Il 26 maggio scorso, Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Acoi (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani) hanno denunciato con forza un fenomeno sempre più evidente e preoccupante: l’occupazione sistematica degli ospedali da parte delle Università. Al centro della protesta, la cosiddetta "clinicizzazione", ovvero l’attribuzione di reparti ospedalieri a fini didattici e accademici, che secondo i sindacati ha ormai travalicato i limiti della formazione e della ricerca, trasformandosi in una vera e propria strategia di conquista di spazi di potere da parte del mondo universitario.
La denuncia: carriere bloccate, competenze svalutate
I medici ospedalieri, secondo i sindacati, si trovano oggi sempre più spesso a operare in reparti formalmente “clinicizzati”, cioè sottoposti alla direzione di professori universitari nominati direttamente dai rettori degli Atenei, senza necessità di concorso, a differenza dei colleghi ospedalieri. Un meccanismo che non solo mina alla base i percorsi di carriera all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ma che crea anche profonde disuguaglianze e tensioni interne.
“Ci rifiutiamo di condannare i medici ospedalieri a cedere spazi e competenze all’Università – ha dichiarato Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed – relegandoli nella riserva di un SSN povero e per i poveri, lasciando ad altri il ‘lusso’ della formazione e dell’assistenza ad alta specializzazione.”
A preoccupare i sindacati non è solo l’impatto sulla carriera dei professionisti ospedalieri, ma anche la qualità stessa del sistema sanitario. Reparti che diventano “cliniche universitarie” anche in assenza di requisiti clinici adeguati – come casistica, personale o strumentazione – rischiano di compromettere la formazione degli specializzandi e, più in generale, la tenuta del sistema.
Formazione gratuita e obbligatoria? Il carico invisibile sugli ospedalieri
Un altro punto critico riguarda il ruolo degli ospedalieri nella formazione dei giovani medici. In molti casi, spiegano Anaao, Cimo e Acoi, i medici ospedalieri si trovano di fatto a dover svolgere il lavoro di tutor per gli specializzandi senza ricevere alcun riconoscimento economico o professionale, pur non essendo formalmente coinvolti nei percorsi accademici.
“È intollerabile che, mentre affrontano carichi di lavoro insostenibili a causa delle carenze di organico, i medici ospedalieri debbano anche farsi carico della formazione pratica degli specializzandi senza alcun compenso aggiuntivo”, denuncia Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed.
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Università e ospedali: da collaborazione a conflitto
Se in teoria la clinicizzazione dovrebbe rappresentare un punto d’incontro tra formazione, ricerca e assistenza, nella pratica si è trasformata – secondo i firmatari della denuncia – in una relazione profondamente sbilanciata. Manca una chiara definizione delle responsabilità, delle dotazioni minime necessarie per svolgere attività didattica e di ricerca, e soprattutto una visione condivisa del rapporto tra Università e SSN.
“Decidere di premiare solo la competenza accademica, trascurando quella operativa maturata sul campo, significa mettere a rischio la sicurezza dei pazienti – avverte Vincenzo Bottino, presidente Acoi –. La nostra è una professione che vive tra formazione permanente e azione diretta: escludere chi ha esperienza operativa significa ignorare una parte fondamentale del nostro lavoro”.
Le richieste dei sindacati
Anaao, Cimo e Acoi chiedono quindi un intervento urgente al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni per:
- bloccare l’espansione incontrollata della clinicizzazione;
- garantire trasparenza e meritocrazia nelle nomine delle direzioni di struttura;
- riconoscere e retribuire il ruolo formativo svolto dai medici ospedalieri;
- costruire una reale collaborazione tra Università e SSN nel rispetto delle funzioni e delle competenze di ciascuno.
“Occorre porre fine a questa deriva – concludono i sindacati – prima che si comprometta definitivamente la qualità del nostro sistema sanitario pubblico”.