È sempre dibattuta la questione relativa alla definizione del perimetro di attività di competenza – e quindi di conseguente responsabilità - del fisioterapista rispetto a quella del fisiatra, ovvero di altre figure professionali con cui il primo si trova ad operare in stretta collaborazione.
A tal riguardo, occorre ricordare che, nell’ultimo decennio, tutte le professioni sanitarie, inclusa quella del fisioterapista, sono entrate in una nuova era, che va dischiudendo nel tempo tutta una serie di opportunità, certamente rilevanti anche in termini di miglioramento del condizioni lavorative ed economiche, che però rendono, contemporaneamente, sempre più ampia l’area dei possibili rischi di veder affermate responsabilità proprie, ovvero in concorso con altre figure sanitarie, per danni eventualmente cagionati a pazienti.
Se fino a qualche decennio fa, risultava estremamente raro incontrare pronunce giudiziali di condanna al risarcimento rese nei confronti di soggetti, che non rivestissero il ruolo di medico, attualmente si registra un sempre più alto coinvolgimento diretto di altre categorie professionali della Sanità, complice anche la possibilità di individuare, con maggiore precisione, competenze specifiche ed individuali nell’ambito dell’approccio multidisciplinare al paziente.
Le principali situazioni che espongono il fisioterapista a responsabilità
Esaminando alcune situazioni cliniche che, assurte al contezioso giudiziale, hanno visto protagonista la categoria dei fisioterapisti, è data la possibilità di enucleare alcune ipotesi specifiche che, se dimostrate, potrebbero condurre al riconoscimento di responsabilità, foriere di risarcimenti economici a favore di pazienti eventualmente danneggiati.
Solo a titolo esemplificativo, e senza che ciò possa considerarsi esaustivo di tutte le possibili fonti di colpa, il fisioterapista può essere ritenuto responsabile se:
- Esegue una manovra in modo scorretto, o comunque con modalità tali da provocare un pregiudizio al malato.
- Omette di utilizzare le attrezzature necessarie al trattamento programmato, ovvero di verificare preventivamente il loro corretto funzionamento.
- Non predispone un ambiente sicuro per i pazienti ricevuti, trascurando di eliminare le fonti di potenziali rischi per gli stessi.
- Non adatta la terapia riabilitativa prevista alle effettive condizioni psicofisiche del paziente ed alla sue prevedibili evoluzioni.
- Non sorveglia adeguatamente il malato durante l'esecuzione degli esercizi.
- Persiste nello svolgimento di un trattamento, anche quando ne rileva la sua potenzialità dannosa ovvero ne possa comprendere l’inadeguatezza rispetto al caso trattato, senza altresì fornire adeguata segnalazione al medico prescrittore.
Paziente caduto durante la riabilitazione
Di recente, il Tribunale di Ferrara (sent. 235/2024) si è occupato del caso di un paziente che, preso in carico dall’unità riabilitativa di tipo intensivo di una struttura sanitaria a causa di emiplegia sinistra, ipostenia destra da CIP, disordini del controllo assiale, emianopsia, emianestesia, eminegligenza e disordini cognitivi diffusi, era improvvisamente caduto durante l’esecuzione di alcuni semplici esercizi.
Nel delineare gli aspetti più rilevanti della vicenda, il giudice ha avuto modo di riscontrare, nel caso giunto al suo apprezzamento, come la condotta del fisioterapista, che aveva preso in gestione il paziente in regime di day hospital, fosse stata assolutamente adeguata, prudente e conforme al caso concreto.
Il malato non era infatti mai stato lasciato solo, trovandosi il fisioterapista a distanza minima al momento della caduta, dovuta non tanto ad una mancata sorveglianza, invero continuativamente fornita, quanto ad un improvviso movimento del tutto fortuito, né altrimenti evitabile, durante l’esecuzione di un passaggio posturale che, peraltro, lo stesso paziente aveva più volte fatto in totale autonomia, utilizzando il supporto manuale presente anche in quel caso.
Erroneo trattamento ed omessa sorveglianza
Ad esito completamente opposto è invece giunto il Tribunale di Genova (sent. n.1245/2024) riguardo al caso di un fisioterapista, di cui ha affermato la responsabilità autonoma rispetto agli altri professionisti, parimenti coinvolti, per la mancata adozione di uno strumento "essenziale ed indispensabile" per la pratica riabilitativa, specificando come le prestazioni richieste fossero del tutto routinarie per gli specialisti del settore.
Il caso affrontato nelle aule di Giustizia riguardava una paziente che, dopo essere sottoposta ad intervento di protesizzazione della spalla sinistra, accedeva al piano di riabilitazione post operatoria che si svolgeva regolarmente secondo il piano terapeutico predisposto, fino a quando, durante una mobilizzazione passiva con estensione forzata del braccio sinistro, lamentava forte dolore, con relativa diagnosi di frattura dell’estremo esterno della clavicola sinistra.
A questa ricostruzione, ne veniva opposta un’altra dai professionisti convenuti per cui, a loro dire, l’evento sia era verificato mentre la paziente stava eseguendo in autonomia gli esercizi alla spalliera, peraltro in modo non corretto.
Raccolte tutte le testimonianze rese disponibili e l’opinione espressa dal CTU nominato, il Giudice è comunque giunto alla medesima affermazione di responsabilità del fisioterapista osservando che, non solo non aveva valutato attentamente le condizioni generali della paziente, ma non aveva neppure adottato un progetto di riabilitazione individualizzato, né tantomeno lo aveva aggiornato ed adeguato costantemente.
Ad ogni buon conto, sia nell’ipotesi in cui la frattura fosse avvenuta per un’erronea manovra di flessione-estensione del braccio che, seguendo l’opposta tesi, durante l’esercizio alla spalliera svolto autonomamente dalla paziente, l’evento dannoso è stato considerato comunque imputabile al comportamento negligente/imperito del professionista, nel primo caso per aver malamente eseguito un trattamento ritenuto routinario nel settore, nell’altro per non averle impedito al malato di svolgere un esercizio che, nelle sue condizioni, non avrebbe potuto sostenere.
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L’autonomia professionale del fisioterapista
Ritornando ai compiti propri del fisioterapista, deve essere quindi chiaro che, ferma restando la competenza diagnostica e prescrittiva del medico fisiatra, il primo è comunque tenuto ad:
- elaborare, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all'individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile;
- praticare autonomamente l’attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali;
- proporre l'adozione di protesi ed ausili, addestrando il paziente all'uso e verificandone l'efficacia;
- verificare la rispondenza della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
Questo significa che, diversamente da quanto spesso si creda, ciascun membro del team multidisciplinare protagonista nel progetto riabilitativo, incluso il fisioterapista, deve sempre mantenere, non soltanto il pieno controllo dell’attività di sua specifica competenza, ma finanche massima attenzione alle prestazioni poste in essere da altri operatori coinvolti nel medesimo progetto riabilitativo, attivandosi ogni qualvolta sia possibile individuare potenziali rischi per la salute del paziente.