Medicina di genere: uomini e donne non sono uguali. La sanità deve accorgersene

Con la medicina di genere professionisti e scienziati studiano le differenze sullo stato di salute e malattie tra uomo e donna. Inserirla nella formazione dei professionisti e nella visione dei ricercatori sta migliorando la vita dei pazienti

Sommario
  1. Sintomi dell’infarto: una questione di genere
  2. Vaccino anti-Covid: più segnalazioni di eventi avversi dalle donne
  3. Differenziare report e studi: qualcosa si muove
  4. Differenze di diagnosi e cura anche nei bambini
  5. Il Piano italiano per la medicina di genere

Donne e uomini non sono uguali, almeno quando si parla di salute. Nell’ultimo decennio l’attenzione del mondo scientifico si è finalmente concentrata sul concetto di “medicina di genere”. Con questa parola si intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche, socioeconomiche e culturali sullo stato di salute e malattia di ciascun soggetto.

Se ne è sentita la necessità dopo che una crescente mole di dati epidemiologici, clinici e sperimentali ha dimostrato la presenza di differenze anche molto rilevanti nell’insorgenza, progressione e manifestazione di malattie comuni a donne e uomini. Così come nella risposta e negli eventi avversi che si associano ad alcuni trattamenti terapeutici e farmacologici. Si è dimostrato che la differenza di sesso e/o genere è importante per tutti e in ogni età.

Sintomi dell’infarto: una questione di genere

Fino a qualche tempo fa le sperimentazioni non tenevano conto di queste caratteristiche, creando delle storture nei programmi di cura e nelle risposte dei singoli pazienti. Solo come esempio, la letteratura scientifica si documenta sull’infarto e sulle sue manifestazioni da molto tempo. I sintomi li conosciamo a memoria: dolore al braccio, al torace e allo sterno, fiato corto, improvvisa sudorazione. Eppure, solo di recente è stato confermato che il dolore fisico nella parte alta del busto è una caratteristica prettamente maschile dell’infarto. Per contro, nelle donne, è più comune un dolore addominale accompagnato da difficoltà di respiro. Questa informazione non è mai stata considerata e, anche per questo, gli infarti nelle donne sono sempre stati più ostici da riconoscere.

In generale, sembra che la sintomatologia maschile sia stata considerata “standard”, mentre quella femminile sia sfuggita a lungo dal focus di medici e scienziati. Nel 1991, la giornalista Bernardine Healy denunciò sul New England Medicine una vasta sottostima di diagnosi di infarti del miocardio nelle donne. Parlò di “Yentl sindrome”, nome preso dall’eroina di un romanzo di Singer, costretta a travestirsi da uomo per poter studiare la Torah. Allo stesso modo, le donne hanno più possibilità di essere salvate dall’infarto se mostrano gli stessi sintomi dell’uomo.

Ancora, nel 2010, sulla rivista Nature si denunciava come nelle ricerche cliniche si continuavano a studiare solo maschi, sia negli uomini che negli animali. Forse perché le donne presentavano più variabili? Si suggeriva nella rivista. Mostrando come, però, questa dimenticanza restituisse sempre una visione parziale delle conseguenze di cure e farmaci sulla popolazione generale.

Vaccino anti-Covid: più segnalazioni di eventi avversi dalle donne

Più di recente, il dibattito sulla medicina di genere si è riaperto dopo la segnalazione da parte di donne in ogni parte del mondo di variazioni nel proprio ciclo mestruale dopo la somministrazione dei vaccini anti-Covid. Un effetto collaterale non segnalato dalle case farmaceutiche produttrici proprio perché non studiato o attenzionato nel modo corretto. Un riguardo che è mancato inizialmente anche per le donne in gravidanza: prima invitate a non fare il vaccino e, dopo qualche mese, a farlo in velocità. Proprio perché le donne in gravidanza non erano rientrate nella popolazione delle sperimentazioni né era stato valutato di farlo.

Nel 14° Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid, l’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) ha certificato che nel 70% dei casi di eventi avversi da vaccini anti-Covid, la segnalazione veniva da donne (97.318 schede). Secondo AIFA, il dato si può spiegare con una maggiore attitudine delle donne a segnalare reazioni sospette. Quel che si evince comunque, è che c’è una grande differenza nella percezione degli effetti avversi, seppure l’esposizione sia la stessa tra maschi e femmine.

