Cosa c’è in Manovra sulle pensioni e cosa non c’è

Scopri quali misure di flessibilità sono confermate, come l’APE Sociale, e quali strumenti come Quota 103 e Opzione Donna non vengono rinnovati. Una panoramica chiara per capire l’impatto sulle pensioni e sui lavoratori, specialmente nel settore sanitario.

Sommario

  1. Ape sociale 2026
  2. Quota 103 e opzione donna
  3. Età pensionabile: adeguamento e mini-sterilizzazione
  4. Misure assenti e richieste non accolte dal settore sanitario
  5. Confronto con gli anni precedenti e reazioni
  6. Impatto per i professionisti della sanità pubblica e privata

Nella bozza della Legge di Bilancio 2026 sono confermate alcune misure previdenziali già esistenti, mentre altre opzioni di flessibilità in uscita risultano assenti. In particolare, viene prorogato per tutto il 2026 l’APE Sociale, cioè l’anticipo pensionistico a carico dello Stato per categorie svantaggiate, mentre non trovano spazio “Quota 103” e “Opzione Donna”, che il Governo ha deciso di non rinnovare ritenendole troppo onerose rispetto ai risultati ottenuti. Di fatto, nel testo del ddll’art. 39 proroga l’APE Sociale fino al 31 dicembre 2026, mentre non viene menzionata alcuna estensione di Quota 103 o Opzione Donna.

Ape sociale 2026

L’APE Sociale 2026 è la misura – introdotta in via sperimentale nel 2017 e ora estesa al 2026 – consente il pensionamento anticipato a 63 anni e 5 mesi di età per i lavoratori in determinate condizioni di difficoltà. Restano infatti i consueti requisiti: almeno 30 anni di contributi versati e l’appartenenza a una delle categorie tutelate. In particolare possono accedere all’APE Sociale i disoccupati senza ammortizzatori, i caregiver che assistono familiari con disabilità, gli invalidi civili ≥74% e gli addetti a lavori gravosi o usuranti. L’APE è erogata come assegno ponte (massimo 1.500 € lordi mensili) fino al raggiungimento dell’età di vecchiaia. La proroga al 2026 garantirà quindi un canale di uscita anticipata a circa 24 mila persone secondo le stime (nel 2025 gli accessi sono stati circa 21 mila). Per finanziare l’APE Sociale e altre misure previdenziali, la manovra stanzia circa 500 milioni per il 2026 (3,6 miliardi nel triennio 2026-28). 

Quota 103 e opzione donna

Stop a Quota 103 e Opzione Donna: al contrario, il 2026 segna la fine delle due principali forme di pensione anticipata temporanee degli ultimi anni. Quota 103, introdotta nel 2023 (62 anni d’età e 41 di contributi, con importo dell’assegno limitato fino all’età di vecchiaia), non viene prorogata oltre la scadenza di fine 2025. Allo stesso modo Opzione Donna, che fin dal 2004 permetteva alle lavoratrici un’uscita anticipata accettando il ricalcolo contributivo dell’assegno, esce dal testo di bilancio 2026. Già la Legge di Bilancio 2023 ne aveva fortemente ristretto l’accesso (riservandolo solo a donne con 60 anni d’età in specifiche condizioni: caregiver, disabili ≥74% o licenziate, con ulteriori abbattimenti per figli) e ora la misura non viene rinnovata. Dal 2026 dunque l’unica forma di pensionamento anticipato “straordinario” rimane l’APE Sociale, oltre alle vie ordinarie previste dalla riforma Fornero. 

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Età pensionabile: adeguamento e mini-sterilizzazione

La manovra interviene anche sul tema dell’età pensionabile, legata all’aspettativa di vita. La normativa vigente (riforma Fornero) prevedeva un incremento automatico di 3 mesi dei requisiti nel 2027 (e ulteriori aggiustamenti negli anni seguenti). Nel testo 2026 il Governo ha scelto una sterilizzazione parziale di questo aumento: dal 2027 l’età di vecchiaia salirà solo di 1 mese (67 anni + 1 mese) e l’anno seguente di ulteriori 2 mesi (arrivando a 67 anni + 3 mesi nel 2028), anziché applicare subito l’intero scatto di tre mesi. Analogamente, i requisiti di pensione anticipata ordinaria passeranno dagli attuali 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne) a 42 anni 11 mesi nel 2027 e 43 anni 1 mese nel 2028 (un anno in meno per le donne). Questa dilazione “a finestra” attenua leggermente l’inasprimento previsto, con un impatto finanziario più sostenibile secondo il MEF. Va ricordato che tali adeguamenti sono determinati dagli indici ISTAT sulla speranza di vita e, salvo ulteriori interventi legislativi, dal 2029 potrebbe scattare un ulteriore aumento di due mesi (fino a 67 anni e 5 mesi) già stimato dagli attuari. 

