Con il termine “mobbing” si intende quell’insieme di atti o comportamenti persecutori che, sistematici e duraturi nel tempo, conducono all’emarginazione di un soggetto dal gruppo di lavoro mediante forme di violenza psicologica che, in quanto protratte, provocano dann1i di natura e gravità diversa.
La condotta “mobbizzante” non è soltanto in grado di compromettere la permanenza del soggetto all'interno del contesto aziendale, ma anche la sua salute, la sua personalità, la sua dignità e la sua professionalità. Il lavoratore può quindi subire danni di natura sia patrimoniale che non patrimoniale.
Oltre al risarcimento del danno biologico, subordinato alla sussistenza di una lesione all'integrità psicofisica medicalmente accertabile, e al danno morale, quale turbamento dello stato d'animo, è possibile individuare il danno esistenziale, quale pregiudizio consistente nella compromissione dell'aspettativa di sviluppo della professionalità del lavoratore, intesa come espressione della dignità umana.
Quali sono le leggi che tutelano i lavoratori vittime di mobbing
Si tratta, pertanto, di condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali o collettive rivolte al lavoratore, poste in essere da superiori gerarchici (cd. mobbing verticale) e/o da colleghi (cd. mobbing orizzontale), od anche da parte di sottoposti nei confronti di superiori (cd. mobbing ascendente).
Per quanto concerne il mobbing verticale, la norma di riferimento è l'art. 2087 cod. civ., secondo la quale il datore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo le specificità dell’attività, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori.
Vi sono poi altre disposizioni che, contenute nel codice civile, disciplinano la responsabilità datoriale sia in termini di inadempimento contrattuale (1175 e 1375 c.c.), che extracontrattuale, anche in ragione delle condotte illecite messe in atto da altri dipendenti (2043 e 2049 c.c.), a cui si aggiungono anche le norme contenute nella contrattazione collettiva.
Come riconoscere legalmente una situazione di mobbing: i 4 requisiti essenziali
Per aversi una condotta mobbizzante, occorre individuare alcuni specifici requisiti, ormai pacificamente accolti dalla consolidata giurisprudenza.
Il comportamento “mobbizzante” è caratterizzato dalla presenza dei seguenti aspetti:
1) sistematica protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (anche intrinsecamente legittimi) poti in essere dal datore di lavoro o da suo sottoposto;
2) intento persecutorio che unisce tutti gli atti vessatori del dipendente;
3) danno arrecato al lavoratore sul piano professionale, morale, psicologico e/o fisico;
4) nesso causale tra la condotta vessatoria ed i danni patiti dal lavoratore.
Quali comportamenti possono essere considerati mobbing: i casi riconosciuti dai giudici
A titolo esemplificativo, si riportano una serie di casi per i quali la giurisprudenza ha riconosciuto il “mobbing”:
- situazione di emarginazione, demansionamento, inattività coatta, denigrazione, dequalificazione, discriminazione professionale, idonei a configurare il cd. “terrorismo psicologico”;
- improvvisa interruzione della carriera professionale, ambiente di lavoro ostile, umiliazioni e pressioni psicologiche;
- rifiuto sistematico di ferie e permessi od altre richieste;
- continua esclusione da progetti, corsi di aggiornamenti, riunioni;
- sanzioni disciplinari illegittime, rigetto richiesta di mobilità, archiviazione della richiesta di qualifica superiore, riduzione delle funzioni;
- adozioni di provvedimenti disciplinari per ragioni strumentali e in modo pretestuoso, amplificando l’importanza fornita a fatti di modesta rilevanza con la specifica volontà di colpire il lavoratore per indurlo alle dimissioni e/o per precostituire una base per disporre il suo licenziamento.
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Chi deve dimostrare il mobbing e con quali prove: cosa serve per far valere i propri diritti
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’onere di provare l’effettiva ricorrenza delle circostanze descritte in precedenza grava esclusivamente sul lavoratore.
Pertanto, il dipendente che lamenti di avere subito, a causa del comportamento datoriale, un danno alla salute, o qualsiasi altro pregiudizio, deve dimostrare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra.
In particolare, il lavoratore è gravato dall’onere probatorio di comprovare, ricorrendo a tutti i mezzi probatori disponibili (documentazione, testimoni ecc..):
- la realizzazione delle presunte condotte mobbizzanti (elemento oggettivo);
- il dolo dell’agente (elemento soggettivo);
- la concretizzazione del danno e quindi la conseguente lesione attuata sul piano professionale, morale, psicologico o fisico;
- l’esistenza del nesso causale tra condotte e danno subito.
In assenza di prove idonee a fornire la dimostrazione dei presupposti che precedono, la richiesta di risarcimento danni - avanzata dal lavoratore – rischia di non trovare accoglimento.
Quando non è mobbing ma è comunque illecito: cos’è lo straining e come si tutela il lavoratore
Va detto, però, che laddove non sia possibile dimostrare l’effettiva ricorrenza del mobbing, il giudice sarà comunque tenuto ad apprezzare le condotte illecite descritte dal lavoratore, per valutare se, pur difettando l’intento persecutorio ovvero la sistematicità dell’azione datoriale, non siano comunque presenti indici rilevatori di vessazioni commesse nei suoi confronti, con relativi danni provocati.
Si tratta di situazioni, definite dalla giurisprudenza con il termine “straining”, che laddove caratterizzare da particolare gravità, possono generare un effetto stressogeno nei confronti del lavoratore, provocando un pregiudizio concreto e quindi, come tale, risarcibile autonomamente.
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Di seguito, alcune prime indicazioni di gestione di un caso di potenziale mobbing, così da rendere maggiormente proficua ed efficace qualsiasi iniziativa che il lavoratore volesse intraprendere.
- Resoconto dettagliato: annotare ogni episodio, con date, orari, luoghi e nomi dei testimoni.
- Acquisire documenti lavoro: custodire contratto di lavoro, eventuali allegati, ordini di servizio, proposte di modifica e qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare lo svolgimento dell’attività lavorativa e la sua evoluzione nel tempo
- Custodire messaggistica: conservare email, messaggi, note o qualsiasi elemento che possa dimostrare il comportamento vessatorio e la sua durata.
- Individuare testimoni: acquisisci disponibilità di colleghi ancora in servizio, oppure già cessati, a confermare gli episodi vessatori subiti.
- Documentare danni: raccogliere documentazione attestante i danni patiti (ad es. certificati medici, cartelle di accesso al PS, buste paga ecc..)
Quando rivolgersi a un avvocato e cosa aspettarsi: come agire legalmente contro il mobbing
In relazione all’obbiettivo che si intende perseguire ed alla gravità delle circostanze del caso concreto, è sempre possibile, previa consultazione con un legale esperto in diritto del lavoro, sollecitare un intervento degli organi preposti dall’azienda per la gestione dei conflitti e per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Diversamente, nei casi più gravi o comunque laddove si siano già realizzati danni a carico del dipendente, è consigliabile rivolgersi direttamente ad un avvocato esperto per valutare, alla luce della situazione concreta e del materiale probatorio effettivamente disponibile, la migliore strategia difensiva possibile, individuando congiuntamente le azioni più efficaci per raggiungere l’obbiettivo di veder rispristinate condizioni di lavoro ottimali, ovvero ottenere il risarcimento dovuto.