La malattia di Parkinson: dalle nuove scoperte alla formazione dei professionisti

Il punto sulle più recenti scoperte scientifiche e sulla formazione dei professionisti della salute

Scoperte rivoluzionarie, terapie innovative e un legame sempre più chiaro tra la malattia, l’ambiente e i nostri stili di vita. Parliamo della Malattia di Parkinson e in occasione della Giornata Mondiale a questa dedicata, facciamo il punto sulle ultime novità provenienti da una ricerca scientifica in costante evoluzione.

 Secondo la Parkinson’s Foundation, più di 10 milioni di persone in tutto il mondo convivono con il Parkinson. In Italia secondo gli ultimi dati, questa malattia neurologica colpisce circa 300 mila persone. Numeri destinati a crescere, con stime che solo per il nostro Paese parlano di 6mila nuovi casi ogni anno nei prossimi 15 anni, di cui la metà saranno in età lavorativa.

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla perdita di neuroni nella regione del cervello chiamata "sostanza nera", che porta a una diminuzione nella produzione di dopamina. Attualmente non esiste una cura definitiva, ma ci sono diversi trattamenti disponibili per gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti, mentre nuove scoperte stanno aprendo la strada a possibili cure.

Un esame del sangue per individuare la patologia

Un recente studio condotto dal Dipartimento di Neuroscienze cliniche di Nuffield, presso l'Università di Oxford, ha gettato nuova luce sulla diagnosi precoce del morbo di Parkinson. I ricercatori hanno sviluppato un innovativo test del sangue mirato a individuare la malattia prima che i sintomi si manifestino.

Questo test si concentra sull'alfa-sinucleina, una piccola proteina collegata al danneggiamento delle cellule nervose nel cervello, su cui la malattia agisce portando alla formazione di grumi anomali dannosi. Questo deterioramento delle cellule nervose è alla base dei disturbi motori e cognitivi tipici del Parkinson.

È noto che al momento della diagnosi, molte di queste cellule sono già perse e i grumi di alfa-sinucleina sono diffusi in varie regioni cerebrali.

I ricercatori hanno scoperto che le persone con un maggiore rischio di sviluppare la malattia di Parkinson presentano livelli più alti di alfa-sinucleina nelle vescicole extracellulari neuronali rispetto ai soggetti a basso rischio.

Parkinson: scoperta una nuova spia utile per la diagnosi precoce

Un altro indizio emerge da un team di scienziati tutto italiano. Secondo il recente studio pubblicato sulla rivista Neurobiology of Disease la D-serina potrebbe essere un segnale precoce della malattia nel cervello.

La D-serina è un aminoacido coinvolto in diversi processi cerebrali, incluso il trasporto e la trasmissione del segnale neuronale. I ricercatori stanno attualmente esaminando se le variazioni nel metabolismo della D-serina possano essere collegate ad un altro fattore coinvolto nello sviluppo del Parkinson, noto come stress ossidativo.

In particolare, dallo studio è emerso che livelli più elevati di D-serina nel sangue potrebbero essere associati a un ritardo nell'insorgenza della malattia di Parkinson rispetto a coloro con livelli più bassi di questa sostanza. Questo suggerisce che la D-serina potrebbe svolgere un ruolo neuroprotettivo e prevenire lo sviluppo della malattia, agendo come un meccanismo di difesa contro lo stress ossidativo nel cervello.

Inoltre, è stato osservato che i livelli aumentati di D-serina sono più comuni nelle pazienti di sesso femminile, aprendo nuove prospettive per l'applicazione della "medicina di genere" nella gestione del Parkinson.

Intelligenza artificiale e diagnosi precoce per il Parkinson

Negli ultimi anni, l'applicazione dell'intelligenza artificiale nel settore medico ha rivoluzionato la pratica clinica e la ricerca biomedica. Grazie alla sua capacità di analizzare enormi quantità di dati in tempi rapidi e di individuare pattern complessi, l'AI ha reso possibili numerose innovazioni nel campo della medicina. Queste vanno da sistemi diagnostici più precisi e tempestivi, a predizioni personalizzate sul rischio di malattie, sviluppo di terapie più mirate e efficaci, nonché miglioramenti nella gestione dei dati sanitari e ottimizzazione dei processi clinici. Inoltre, l'intelligenza artificiale sta aprendo nuove frontiere nella scoperta di farmaci, nella genetica medica e nell'assistenza sanitaria personalizzata, promettendo di migliorare significativamente la qualità della cura e la vita dei pazienti.

In questo contesto si inserisce una recente invenzione di un 17enne novarese il “Parkinson detector”, uno scanner che funziona con l’intelligenza artificiale e permette la diagnosi precoce della malattia.

Il giovane Tommaso Caligari, nipote di persona affetta dalla patologia, ha sviluppato un algoritmo in grado di rilevare le alterazioni del pendolarismo degli arti superiori, uno degli indicatori precoci del Parkinson.

Tramite semplicemente l’impiego di due telecamere e dell’algoritmo, il nuovo strumento analizza il cammino del paziente sotto esame, permettendo di rilevare queste alterazioni e quindi di migliorare la diagnosi precoce.

