Invito a godere delle ferie arretrate: l’adempimento formale non salva la ASL

La Corte di Appello di Palermo, con la recente sentenza n. 569/2025, ha considerato inidonea a liberare l'ASP dai suoi oneri la comunicazione inviata al dipendente, dovendo invece invitare formalmente il proprio dipendente a fruire del periodo di riposo senza vincolo alcuno che non fosse ascrivibile alla deliberata volontà di quest'ultimo di rinunciarvi.

Sommario

  1. Ferie nel pubblico impiego: i principi fissati dalla giurisprudenza
  2. Il caso del pediatra e la richiesta di monetizzazione delle ferie
  3. La Cassazione chiarisce: onere al datore di garantire le ferie
  4. La Corte d’Appello di Palermo condanna l’ASP: 41mila euro al medico

Torna ancora alla ribalta la questione della monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego: nello specifico, è nuovamente il settore sanitario a suscitare nella giurisprudenza risposte chiare davanti a situazioni che, nella pratica, potrebbero portare ad interpretazioni fuorvianti.

 

La Corte di Appello di Palermo, evocata in sede di rinvio a seguito di pronuncia favorevole ricevuta in cassazione dal lavoratore, si è occupata di un aspetto spesso trascurato, soprattutto dalle amministrazioni, ovvero la delimitazione del perimetro degli oneri imposti alla parte datoriale per poter andare esente dal pagamento dell’indennità. 

Chiaramente, per converso, questo contributo assume decisiva rilevanza anche per i dipendenti, che in questo modo potranno comprendere, anticipatamente, se ed in quali situazioni è opportuno procedere alla richiesta di monetizzazione delle ferie non godute alla cessazione definitiva del rapporto di servizio. 

Ferie nel pubblico impiego: i principi fissati dalla giurisprudenza

Da tempo risultano ormai definiti, anche in ragione delle plurime pronunce rese dalla Corte di giustizia europea, alcuni principi che costituiscono l’architrave delle decisioni adottate dalla magistratura di merito sul tema dell’indennizzo sostitutivo per le ferie non godute nel pubblico impiego. 

In primis, le ferie annuali retribuite rappresentano un diritto fondamentale e irrinunciabile del lavoratore, con conseguente obbligo da parte del datore di lavoro di agevolarne la fruizione. 

Il diritto al pagamento di un emolumento economico, a compensazione dei giorni di ferie residuati al termine di rapporto, costituisce parte integrante del diritto alle ferie annuali retribuite. 

Il datore di lavoro è sempre tenuto a dimostrare di aver messo in condizioni il dipendente di fruire del previsto periodo di riposo, adottando le misure, anche organizzative, idonee al raggiungimento di questo risultato. 

La perdita del diritto alle ferie, e quindi alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto quando il datore di lavoro riesca a fornire la prova di ben specifici elementi. 

A tal proposito l’azienda, per tentare di andare esente dall’obbligo di pagamento dell’indennità, dovrà dimostrare di aver invitato il lavoratore a godere delle ferie (se necessario formalmente), nonché di averlo avvisato – in modo accurato e in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, queste andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. 

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Il caso del pediatra e la richiesta di monetizzazione delle ferie

La questione, giunta alla sua definitiva conclusione, trae origine dall’azione intrapresa da un dirigente medico di pediatria che, posto a riposo per motivi di salute, aveva richiesto il pagamento dell’indennità sostitutiva di 178 gg. di ferie non godute maturate nel corso del prestato servizio. 

In primo grado, la sua domanda era stata rigettata sul presupposto che, da un canto, non fosse stata fornita la prova della preventiva richiesta di ferie, respinta dall’azienda per ragioni di servizio, risultando dall’altro dimostrata la circostanza, che il medico era stato raggiunto da una comunicazione dell’amministrazione, con cui gli era stato proposto di programmare le ferie in modo tale che, ad una certa data, le avrebbe sostanzialmente esaurite.  

