Responsabilità in Pronto Soccorso: i sintomi aspecifici e non univoci salvano il sanitario

In Pronto soccorso il medico salvo dalla rivalsa del paziente: sintomi aspecifici. Analizziamo un caso di responsabilità professionale.

Uno dei ruoli più critici di tutto il servizio sanitario è quello ricoperto dal medico d’emergenza-urgenza (acronimo MEU), che è un professionista altamente specializzato il cui compito, in estrema sintesi, è quello di prestare assistenza ai pazienti che presentano condizioni cliniche critiche o potenzialmente evolutive individuando, nel più breve tempo possibile, la diagnosi più corretta ed indirizzandoli al percorso terapeutico più adeguato rispetto al caso concreto.

La definizione giurisprudenziale del medico d’emergenza

Come insegna la migliore giurisprudenza (da ultimo, Cass. Pen. n. 45602/21), il paradigma dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso risulta, in genere, circoscritto alle specifiche competenze proprie della branca della medicina definita d'emergenza o d'urgenza, avendo fra i suoi compiti prevalenti quelli di eseguire gli accertamenti clinici necessari per la diagnosi, la decisione circa le cure da prestare e l'individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.

Strettamente correlata a questi tali doveri deve poi considerarsi la decisione inerente al ricovero del paziente e alla scelta del reparto a ciò idoneo.

La peculiarità del ruolo si rinviene nel fatto che tutte queste prestazioni possono risentire di un ulteriore elemento, che in sede di urgenza assume notevole rilevanza, ossia la tempistica, per cui può diventare rilevante, non soltanto da un punto di vista clinico ma anche giuridico, l’esecuzione dei compiti affidati nel più breve tempo possibile.

Rapidità, competenza e capacità decisionali diventano allora parametri decisivi per la valutazione della responsabilità dello specialista della medicina d’emergenza-urgenza.

Un caso recente di responsabilità professionale

Proprio nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione Civile si è trovata ad affrontare una fattispecie di danno che chiamava in causa proprio la condotta tenuta da alcuni sanitari nei confronti di un paziente che, lamentando una perdurante dolenzia alla regione emitoracica sinistra con formicolio distale delle dita ed alla mano sinistra, aveva fatto accesso al PS di un presidio ospedaliero.

Dopo essere stato visitato e sottoposto agli accertamenti strumentali, veniva dimesso con diagnosi di "artrosi acromion-claveare sinistra, con segni di conflitto sub acromiale ed artrosi cervicale", escluse problematiche cardiache.

Peggiorate le condizioni di salute, il paziente si recava nuovamente nel medesimo ospedale dove, all'esito di una TAC cerebrale, veniva ricoverato d'urgenza per diagnosi di "mielopatia cervicale in ernie discali C5-C6-C7", che imponeva un immediato intervento chirurgico, con conseguente lungo periodo di riabilitazione all’esito dei quali permanevano gravi postumi invalidanti.

L’iter giudiziale di merito

Respinta in primo grado la domanda di risarcimento, formulata dal paziente nei confronti dell’azienda sanitaria e della rispettiva compagnia assicurativa per l’omessa individuazione di possibili disturbi neurologici, veniva presentato appello, anch’esso parimenti respinto sul presupposto che l’aver omesso di eseguire, in sede di primo accesso al PS, tutti gli accertamenti necessari per appurare l’esistenza di una patologia neurologica degenerativa fosse sostanzialmente in linea con il quadro sintomatologico presentato in quel momento,  non riscontrandosi alcun sintomo suggestivo che potesse deporre per la presenza di una compromissione del genere, per cui neppure il ricovero appariva una misura necessaria.

Veniva poi osservato, sulla scorta delle risultanze raccolte all’esito della CTU espletata, che l’indagine diagnostica oggetto di contesa non poteva rientrare, alla luce del corredo sintomatologico mostrato dal paziente, fra gli esami di primo livello per cui non era predicabile in Pronto soccorso, non essendo presenti elementi di urgenza/emergenza nel caso concreto, per cui doveva escludersi qualsiasi profilo di colpa nell'approccio diagnostico e terapeutico tenuto dal sanitario.

La decisione della Cassazione: medico assolto

La sentenza resa dalla Corte di Appello, gravata da plurimi motivi di censura presentati dalla difesa del paziente, ha trovato invece pieno conforto in sede di legittimità laddove, con l’ordinanza 8036/24, si è voluto perpetuare il ragionamento fondante l’esonero da responsabilità del medico di PS, per cui è da escludersi, alla luce delle conclusioni rassegnate dal CTU intervenuto, una sua condotta inadempiente alla prestazione sanitaria di "emergenza od urgenza" richiesta nel caso di specie, avendo il paziente manifestato una sintomatologia non univoca ed aspecifica, che deponeva unicamente per un approfondimento cardiologico od ortopedico.

Nessun sintomo suggestivo, che potesse indurre al sospetto di una patologia neurologica tale da imporre il ricovero del paziente, risultando invece corretta la decisione di rinviarlo all'attenzione del medico curante suggerendo una visita ortopedica e una terapia antinfiammatoria.

In assenza di questi sintomi, non era neppure ipotizzabile il ricorso all’esecuzione di una RMN, che di fatto non rientra fra gli esami di primo livello e quindi da eseguirsi in sede di PS, viste anche le condizioni cliniche mostrate dal paziente al momento del suo accesso.

Il fatto poi che la patologia midollare potesse essere già presente al momento dell’accesso, da cui l’imputazione colposa nei confronti del medico per aver eseguito indagini diagnostiche meramente parziali, non ha reso possibile una differente valutazione del suo operato che, invece, manteneva tutta la sua coerenza nel campo della medicina d’urgenza, laddove sia era in presenza di un quadro sintomatologico non univoco e aspecifico tale da non evidenziare sintomi di una patologia neurologica e da consigliare, quindi, ulteriori indagini in pronto soccorso o anche un ricovero.

Infine, non è stato ritenuto concludente il richiamo alla giurisprudenza che, in tema di medicina d’urgenza, prevede che l’approccio sia tendente soprattutto "al rapido inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento, per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l'accesso al pronto soccorso", dal momento che l’operato del sanitario incriminato è stato considerato conforme proprio alle linee guida stabilite quando l’attività di diagnosi è conseguente ad una sintomatologia aspecifica del paziente.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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