Il dispositivo inventato da Caligari è stato riconosciuto come il miglior progetto al concorso 'I giovani e le scienze 2023' della Commissione europea, ed è stato esposto a Bruxelles durante l'evento 'EUCYS-European Union Contest for Young Scientists'. Inoltre, ha ricevuto inviti per partecipare ad altre competizioni internazionali e persino per assistere alla cerimonia di consegna dei premi Nobel a Stoccolma.

Le cause del Parkinson: i pesticidi

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha compiuto passi da gigante nell'identificare le possibili cause alla base dell'insorgenza della malattia di Parkinson. Tuttavia, la patologia è il risultato di una combinazione di fattori genetici, biochimici, ambientali e, come dimostrato anche dalla più recente ricerca, anche di genere. Comprendere appieno queste complesse interazioni rappresenta ancora oggi una sfida per la comunità medica.

Oggi, un nuovo studio preliminare mostra una netta correlazione tra l’uso di alcuni pesticidi ed erbicidi utilizzati in agricoltura e l’incidenza della malattia di Parkinson.

I ricercatori hanno confrontato i livelli di esposizione ai pesticidi nelle aree delle Montagne Rocciose e delle Grandi Pianure degli Stati Uniti con l'incidenza della malattia di Parkinson. Utilizzando i dati delle cartelle cliniche Medicare del 2009, che hanno coinvolto 21,5 milioni di persone, hanno scoperto che le contee con maggiori livelli di esposizione ai pesticidi mostravano un rischio maggiore di sviluppare la malattia. Tre pesticidi ed erbicidi - simazina, atrazina e lindano - sono risultati particolarmente associati alla malattia di Parkinson, con un aumento del rischio che va dal 25% al 36%.

“È preoccupante che studi precedenti abbiano identificato altri pesticidi ed erbicidi come potenziali fattori di rischio per il Parkinson, e ci sono centinaia di pesticidi di cui non è stata ancora studiata alcuna relazione con la malattia”, ha dichiarato Brittany Krzyzanowski, PhD, del Barrow Neurological Institute di Phoenix, in Arizona, coautrice dello studio.

Già nel 2017, infatti, un rapporto delle Nazioni Unite metteva in relazione l'uso indiscriminato dei pesticidi con gravi danni ambientali e sanitari, definendoli responsabili di "omicidi ed ecocidi", esortando ad affrontare con urgenza le conseguenze ambientali e sanitarie dell’uso indiscriminato dei pesticidi.

Oggi molti pesticidi sono classificati come interferenti endocrini (EDC), sostanze che possono limitare o disturbare gli ormoni naturali nel corpo. Questi prodotti chimici, presenti in una vasta gamma di articoli di uso comune come plastica, tessuti e cosmetici, possono provocare danni alla salute riproduttiva, al metabolismo e al sistema immunitario interferendo con il normale funzionamento degli ormoni.

Il ruolo degli interferenti endocrini è approfondito nel corso “Habitat. Medicina ambientale e patologie correlate” (3.0 crediti ECM). Questo percorso formativo multimediale, composto da video e slide, esplora anche gli effetti dei metalli pesanti sulla salute umana. Vengono analizzati gli impatti sia sull'immunità che sulla tossicologia, oltre alla sindrome da ipossia istotossica, alle nuove patologie ambientali e al contributo della complessità di fattori nello sviluppo delle malattie cronico-degenerative.

L’approccio One Health

Le recenti scoperte sul legame tra l'uso di pesticidi e l'insorgenza della malattia di Parkinson sottolineano ancora una volta l'importanza dell’approccio “One Health”.

L'inquinamento, causato dai pesticidi ma non solo infatti, danneggia la salute umana ma anche gli ecosistemi circostanti e la fauna. In questo contesto, l'approccio One Health riconosce l’interconnessione e l’interdipendenza tra salute umana, animale e ambientale, suggerendo una strategia interdisciplinare che coinvolge operatori sanitari, ambientalisti, cittadini e scienziati nel gestire congiuntamente le sfide ambientali e sanitarie sempre più incombenti.

Ad esempio, adottare pratiche agricole che rispettino l'ambiente e utilizzare in modo sostenibile le risorse naturali può aiutare a prevenire la diffusione di malattie trasmesse dagli animali all'uomo, oltre che i danni alla salute legato da un uso intensivo di pesticidi e altri prodotti fitosanitari.

Anche la sensibilizzazione della comunità da parte di medici e operatori sanitari è altrettanto cruciale per favorire stili di vita che siano sani, rispettosi dell'ambiente e sostenibili nel tempo.

In questa prospettiva, il corso di formazione "One Health: alimentazione sana e sostenibile per la salute globale", guidato da Andrea Ghiselli, esperto in scienza dell'alimentazione, esplora una vasta gamma di tematiche legate all'alimentazione e del suo ruolo sul benessere globale. Concentrandosi sulla dieta mediterranea, l'ambiente, la sostenibilità e gli aspetti socioeconomici, il corso mira a promuovere una visione integrata della salute che includa anche la consapevolezza sull'impatto ambientale delle nostre scelte alimentari.

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