia per il datore che per il dipendente. Occorre tuttavia coordinare tali rimborsi con il Bonus Nido statale: l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il genitore non può cumulare il rimborso tax free dell’azienda con il Bonus asilo nido per la stessa mensilità di retta (pena decadenza del bonus pubblico). Molte grandi imprese offrono anche convenzioni con asili nido privati o la predisposizione di nidi aziendali interni. Da segnalare che esisteva un credito d’imposta per le spese di costruzione di nuovi asili nido aziendali (50% delle spese fino a € 10.000), misura introdotta nel 2019, che potrebbe essere rifinanziata nelle prossime leggi di bilancio a fronte della bassa adesione iniziale.
Ulteriori misure datoriali – Il diritto del lavoro prevede anche incentivi di tipo normativo: la flessibilità oraria (part-time post maternità, smart working) è favorita per legge in fase di rientro della madre, e molte aziende implementano politiche family-friendly (permessi aggiuntivi, convenzioni per centri estivi, etc.). Dal 2022 è stato introdotto il diritto alla trasformazione temporanea del contratto a part-time per le lavoratrici del settore privato che rientrano dalla maternità, in presenza di determinate condizioni familiari, senza impatto sulla posizione in azienda. Non vi sono specifici crediti d’imposta per le imprese che intraprendono tali misure, ma il legislatore sta valutando – nell’ambito di deleghe sulla famiglia – possibili premialità (come un rating sociale o priorità nell’accesso ad appalti pubblici per aziende con certificazioni di parità di genere e welfare familiare).
Lavoratrici autonome, libere professioniste e partite IVA
Le tutele per la maternità si estendono anche alle lavoratrici autonome e alle professioniste, sebbene con regole parzialmente diverse rispetto alle dipendenti, data la natura non subordinata del loro lavoro.
Maternità delle lavoratrici iscritte all’INPS – Le autonome iscritte alle gestioni speciali INPS (artigiane, commercianti, coltivatrici dirette, colone, mezzadre) nonché le titolari di partita IVA iscritte alla Gestione Separata INPS hanno diritto a un’indennità di maternità per i 5 mesi canonici (2+3) analogamente alle dipendenti. L’indennità è calcolata in misura pari all’80% di un reddito giornaliero di riferimento, determinato in base al reddito dichiarato ai fini contributivi l’anno precedente (per artigiane/commercianti viene preso il minimale di reddito se quello effettivo è inferiore). Diversamente dalle dipendenti, le lavoratrici autonome possono continuare a lavorare durante il periodo indennizzato, in quanto non esiste un obbligo formale di astensione (fatta salva l’“astensione effettiva” come requisito formale per ottenere l’indennità). In pratica, molte professioniste o imprenditrici individuali scelgono di non interrompere completamente l’attività, pur percependo l’indennizzo economico dall’INPS a titolo di tutela della maternità. L’indennità viene erogata direttamente dall’INPS su domanda dell’interessata (non esistendo un datore di lavoro intermediario). Alle collaboratrici coordinate (gestione separata) l’indennità spetta a condizione di avere almeno 3 mesi di contribuzione accreditata nei 12 mesi precedenti.
Congedo parentale per autonomi – Una novità di rilievo, introdotta dal 2022 (D.lgs. 105/2022), è il riconoscimento anche ai genitori lavoratori autonomi di un periodo di congedo parentale facoltativo indennizzato. In passato gli autonomi non avevano diritto ad astensione facoltativa retribuita dopo la maternità obbligatoria, mentre ora sia la madre che il padre autonomo possono fruire di un congedo parentale entro il primo anno di vita del bambino, per un massimo di 3 mesi ciascuno. L’indennità prevista è pari al 30% di un reddito minimale stabilito per legge (per gli artigiani/commercianti) o del reddito medio giornaliero (per i professionisti gestione separata). La madre autonoma può utilizzare i 3 mesi dopo i 5 mesi di maternità obbligatoria (mai contemporaneamente); il padre autonomo può utilizzarli in qualunque momento nel primo anno, purché in astensione effettiva dal lavoro. È necessario essere in regola con i contributi del mese precedente l’inizio del congedo. Ad esempio, una lavoratrice autonoma può, terminati i 5 mesi obbligatori, prendere fino a 3 mesi ulteriori di stop entro il 12º mese del bambino, con copertura al 30%. Questo rappresenta un significativo passo avanti nell’equiparazione dei diritti tra autonomi e dipendenti, sebbene la misura (3 mesi al 30%) sia meno generosa rispetto a quella per i dipendenti pubblici e privati.