Anche in appello, la sorte della richiesta di monetizzazione non era differente avendo la Corte, enunciati i principi “medio tempore” acquisiti a seguito del mutamento giurisprudenziale in atto, considerato soddisfatto l’onere probatorio a carico della ASP per la presenza, in atti, di una comunicazione con cui, in risposta alla richiesta del dipendente, lo aveva espressamente invitato a “programmare, con cortese sollecitudine, un piano di ferie in modo da contemperare sia le esigenze organizzative e di servizio sia le esigenze del lavoratore alla fruizione del periodo feriale maturato e non goduto prima del collocamento a riposo” - e di un’altra nota successiva di qualche mese, con cui si comunicava allo stesso dipendente l'adozione d'ufficio di un dettagliato e puntuale piano di recupero delle ferie arretrate e si disponeva che costui “compatibilmente con le esigenze di servizio e con le proprie esigenze, mensilmente godrà di 6 giorni di ferie fino ad esaurimento delle suddette. Comunque, le ferie saranno godute prima del collocamento a riposo”. 

La Cassazione chiarisce: onere al datore di garantire le ferie

Giunta la questione in Cassazione su sollecitazione del dirigente medico, rimasto soccombente nel merito, il Supremo Consesso accoglieva le ragioni di doglianza, annullando la sentenza di secondo grado. 

Per giungere a tale conclusione, veniva riesaminato il contenuto della comunicazione aziendale alla luce del principio, più volte enunciato, per cui è il datore di lavoro a dover dimostrare di aver esercitato tutta la propria capacità per consentire al dipendente di fruire effettivamente delle ferie, eventualmente inoltrandogli anche un invito formale a goderne, assicurandosi altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio non fossero tali da impedirne l’utilizzo. 

Ciò posto, la Corte di legittimità ha quindi escluso che nella nota prodotta agli atti – e ritenuta nel merito esaustiva dell’onere probatorio a carico dell’amministrazione sanitaria – potessero individuarsi questi aspetti, in quanto l’esortazione a godere delle ferie residue “compatibilmente con le esigenze di servizio e con le proprie esigenze” mal si conciliava con il valore di intimazione perentoria, invece richiesta, mancando finanche qualsiasi riferimento all’effetto caducatorio del diritto in caso di mancato godimento, con relativa indicazione di un termine ultimativo diverso da quello, già previsto, della cessazione del rapporto di lavoro. 

La Corte d’Appello di Palermo condanna l’ASP: 41mila euro al medico

Forte dei principi di diritto affermati dalla Cassazione, per cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, “il dipendente non perde il diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, ove tale cessazione sia avvenuta per malattia che abbia impedito l'effettivo godimento del periodo di congedo ancora spettante” e “il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva; pertanto, non è idonea a fare ritenere assolto tale onere la comunicazione con la quale la P.A. chieda al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l'avviso menzionato e subordinando, comunque, l'utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative”, la questione è dunque ritornata alla Corte di Appello di Palermo che, in diversa composizione, ha infine accolto la domanda dell’ex dirigente medico.

Con la sentenza n. 569/2025, pubblicata lo scorso 16 giugno, il collegio palermitano ha espressamente rimarcato tutta l’inconsistenza della tesi propugnata dall’azienda sanitaria, che andava ancora ripetendo che il dipendente aveva perduto il diritto per non aver fornito la prova di aver preventivamente avanzato istanza di godimento delle ferie, considerando invece decisivo l’appezzamento della condotta illegittima tenuta dalla stessa amministrazione che, di fatto, aveva subordinato l’invito alla fruizione delle ferie alle esigenze del servizio ricoperto dal lavoratore.

Questo atteggiamento, enucleabile dal testo delle comunicazioni intercorse fra le parti, è stato quindi considerato inidoneo a liberare l'Azienda dai suoi oneri contrattuali, che per vero coincidono – secondo la motivazione addotta – “con quello di invitare formalmente il proprio dipendente a fruire del periodo di riposo senza vincolo alcuno che non fosse ascrivibile alla deliberata volontà di quest'ultimo di rinunciarvi”.

Su tali premesse, l’Azienda sanitaria resistente è stata quindi condannata al pagamento in favore dell’ex dirigente medico dell’importo di oltre 41 mila euro, a titolo di indennità sostitutiva per i 178 giorni di ferie maturate e non godute prima della cessazione del servizio, oltre interessi e rivalutazione, e con sonante vittoria delle spese di lite che, racchiudendo in sé i vari gradi di giudizio, ha visto superata la soglia dei 15 mila euro di rimborso.

 

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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