Violenza sulle donne tra i giovani: radici culturali e strumenti di prevenzione

Nell’intervista, lo psicologo Cristian Pagliariccio analizza le radici culturali, educative e sociali della violenza di genere tra adolescenti. Dal corto circuito culturale alla responsabilità educativa: segnali precoci da non ignorare e strategie concrete per intervenire in modo efficace e preventivo, a scuola e in famiglia.

Sommario

  1. Violenza sulle donne: radici culturali e familiari
  2. Il ruolo della scuola, della famiglia e il potere dei social
  3. I campanelli d'allarme e gli interventi preventivi

Negli ultimi anni si è assistito a un incremento preoccupante degli episodi di violenza contro le donne, un fenomeno che coinvolge anche giovani e giovanissimi. Per comprendere a fondo le cause e individuare strategie efficaci di prevenzione, abbiamo intervistato il dottor Cristian Pagliariccio, psicologo dell’educazione iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio. Con lui abbiamo approfondito le radici culturali, familiari e sociali che possono alimentare comportamenti aggressivi e possessivi nei confronti delle donne, il ruolo centrale della scuola e della famiglia nell’educazione affettiva, l’influenza dei social media e i segnali di allarme da non sottovalutare.

Violenza sulle donne: radici culturali e familiari

Dottore, negli ultimi tempi assistiamo a una crescita inquietante e allarmante di episodi di violenza sulle donne, anche tra giovani e giovanissimi. Quali sono le radici culturali, educative, sociali e familiari che possono favorire l’emergere di comportamenti aggressivi e possessivi nei confronti delle donne?

“Se parliamo di radici culturali, ne abbiamo molte che appartengono alla nostra cultura. Pensiamo a tutto ciò che porta avanti le disuguaglianze di genere, oppure alla parte legata alla misoginia, che rende la donna spesso come un oggetto. Stiamo ancora lottando con la confusione tra il sesso e la violenza sessuale. Si discute ancora se sia necessario il consenso, quando invece è fondamentale, ma molte persone sembrano fare orecchie da mercante. Probabilmente, oltre a un interesse personale, c’è una spinta culturale molto forte. C’è anche la questione degli stereotipi: l’uomo è spesso considerato naturalmente più aggressivo, più violento, più predatorio, e questo non aiuta. Poi c’è la colpevolizzazione della vittima, presente sia in cause storiche sia recenti: la vittima viene spesso giudicata per come è vestita o per come si è comportata. Questo fa parte della nostra cultura. Inoltre, emergono nuovi fenomeni culturali, come i movimenti Incel e Red Pill: maschi che si sentono esclusi dal potere femminile, e questo aumenta la rabbia di alcuni ragazzi e uomini”.

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Il ruolo della scuola, della famiglia e il potere dei social

Quanto conta, dottore, il ruolo della scuola e della famiglia nella costruzione di una corretta educazione affettiva e relazionale? E quanto, invece, i social media rappresentano un rischio nell’alimentare modelli distorti di relazione, possesso e controllo?

“Scuola e famiglia sono fondamentali. Tuttavia, in Italia, c’è un corto circuito culturale. L’educazione affettiva e sessuale nelle scuole non è ancora la norma. Si discute di riproporla, ma con il consenso delle famiglie, che può, quindi, favorirla o ostacolarla, e questo crea un punto di stallo. Siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi.
Diverso è il ruolo dei social media, che hanno un potere enorme. Recenti ricerche evidenziano dati molto allarmanti su come influenzino la costruzione dell’identità di genere, soprattutto nei ragazzi. Spesso, un giovane che crea un profilo online riceve in poco tempo messaggi che alimentano un’immagine disfunzionale della donna e l’aggressività nei suoi confronti e questo va gestito in modo diverso”.

I campanelli d'allarme e gli interventi preventivi

Quali sono i segnali da non sottovalutare che indicano difficoltà nella gestione delle relazioni affettive? E quali sono i primi interventi concreti che possono mettere in atto genitori e insegnanti?

“In Italia osserviamo spesso i segnali solo dopo che la violenza è avvenuta. Se c’è uno spintone o uno schiaffo, siamo già di fronte a forme di violenza. Ma manca una buona cultura della prevenzione. Per intervenire prima, possiamo osservare alcuni indicatori: per esempio, persone che si lamentano e scaricano sempre la responsabilità sugli altri, mostrando di non essere pronte ad assumersi le proprie responsabilità. Questo si riflette anche nella colpevolizzazione della donna. È importante è anche osservare la gestione dei conflitti: chi diventa competitivo, genera escalation o cerca di sovrastare l’altro, potrebbe essere a rischio di comportamenti violenti, soprattutto se alza l’asticella del conflitto verso il controllo. Altro segnale è l’insistenza e la pretesa: persone che non accettano un no e continuano a insistere. Anche se hanno avuto un rapporto, vanno osservate con attenzione, perché spesso ripetono questi comportamenti. Un altro aspetto sono le promesse vuote: chi promette cambiamenti ma non li mantiene, mostrando solo un controllo mascherato da impegno.

Per quanto riguarda gli interventi, famiglie e scuole devono imparare a chiedere aiuto. Non bisogna pensare di farcela da soli con approcci approssimativi, ma rivolgersi a professionisti, come psicologi o esperti in prevenzione della violenza. Importante è anche lavorare sulla prosocialità, insegnando il rispetto, la solidarietà e l’aiuto reciproco. In Italia questa dimensione non è mai stata sviluppata a sufficienza, anche se faceva parte delle indicazioni nazionali per la scuola. Un’altra attenzione riguarda gli stimoli adeguati all’età: spesso non si controlla l’uso di videogiochi o strumenti non adatti ai minori, che possono influenzare negativamente. Infine, l’autonomia personale è fondamentale: un ragazzo che sa essere autonomo nelle attività quotidiane non peserà sulle ragazze o sulle donne, e una ragazza indipendente dal punto di vista affettivo sarà meno propensa a legarsi a qualcuno che esercita violenza. Ci sono molte forme di intervento possibili e speriamo che l’Italia diventi sempre più sensibile e attenta su questi temi”.

Di: Viviana Franzellitti, giornalista

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