Professioniste ordinistiche – Le libere professioniste iscritte a casse di previdenza autonome (avvocatesse, commercialiste, architette, ecc.) godono anch’esse di un’indennità di maternità a carico della rispettiva Cassa professionale, generalmente parametrata al reddito professionale o in misura fissa minima. Ad esempio, per le avvocate la Cassa Forense corrisponde un’indennità per maternità (o adozione) pari a 5/12 del reddito professionale netto dichiarato nell’anno precedente (entro massimali e minimali stabiliti) in analogia al periodo di 5 mesi. Molte casse prevedono importi minimi di circa € 5.000–6.000 a maternità anche per chi ha redditi bassi. Tali professioniste possono continuare l’esercizio della professione durante la maternità indennizzata, secondo quanto disposto dalla propria cassa. Alcune casse (es. quella dei giornalisti INPGI, ora confluita parzialmente nell’INPS) estendono anche a loro il congedo parentale facoltativo con aliquote ridotte, ma la situazione varia.
Contributi previdenziali durante la maternità – Durante i mesi di maternità obbligatoria, le lavoratrici autonome e le professioniste sono esonerate dal versamento dei contributi (vengono accreditati figurativamente). Ad esempio, un’artigiana non paga i contributi fissi trimestrali per il periodo coperto da maternità. Analogamente, le professioniste possono ottenere la sospensione dei contributi minimi per l’anno in cui ricade la maternità (secondo i regolamenti delle casse). Ciò evita oneri finanziari in un periodo in cui il lavoro è ridotto.
Tutele per il padre lavoratore autonomo – Anche i padri autonomi hanno diritto all’indennità di paternità alternativo in caso di decesso o grave infermità della madre (art. 66 D.lgs. 151/2001) e, come detto, dal 2022 ai 3 mesi di parentale entro 1 anno. Non esiste invece un “congedo di paternità obbligatorio” per autonomi analogo ai 10 giorni dei dipendenti, poiché l’estensione sarebbe di difficile controllo (il padre autonomo può comunque astenersi dal lavoro per il periodo che ritiene, ma senza indennità specifica salvo i casi suddetti).
In sintesi, le lavoratrici autonome, libere professioniste e titolari di partita IVA nel 2026 godono di: - un’indennità di maternità per 5 mesi al 80% circa (erogata da INPS o dalla propria Cassa), senza obbligo assoluto di astensione; - fino a 3 mesi di congedo parentale indennizzato (30%) entro l’anno del bambino, se iscritte all’INPS; - esonero/sospensione dal versamento dei contributi durante la maternità; - tutela sul piano fiscale (le indennità di maternità e parentali sono esenti IRPEF, come per le dipendenti).
Resta tuttavia assente per le autonome una protezione del posto di lavoro paragonabile al divieto di licenziamento delle dipendenti: la continuità dell’attività dipende dalle condizioni di mercato. Per questo, alcune regioni e categorie promuovono reti di sostituzione temporanea (es. cooperative di servizi) per libere professioniste in maternità, e fondi di solidarietà per compensare la riduzione di reddito.
Iniziative regionali per la natalità nel 2026
Oltre alle misure nazionali, molte Regioni hanno attivato o annunciato per il 2026 proprie politiche di sostegno alle famiglie e alla natalità, con contributi integrativi e servizi agevolati. Di seguito alcuni esempi rappresentativi, a livello regionale o locale:
- Asili nido gratis o semi-gratis: Diverse Regioni finanziano l’abbattimento delle rette degli asili nido per le famiglie residenti. In Lombardia, ad esempio, è attivo il programma Nidi Gratis – Bonus 2025/26, che azzera la retta a carico delle famiglie con ISEE fino a € 000 e la riduce per ISEE tra € 20.000 e € 25.000, coprendo integralmente la parte eccedente il Bonus Nido statale. Ciò consente ai genitori lombardi a basso reddito di usufruire del nido senza spese. Allo stesso modo, il Friuli Venezia Giulia prevede contributi regionali mensili alle famiglie con figli 0-3 anni iscritti al nido, modulati per scaglioni ISEE fino a 50.000 €: il beneficio regionale va da € 155 a € 510 al mese a seconda del reddito e del numero di figli al nido. Quasi tutte le regioni hanno ormai misure simili (es. Veneto con il voucher nido, Toscana nidi gratis sotto 35.000 € ISEE, Campania bonus asilo per secondogeniti, Puglia e Sicilia buoni nido con fondi UE, ecc.), con l’obiettivo di incrementare la partecipazione ai servizi per la prima infanzia e di raggiungere i target UE di copertura.
- Bonus bebè regionali e locali: Alcune amministrazioni locali continuano ad erogare un “bonus bebè” proprio, aggiuntivo rispetto a quello statale. Ad esempio, la Provincia Autonoma di Trento ha in essere un assegno nascita provinciale (una somma una tantum per ogni nuovo nato, legata all’ICEF provinciale). In Valle d’Aosta è previsto un bonus naissance per i nuovi nati da famiglie residenti, modulato per fasce di reddito regionale. Molti Comuni inoltre offrono piccoli bonus bebè comunali (di solito € 100–300 una tantum) come gesto simbolico di benvenuto ai nuovi cittadini – ad esempio diversi comuni in Friuli VG erogano € 200 alla nascita, e casi analoghi si trovano in Lombardia e Veneto. Tali importi locali, seppur modesti, possono cumularsi ai contributi nazionali.
