Il futuro della medicina è nella testa: quando la stimolazione vale più del farmaco

Tecniche come la stimolazione magnetica o elettrica mirano a ristabilire l’equilibrio delle reti neurali alterate da depressione, dolore cronico o ictus. Una rivoluzione silenziosa è in atto: agire sul cervello per riscriverne i segnali, ripristinare il desiderio, modulare la sofferenza.

Sommario

  1. Quando il dolore diventa memoria
  2. Dolore e piacere, circuiti vicini
  3. Una medicina più precisa

La medicina che ci attende non si limiterà a molecole e bisturi. Partirà dal cervello e parlerà il suo linguaggio: quello degli impulsi elettrici che attraversano le reti neurali, della plasticità, della capacità di riorganizzarsi.

In alcuni casi, è già realtà. Nella depressione resistente ai farmaci, i trattamenti esistono, funzionano e sono riconosciuti. In altri ambiti, dal dolore cronico al post-ictus, la frontiera è in movimento. La ricerca esplora, sperimenta e corregge. Ma il segnale è chiaro: il cervello risponde alla stimolazione, sia essa di natura magnetica o elettrica.

Quando il dolore diventa memoria

Pensiamo al dolore cronico. Non è solo un sintomo. È una forma neurale che si stabilizza nel tempo, si radica anche in assenza di una lesione evidente. I pazienti con dolori cronicizzati mostrano una connettività cerebrale alterata, con attività anomala e persistente in alcune regioni corticali e sottocorticali. Come se il cervello “conservasse” il dolore, indipendentemente dalla causa originaria. Alcune ricerche mostrano che la stimolazione selettiva di certe aree corticali è sufficiente per "spegnere" il dolore. La scoperta obbliga a riconsiderare la natura stessa della sofferenza cronica: più che un segnale, una memoria.

Altri studi indicano che la transizione dal dolore acuto a quello cronico non si limita a un prolungamento del sintomo, ma sembra riconfigurare le stesse reti cerebrali. Le alterazioni emergono non solo nei circuiti che presiedono alla motivazione e alla ricerca di gratificazione, ma anche in quelli implicati nella regolazione emotiva. Da esperienza circoscritta, il dolore si imprime come stato cerebrale persistente.

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Dolore e piacere, circuiti vicini

Ma c’è forse una scoperta ancor più rilevante: molte delle aree coinvolte nella codifica del dolore sono le stesse che elaborano il piacere. Non si tratta di una coincidenza funzionale, ma della traccia di un’organizzazione più profonda dell’esperienza. Dolore e piacere non si escludono a vicenda ma condividono, in larga misura, lo stesso circuito. Una conferma viene dalla scoperta che l’induzione di stati di piacere aumenta la soglia del dolore percepito. Da questa prossimità di dolore e piacere si apre una possibilità clinica: agendo sulle medesime reti si può modulare la sofferenza ma anche riattivare la percezione del benessere.

La depressione resistente ai farmaci solleva una questione affine, in quanto delinea una frattura nella possibilità stessa di desiderare e regolare l’affettività. Anche qui, le reti cerebrali coinvolte risultano alterate, in parte silenziate.

È in questi spazi che si inserisce oggi la neuromodulazione, ovvero la possibilità di modulare l’attività di aree cerebrali specifiche. Tecniche non invasive come la stimolazione magnetica transcranica (rTMS) o quella a corrente diretta (tDCS) offrono la possibilità di intervenire direttamente sull’attività cerebrale, senza somministrazione di sostanze. La rTMS impiega brevi impulsi magnetici per stimolare in modo selettivo specifiche aree corticali. La tDCS agisce attraverso correnti elettriche a bassa intensità, modulando l’eccitabilità dei neuroni. Agiscono cercando di ristabilire un equilibrio funzionale là dove la comunicazione tra reti si è interrotta. Nel trattamento della depressione resistente, le meta-analisi più aggiornate confermano che l’efficacia della rTMS è solida e superiore al placebo. È qui che la neuromodulazione mostra la sua forza: nei pazienti in cui i farmaci non funzionano, la rTMS riesce dove la chimica fallisce.

Anche nel dolore cronico e nella riabilitazione post-ictus la ricerca avanza. Le risposte cliniche, però, non sono sempre lineari, variano da paziente a paziente. Proprio in questa variabilità si apre lo spazio della precisione, della possibilità di costruire protocolli più mirati, più adattati al funzionamento di ciascun cervello.

Una medicina più precisa

I risultati si accumulano. Il passo successivo è il più delicato: strutturare, personalizzare e trasferire nella pratica terapeutica ciò che oggi è sperimentazione. La nuova medicina del cervello non sostituisce ciò che esiste: si affianca, aggiunge ed amplia il campo del possibile terapeutico. La scienza, in fondo, è questo: un’ostinata ricerca contro la rassegnazione.

Di: Arianna Brancaccio, PhD Postdoctoral researcher CIMEC University of Trento, Italy

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