Illegittime le buste paga ‘più leggere’ durante le ferie

Cassazione: illegittima la decurtazione delle indennità fisse durante le ferie. Azienda condannata, tutela rafforzata per i lavoratori.

Sommario

  1. Le norme che garantiscono ferie e retribuzione piena
  2. Cosa dice l’Europa: le ferie devono essere davvero retribuite
  3. Come si è adeguata l’Italia: le decisioni più recenti della Cassazione
  4. Perché il diritto al riposo è anche un diritto alla serenità economica
  5. Il caso Salerno: l’Azienda ospedaliera deve restituire le somme trattenute
  6. Verifica buste paga con diffida: servizi da non perdere

Leggere la busta paga del personale sanitario è già impresa per pochi, ma comprenderla può essere davvero arduo, soprattutto per coloro che, impegnati nell’affrontare le difficoltà ed esigenze del quotidiano, non hanno certo tempo – e spesso neppure le competenze professionali necessarie - per analizzare tutte le voci inserite e, soprattutto, per verificare se siano state effettuate dall’Uffici preposti decurtazioni retributive illegittime.

Nel caso specifico, è poi la giurisprudenza nazionale che, sulla spinta interpretativa della Corte di Giustizia europea, ha inserito un ulteriore elemento di difficoltà, laddove è decisamente intervenuta sul tema del mancato riconoscimento, nella retribuzione liquidata per il periodo di ferie, di alcune indennità erogate al personale sanitario durante il servizio.   

La questione riguarda, per l’appunto, la liquidazione delle cd. indennità variabili durante il periodo di ferie annuali retribuite, che le Aziende non di rado decurtano dalle buste paga, senza che il dipendente riesca ad obiettare alcunchè, persuaso erroneamente della legittimità di questa prassi in quanto assente dal lavoro.

Ma così non è: facciamo chiarezza.

Le norme che garantiscono ferie e retribuzione piena

I cardini su cui si poggia, a livello nazionale, questa problematica risiedono nell’art. 36 Cost., secondo il quale tutti i lavoratori hanno diritto “al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite”, cui si affianca il disposto di cui all’art. 2109 c.c., che conferma che “Il prestatore di lavoro ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito" e l'art. 10 D. Lgs. 66 del 2003, che riafferma che "il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite”.

Vi sono poi due specifici richiami legislativi europei, ossia l'art. 31 n. 2 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione secondo il quale "ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite", e di seguito l'art. 7 della direttiva n. 88/2003/CE, che prevede che "gli stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali”.

Cosa dice l’Europa: le ferie devono essere davvero retribuite

Trovatasi più volte ad esprimere il suo pensiero sul tema, la Corte di Giustizia Europea ha ripetutamente affermato, tanto da doverlo considerare ormai principio pienamente consolidato (sent. 20/1/2009 C-350/06 e C- 520/06; sent. 13/12/2018, C-155/10; sent. 13/12/2018 C-385/17), che durante il periodo di godimento delle ferie annuali, al lavoratore deve essere garantito un livello di retribuzione sostanzialmente sovrapponibile a quello goduto durante il servizio, riconoscendogli in busta paga anche quegli emolumenti percepiti a fronte delle prestazioni, normalmente svolte e correlate al suo status personale e professionale.

In un suo noto precedente (sent. del 15/09/2011 C-155/10), la stessa Corte ha posto alcuni capisaldi per cui:

  • l'espressione “ferie annuali retribuite” di cui all'art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 significa che, per la durata delle “ferie annuali”, la retribuzione deve essere mantenuta, per cui il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo;
  • qualsiasi incomodo, intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore, deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali;
  • che, di contro, possono essere esclusi da questo computo soltanto gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro.

Si deve rammentare che, per giurisprudenza consolidata (Cass. n. 22577/2012), le pronunce rese dalla Corte europea rivestono efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, per cui i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione fornita sulla corretta applicazione dei principi che precedono.

Come si è adeguata l’Italia: le decisioni più recenti della Cassazione

La Corte di Cassazione, anche di recente (ord. n. 2674/24), ha riconosciuto apertamente come la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di ferie debba allinearsi ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Dovendosi, quindi, tendere alla maggior equiparazione possibile fra lo stato di riposo a quello di servizio effettivo, si è voluto espressamente sottolineare come qualsiasi condotta datoriale che vada ad incidere su tale ricercato equilibrio risulterebbe incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo.