- Assegni alle famiglie numerose: Numerose regioni aiutano in modo particolare le famiglie con 3 o più figli. In Friuli Venezia Giulia è stato confermato per il 2024-2026 un contributo straordinario di € 000 per le famiglie che, con la nascita (o adozione) di un terzo figlio, acquistino la prima casa o ne abbiano in corso un mutuo. Il requisito è un ISEE familiare ≤ € 35.000; il contributo è finalizzato all’abbattimento del capitale residuo del mutuo prima casa, favorendo così la stabilità abitativa delle famiglie numerose. Sempre il FVG prevede un contributo annuale di € 200 per ogni figlio minorenne destinato alla previdenza complementare (se i genitori attivano un fondo pensione per il figlio), come incentivo al risparmio di lungo periodo a beneficio dei bambini. Altre regioni (es. Veneto e Lombardia in passato) hanno elargito bonus una tantum alle famiglie numerose o con parti gemellari/trigemellari, vincolati a spese per i neonati.
- Carta famiglia regionali: Strumenti come la Carta Famiglia in Friuli VG offrono sconti tariffari e accesso a contributi a tutte le famiglie con almeno un figlio e ISEE sotto una certa soglia. In Friuli la Carta Famiglia (ISEE ≤ € 35.000) funge da “abilitatore” per richiedere vari bonus regionali (nido, dote scuola, ecc.), ed è stata adottata da oltre 44.000 nuclei. Anche Lombardia e Piemonte hanno proprie Carte sconto per famiglie numerose, che concedono riduzioni su trasporti, musei, bollette, in collaborazione con enti locali e aziende.
- Dote educazione e scuola: Alcune regioni sostengono le spese educative dei figli. Ad esempio, il FVG eroga annualmente la Dote Famiglia (rimborso fino a € 600 per spese per attività educative, sportive e ricreative dei figli 0-18 anni, per famiglie con Carta Famiglia). La stessa regione e altre (Lombardia, Puglia, ecc.) offrono contributi per l’acquisto di libri di testo o per le rette scolastiche (in FVG Dote Scuola € 250–400 annui per studenti delle medie e superiori con ISEE ≤ € 35.000; in Lombardia Dote Scuola copertura libri e dotazioni fino a € 200 per ISEE ≤ € 15.000). Queste misure indirettamente incentivano la natalità riducendo il costo di mantenimento dei figli in età scolare.
- Servizi e altre misure: Alcune regioni hanno introdotto sperimentalmente servizi innovativi, come contributi per tate familiari o nidi domiciliari (es. Emilia-Romagna buoni per educatrice domiciliare in alternativa al nido). La Provincia di Bolzano storicamente eroga un assegno familiare provinciale mensile integrativo per ogni figlio, che in combinazione con l’AUU costituisce un sostegno significativo (fino a € 200 mensili extra per figlio in nuclei a basso reddito). In Umbria dal 2023 è attivo un voucher per donne in maternità che prevede un sostegno economico se, dopo il congedo, la madre rientra al lavoro o ne avvia uno nuovo (per coprire spese di baby-sitting o nido). Diverse regioni del Sud utilizzano fondi europei per progetti di home visiting, supporto alle neomamme tramite figure professionali (ostetriche, pedagogiste) che le assistono nei primi mesi a domicilio.
Come si evince, il mosaico regionale è ampio e differenziato. Nel 2026 molte di queste iniziative regionali proseguiranno (spesso già finanziate sino a fine 2025 o 2026), contribuendo in modo significativo ad affiancare le misure nazionali. Per i cittadini, è consigliabile informarsi presso la propria Regione o Comune sulle agevolazioni locali disponibili: ad esempio sul portale regionale dedicato alla famiglia sono elencati i bandi aperti (rette nido, doti, ecc.). Le imprese e i consulenti del lavoro dovrebbero analogamente monitorare le normative regionali, specie per quanto riguarda incentivi all’assunzione co-finanziati a livello locale (alcune regioni offrono bonus aggiuntivi alle aziende che assumono neomamme, in coordinamento con ANPAL).
Il 2026 si prospetta come un anno in cui il mix di misure nazionali (congedi, assegni, bonus) e interventi locali offre un sostegno senza precedenti a chi diventa genitore. Le imprese sono chiamate a fare la loro parte, godendo anche di incentivi specifici se supportano maternità e conciliazione. Per massimizzare i benefici, è fondamentale conoscere e saper combinare le varie misure disponibili – un quadro normativo in evoluzione che richiede attenzione ma che presenta opportunità significative sia per le famiglie che per il sistema produttivo, in un’ottica di crescita demografica e inclusione femminile nel lavoro.