Vincolo di esclusività, l’appello dei professionisti per una maggiore flessibilità

Diego Catania, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, passa in rassegna i principali motivi per cui è tempo di riformare il decreto 165/2001

Sommario

  1. Professionisti bloccati, sistema impoverito
  2. Una disparità che non ha più senso
  3. Una riforma non più rinviabile

Torna al centro del dibattito la deroga al vincolo di esclusività per i professionisti del comparto sanitario. Un vincolo normativo, figlio del decreto legislativo 165 del 2001, che impone a oltre 700mila professionisti del Servizio sanitario nazionale il divieto di esercitare attività libero-professionali al di fuori dell’orario di servizio. A spingere con forza per un cambio di paradigma è la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM e PSTRP), che rappresenta oltre 160mila iscritti. “Questo blocco impedisce a centinaia di migliaia di professionisti di esercitare la libera professione fuori dall’orario di servizio, anche in strutture private accreditate – spiega Diego Catania, Presidente della Federazione –. È una barriera che ostacola non solo la libertà, ma anche la piena espressione del valore intellettuale delle nostre professioni”.

Professionisti bloccati, sistema impoverito

Il tema è doppiamente cruciale: da un lato si tratta della dignità professionale dei singoli, dall’altro della tenuta del sistema sanitario nazionale in un contesto di carenza cronica di personale. “Superare il vincolo di esclusività non significa solo dare più opportunità ai professionisti – continua Catania –. Significa rendere i nostri corsi di laurea più attrattivi, rispondere con maggiore flessibilità alle esigenze del territorio, valorizzare competenze che oggi restano inutilizzate”.

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Una disparità che non ha più senso

C’è poi una questione che brucia ancora di più: quella delle diseguaglianze tra professioni. “Non si può più tollerare che esistano professioni sanitarie di serie A e di serie B – denuncia la Federazione –. Oggi alcuni professionisti possono esercitare liberamente attività extra-moenia, mentre altri no. È una discriminazione non solo ingiustificata, ma dannosa per tutto il sistema salute”. Dietro questa disparità si cela una visione anacronistica della sanità, che ancora fatica a riconoscere le professioni sanitarie come professioni intellettuali, autonome e ordinate. “Noi non siamo più figure ausiliarie. Abbiamo competenze avanzate, responsabilità cliniche, ordini professionali. Chiediamo solo di essere trattati come tali”.

Una riforma non più rinviabile

Per questo la Federazione lancia un appello chiaro: è tempo di riformare il decreto 165/2001. Di superarlo. Di restituire ai professionisti sanitari la libertà di esercitare, di valorizzare il proprio sapere, di contribuire in modo pieno alla salute pubblica. “Non si tratta solo di un diritto, ma di una necessità”.

Di: Isabella Faggiano, giornalista professionista

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