Pertanto, la retribuzione dovuta durante il periodo di ferie deve ricomprendere, in ossequio all'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (da ultimo, Cass. n. 13321/24).

Di assoluto rilievo, poi, l’ultimissima pronuncia della Corte di Cassazione n. 17495/2025 che, dovendo valutare l’illegittima decurtazione ad infermiere professionale dell’indennità di turno o indennità giornaliera ex art. 86 co. 3 CCNL Comparto Sanità 2016-2018, ha ritenuto che, finanche una riduzione percentuale del 6% sul trattamento economico complessivo, può determinare in potenza quell’effetto dissuasivo, che la Corte di Giustizia intende perseguire.

Pertanto, le indennità generalmente maturate dal lavoratore nel corso del rapporto lavorativo, siccome connesse anche con lo status professionale del dipendente, dovranno essere sempre retribuite a prescindere dal fatto che, siccome in ferie, non sia stata eseguita la prestazione sottostante, trattandosi di due aspetti del tutto svincolati fra loro.

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Perché il diritto al riposo è anche un diritto alla serenità economica

Con ciò si è inteso tutelare, nel modo più forte possibile, il pieno godimento dei periodi di riposo previsti dalla normativa nazionale e declinati dalle rispettive contrattazioni collettive, che passa per l’appunto anche attraverso la serenità del dipendente di non dover patire significative riduzioni stipendiali durante le ferie, con il rischio di essere indotto, per ovvie ragioni economiche, a non fruire del riposo necessario al reintegro delle energie spese durante il servizio.

Il caso Salerno: l’Azienda ospedaliera deve restituire le somme trattenute

Di recente, la Sezione Lavoro del Tribunale di Salerno ha dato, con la sentenza n. 1514/2025 del 19/09 u.s., piena applicazione ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, così come veicolati dalla Corte di Giustizia Europea.

Ricostruito l’intero panorama normativo e giurisprudenziale, il Giudice ha declinato i  tre requisiti necessari per far sì che un certo emolumento economico venga sempre calcolato nel trattamento economico dovuto al lavoratore anche durante le ferie, per cui:

  • la voce deve essere strettamente correlata alla natura delle mansioni svolte dall'interessato compensando uno specifico “disagio” derivante dall'espletamento di dette mansioni, ovvero attinente al particolare status professionale o personale del lavoratore;
  • la voce deve essere percepita in modo continuativo, o quanto meno non occasionale;
  • la voce deve essere di importo tale da poter esercitare un potere potenzialmente dissuasivo rispetto alle ferie.

Calati questi principi nel caso dei lavoratori ricorrenti, che avevano rilevato illegittime decurtazioni in busta paga, il Giudice ha quindi riscontrato come queste compensassero il normale “disagio” della prestazione, incidendo nella misura del 15% sulla retribuzione ordinaria, quindi ben oltre la soglia del 6% già ritenuta, a seguito della richiamata pronuncia della Cassazione n. 17595/2025, tale da configurare quel potenziale effetto dissuasivo.

Da ciò, ne è seguita la condanna dell’Azienda convenuta al pagamento del differenziale dovuto a titolo di retribuzione per i periodi di ferie già goduti, con l’ulteriore conseguenza che tale accertamento dovrà essere rispettato per calcolare la retribuzione rispetto al godimento di periodi di ferie futuri.

Verifica buste paga con diffida: servizi da non perdere

Appare quindi consigliabile, proprio per le difficoltà insite nella lettura ed effettiva comprensione delle buste paga, rivolgersi ad un professionista del lavoro che vada ad esaminare il contenuto di quelle coincidenti con i periodi di ferie goduti negli ultimi 5 anni, così da porle a confronto con le altre, relative al tempo effettivamente lavorato, per verificare eventuali discordanze rispetto a voci che, invece, avrebbero dovuto essere riconosciute e conseguentemente liquidate, valutando poi la possibilità di procedere all’invio di una diffida all’Azienda per richiedere le differenze retribuite maturate e la modifica per il futuro dei criteri di calcolo del trattamento economico anche in costanza di fruiti riposi.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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