Su 100mila dosi di vaccino, 129,6 eventi avversi nelle donne e 59,3 negli uomini. La maggiore differenza di segnalazione si rileva nella fascia 40-49 anni, dove il tasso nelle femmine è 2,7 volte superiore a quello nei maschi.

Differenziare report e studi: qualcosa si muove

Un importante segnale è comunque l’inserimento della differenziazione nei report e negli studi. Una delle più recenti dimostrazioni dell’efficacia di questo cambio di rotta arriva da uno studio fatto sul Parkinson dall’Istituto di Scienze neurologiche di Bologna, pubblicata sul Journal of Parkinson’s Disease. Studiando la reazione ad un farmaco usato per la cura della malattia, si è notato che il sesso la influenzava in maniera significativa. Nelle donne la biodisponibilità al farmaco era più alta, dimostrando che le pazienti possono assumere un dosaggio inferiore del farmaco. Riducendo in questo modo anche gli effetti avversi, tra cui le discinesie (movimenti involontari di braccia, gambe e tronco).

Differenze di diagnosi e cura anche nei bambini

Anche i pediatri, durante il 77° congresso della Società italiana di pediatria (SIP), hanno presentato una guida alle differenze di genere in età pediatrica. All’interno si fa una distinzione di predominanza nelle malattie comuni ai bambini e se ne spiegano le reazioni differenti in base al genere.

Tra le bambine sono più diffuse:

  • Displasia dell’anca
  • Scoliosi
  • Pubertà precoce
  • Celiachia
  • Disturbi del comportamento alimentare

Tra i bambini:

  • Infezioni respiratorie
  • Malattia di Kawasaki
  • Autismo

Conoscere queste differenze pone una base per migliorare la prevenzione, la prognosi e ridurre le complicanze. Nonché apre la strada alla sensibilizzazione dei medici e dei genitori ad un approccio che crea la giusta sinergia per un percorso clinico differenziato.

Il Piano italiano per la medicina di genere

Per recuperare questa discrepanza, in Italia il 13 giugno 2019 il ministro della Salute ha approvato il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale firmando il decreto attuativo relativo alla Legge 3/2018”. Diventando, così, il primo paese in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di genere in medicina.

Il Piano segue alcuni principi generali e fondamentali. Per prima la promozione della ricerca basata sulle differenze di genere, affiancata ad una promozione dell’informazione pubblica sulla salute e la gestione delle malattie in quest’ottica. A cui si aggiunge un approccio intersettoriale tra diverse aree mediche e scienze umane che tenga conto delle differenze di genere per garantire diagnosi e cure appropriate.

Infine, la promozione dell’insegnamento della medicina di genere, garantendo livelli di formazione e aggiornamento adeguati al personale medico e sanitario. Anche le associazioni provider offrono ora, per la formazione ECM, vasti cataloghi con corsi che danno ai professionisti elementi nuovi per introdurre la medicina di genere nel loro lavoro giornaliero e nell’approccio alle diagnosi.

Consulcesi offre “Medicina di genere: un diverso approccio al paziente” (10,8 ECM), in cui si forniscono al paziente gli elementi legislativi e pratici sulla medicina di genere. Con l’obbiettivo di inserire nella diagnosi, nel trattamento e nella gestione dei pazienti la differenziazione per genere.

L’Osservatorio e i suoi compiti

Con la legge 3/2018 si prevedeva anche l’istituzione all’Istituto superiore di Sanità di un Osservatorio dedicato alla medicina di genere, per coinvolgere anche gli altri enti vigilati dal Ministero della Salute (Irccs, AIFA e Agenas). L’organo vigila sull’attuazione del Piano e ne aggiorna dati e obbiettivi nel tempo. Nonché presenta i dati alle Camere per azioni mirate sul territorio.

Con il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza 15,63 miliardi andranno ai territori e all’adeguamento delle strutture ai bisogni dei pazienti. La sfida è portare la medicina di genere anche lì, dove poche strutture si sono attivate per ora.

Al centro di questa mobilitazione c’è la convinzione che una considerazione della medicina di genere sia fondamentale per il miglioramento della salute di tutti. La certezza che il futuro della sanità stia nella parità di attenzione, anche e soprattutto per le differenze.

Gloria Frezza, giornalista professionista

Di: Redazione Consulcesi Club

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