Esenzione per lavori gravosi/usuranti: la mini-riforma sopra descritta non si applicherà a una platea ristretta di lavoratori “protetti”. La legge di bilancio infatti esenta dall’aumento dei requisiti, fino al 2028, i lavoratori addetti a mansioni gravose o usuranti. In pratica, chi rientra nelle categorie di lavoro gravoso/usurante continuerà ad andare in pensione con i requisiti attuali (67 anni di età, 42/41 anni di contributi) senza i 3 mesi aggiuntivi, almeno fino a fine 2028. Tra le categorie escluse dall’incremento figurano ad esempio: operai dell’edilizia, conduttori di convogli ferroviari, maestre d’infanzia, infermieri turnisti, addetti all’assistenza di disabili non autosufficienti, facchini, operatori ecologici, agricoltori, lavoratori siderurgici e altri impieghi particolarmente faticosi. Secondo i dati del Governo, questa esenzione riguarda solo circa il 2% dei nuovi pensionati nei prossimi anni, segno che la stragrande maggioranza dovrà comunque fare i conti con l’innalzamento graduale dell’età pensionabile. 

Misure assenti e richieste non accolte dal settore sanitario

Diversi osservatori sottolineano “cosa non c’è” nel capitolo pensioni della manovra 2026, in particolare rispetto alle aspettative di maggior flessibilità in uscita per i lavori usuranti espressa da alcune categorie – tra cui i professionisti della sanità. Di fatto, sono state azzerate tutte le forme di pensionamento anticipato flessibile, oltre all’APE sociale confermata. Non compaiono nel testo né la cosiddetta “Quota 41” (pensione anticipata con 41 anni di contributi a prescindere dall’età) né altre misure strutturali di flessibilità in uscita per chi svolge lavori gravosi. Le uniche deroghe per i lavori pesanti restano quelle già menzionate: il congelamento temporaneo dell’aumento dell’età e la possibilità di accedere all’APE Social se in possesso dei requisiti. Non viene introdotto alcun nuovo canale di pensione anticipata specifico per medici, infermieri o altre professioni sanitarie impegnate in attività usuranti. Le rappresentanze della categoria avevano auspicato interventi in tal senso – ad esempio l’equiparazione dei profili sanitari ai lavori usuranti ai fini previdenziali – ma tali proposte non hanno trovato spazio. Già in passato i sindacati dei medici ospedalieri (Anaao Assomed) avevano denunciato “l’ennesima immotivata discriminazione” nel vedere esclusi i medici dalle tutele riservate ai lavoratori usuranti, rivendicando che “il lavoro usura anche i medici” e chiedendo deroghe sull’età pensionabile anche per loro. Queste istanze restano ad oggi senza risposta nella manovra. 

Confronto con gli anni precedenti e reazioni

La legge di bilancio per il 2026 segue una linea di continuità restrittiva rispetto alle misure temporanee adottate negli ultimi anni, consolidando il ritorno al quadro ordinario della riforma Fornero. Negli anni scorsi erano state introdotte deroghe sperimentali per attenuare la rigidità del sistema contributivo puro post-2011: in particolare Quota 100 (2019-2021), poi Quota 102 (2022) e infine Quota 103 (2023-2025) hanno permesso, a platee via via decrescenti, l’uscita anticipata combinando requisiti di età e anzianità contributiva. Tali formule, tuttavia, non hanno mai coinvolto numeri elevati di sanitari – sia per la difficoltà di maturare contributi così elevati in giovane età, sia per le penalizzazioni economiche previste – e in generale sono state utilizzate meno del previsto (Quota 103, ad esempio, è stata richiesta da pochi lavoratori rispetto alle stime iniziali). Opzione Donna, dal canto suo, era divenuta negli ultimi anni una strada sempre più stretta: nel 2021-2022 era accessibile a quasi tutte le lavoratrici con 58-60 anni, ma con importi decurtati; dal 2023 solo a profili molto specifici, riducendo drasticamente il bacino delle beneficiarie. La manovra 2026 chiude questo ciclo di sperimentazioni, lasciando in vigore solo le deroghe strutturali ormai consolidate (lavoratori precoci con 41 anni di contributi in specifiche condizioni, lavori usuranti notturni, ecc.) e l’APE sociale prorogata. Come osserva un rapporto COSMED, la legge di bilancio ha prodotto “praticamente il nulla” sul fronte pensioni, limitandosi a far scattare per intero l’adeguamento Fornero (67 anni e 3 mesi dal 2028) con un leggero sconto di un mese nel 2027 e l’esenzione per pochi addetti a mansioni gravose. Di conseguenza, le confederazioni sindacali hanno bocciato l’impianto previdenziale della manovra, sottolineando che per l’aumento dell’età non è stato previsto alcun vero blocco generalizzato e che “nuovamente viene azzerata ogni forma di flessibilità in uscita” per i lavoratori. Anche secondo i sindacati dei pensionati e del pubblico impiego, il Governo ha scelto di risparmiare sulla spesa previdenziale (circa 3 miliardi annui evitati non congelando l’età per tutti) a scapito delle aspettative di migliaia di lavoratori prossimi alla pensione. Particolarmente critico il giudizio sulla cancellazione di Opzione Donna, definita dai sindacati “l’ennesimo schiaffo al lavoro femminile” in un sistema che non riconosce i carichi di cura e le carriere frammentate delle donne. Dal lato opposto, il Governo motiva la scelta di eliminare Quota 103 e Opzione Donna evidenziando la necessità di contenere la spesa e il modesto impatto di queste misure: entrambe erano considerate troppo costose in rapporto al ridotto numero di aderenti e avrebbero sottratto risorse ad altri capitoli prioritari. 

Impatto per i professionisti della sanità pubblica e privata

In concreto, cosa comportano queste disposizioni per medici, infermieri, farmacisti e dirigenti sanitari, sia nel pubblico che nel privato? Dal punto di vista previdenziale, i dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale rientrano nella previdenza generale INPS (Fondo Lavoratori Dipendenti Stato): per loro valgono quindi integralmente i requisiti sopra descritti. Ad esempio, un’infermiera ospedaliera che nel 2025 abbia 62 anni di età e 41 anni di contributi non potrà più usufruire di Quota 103 nel 2026 e dovrà attendere i requisiti ordinari (la pensione di vecchiaia a 67 anni, salvo maturare prima i 41 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata) – oppure verificare se può rientrare nell’APE Sociale. Se svolge turni di lavoro su notte e festivi in reparto, la buona notizia è che non subirà l’aumento dell’età pensionabile nel 2027-2028, grazie all’esenzione per lavori gravosi. Tuttavia ciò non le anticipa la pensione, ma semplicemente evita un ulteriore slittamento di qualche mese: resterà necessario raggiungere 67 anni o l’anzianità contributiva piena per lasciare il lavoro. Un medico dipendente vicino alla pensione di vecchiaia (ad esempio un classe 1960) vedrà anch’egli l’età anagrafica elevarsi a 67 anni e 1 mese nel 2027 e 67 anni e 3 mesi dal 2028, a meno che non rientri tra le rarissime eccezioni (difficile, poiché i medici non sono inclusi tra i “gravosi” a meno che abbiano svolto oltre 78 notti lavorative annue continuativamente). Nella sanità privata accreditata, i lavoratori dipendenti sono anch’essi iscritti all’INPS e quindi seguiranno le stesse regole dei colleghi pubblici. 

Discorso a parte meritano i professionisti sanitari liberi professionisti (es. medici convenzionati, odontoiatri, farmacisti titolari, biologi, etc.), i quali sono in genere iscritti a Casse previdenziali autonome (ENPAM, ENPAPI, ENPAF, etc.) e non direttamente soggetti alle modifiche delle norme INPS. Questi enti adottano regolamenti propri: ad esempio, l’ENPAM medici prevede l’età pensionabile di base a 68 anni (già allineata all’aspettativa di vita), con possibilità di anticipo o posticipo entro certi limiti. Le scelte del legislatore nazionale in materia di età pensionabile fungono comunque da parametro di riferimento anche per le casse professionali, influenzandone gli adeguamenti attuariali. In assenza di interventi specifici in manovra, un medico di medicina generale o un farmacista continuerà a far riferimento ai requisiti stabiliti dal proprio ente previdenziale di categoria, che al momento rispecchiano grosso modo quelli vigenti nel sistema pubblico (e potranno essere rivisti in futuro tenendo conto dell’evoluzione demografica). Dunque, per i liberi professionisti sanitari non vi sono cambiamenti immediati determinati dalla legge di bilancio statale, sebbene il quadro generale confermi la tendenza all’innalzamento dell’età pensionabile anche nel loro orizzonte. 

In sintesi, la Manovra 2026 in tema di pensioni offre pochi spiragli di uscita anticipata aggiuntivi per chi opera nella sanità, sia pubblica che privata. Chi svolge professioni sanitarie usuranti beneficia unicamente di misure limitate: il mantenimento dell’APE Sociale (a cui però accede solo chi rientra nelle strette condizioni previste) e il temporaneo congelamento dei 3 mesi di aspettativa di vita (che evita un piccolo peggioramento ma non introduce nuovi vantaggi sostanziali). Per il resto, medici e infermieri dovranno pianificare il proprio pensionamento secondo le regole ordinarie: l’orizzonte resta quello dei 67 anni (in aumento) o dei 42 anni circa di contributi, a meno di appartenenza a categorie tutelate. Le organizzazioni di categoria continueranno probabilmente a premere per soluzioni più flessibili – come incentivi al ricambio generazionale e riconoscimenti del burnout lavorativo – ma al momento l’impianto della legge di bilancio appare improntato a rigore finanziario e sostenibilità attuariale, più che a venire incontro alle richieste di chi chiede di poter lasciare anticipatamente il lavoro sanitario gravoso. Al momento quindi nessuna svolta strutturale: l’auspicata inversione di rotta sul fronte previdenziale è rimandata a futuri provvedimenti. 

Di: Marco Ginanneschi, commercialista-revisore legale e fondatore di Sercam Advisory

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