Telemedicina e concorso di colpa del paziente: un caso particolare

La Corte di Cassazione si è recentemente occupata di un caso di responsabilità sanitaria, dove la particolarità risiedeva nel fatto che la paziente, con la sua condotta colpevole per non essersi adeguata alle prescrizioni presenti sul foglio di dimissioni, aveva concorso nella misura del 50% alla verificazione dell’evento dannoso, con conseguente riduzione della condanna della struttura al pagamento della quota residuata.

Molto spesso ci si chiede se, anche davanti ad un caso di responsabilità sanitaria, la condotta colpevole del paziente possa o meno incidere sul risarcimento del danno, andandolo in qualche modo a ridurre rispetto all’importo ritenuto compensativo del pregiudizio provocato dall’errore, comunque imputabile al medico.

Questa ipotesi, talvolta poco esplorata, viene invece appositamente regolata dal nostro Codice civile che, oltre a descriverne il meccanismo, ne disciplina le conseguenze in giudizio.

La disciplina normativa

La condotta del paziente danneggiato assume rilevanza nell’ambito dell’apprezzamento della responsabilità professionale sanitaria, ormai confluita dall’entrata in vigore della L. n. 24/2017 nell’ampia categoria dei fatti illeciti, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. al primo comma dell’art. 1227 c.c.

Questa disposizione del nostro codice civile prevede infatti che “Se il fatto colposo del creditore [o del danneggiato] ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

La condotta del danneggiato

Il concorso di colpa del danneggiato nel determinismo causale di un evento lesivo, come può intendersi anche quello derivante da un episodio di malpratice medica, può essere individuato sia una condotta commissiva, che si identifica in un’azione concretamente realizzata dal paziente, che in un atto omissivo, che coincide con un non fare qualcosa che costui avrebbe dovuto compiere.

Esporsi consapevolmente al rischio di un danno, così come non assumere un comportamento che è lecito attendersi in una determinata situazione, è stato ritenuto sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato ai sensi del primo comma dell’art. 1227, proprio in considerazione del fatto che la responsabilità del danneggiato sussiste sia nell’ipotesi in cui cooperi positivamente al fatto lesivo realizzato dal danneggiante, sia quando ponga in essere una condotta omissiva che si inserisca fra gli antecedenti causali necessari alla verificazione del pregiudizio scaturito.

Le stesse Sezioni Unite nella nota pronuncia 24406/2011 hanno, infatti, affermato che “la responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui. Tale principio trova applicazione sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell'autore dell'illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex art. 1227, comma primo, cod. civ.”.

Il concorso di colpa del paziente

In genere, questa norma risulta scarsamente evocata nei procedimenti giudiziali per responsabilità professionale sanitaria, per cui pochi sono i casi in cui la giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi sulla sua portata specifica in questi ambiti.

Certo è che l’evoluzione sempre più rapida verso sistemi di assistenza a distanza (meglio conosciuti come telemedicina, teleconsulto ecc…), dove l’impegno e la cooperazione del paziente assumono un valore talvolta decisivo sull’esito dell’atto terapeutico, potrebbe far propendere per una maggiore diffusione di questa normativa in sede di giudizio, con conseguenze importanti in tema di ripartizione delle effettive responsabilità fra medico e paziente.

Di recente, si è peraltro registrato un pronunciamento della Corte di Cassazione (ord. n. 27151 del 22 settembre 2023), che si è occupata del caso di una paziente che, malgrado le prescrizioni ricevute dai sanitari del presidio ospedaliero dove era stata operata di artroprotesi totale di anca non cementata, aveva omesso di utilizzare il prescritto girello deambulatore, preferendo una comune sedia da casa, provocandosi danni per i quali aveva agito nei confronti dello studio fisioterapico a cui si era rivolta, sempre su indicazione del nosocomio, per i prescritti cicli di riabilitazione.

Dopo l’accertamento in Tribunale della responsabilità esclusiva dello studio, con conseguente condanna al risarcimento integrale del danno, la Corte di Appello riformava la sentenza riconoscendo la corresponsabilità, ai sensi dell’art. 1227 primo comma c.c., della paziente nella realizzazione dell’evento, quantificata nella misura del 50%, con relativa rideterminazione della condanna nella misura della metà di quanto precedentemente statuito.

Veniva quindi proposto ricorso per cassazione da parte della paziente che, fra le varie censure propugnate, si doleva di un preteso erroneo riconoscimento della sua concorrente responsabilità, ai sensi dell’art. 1227, 1° comma, c.c., per non essersi procurata da sé il girello deambulatore, così giungendo al riconoscimento del suo concorso di colpa nella misura del 50%.

Richiamati i principi regolatori della responsabilità sanitaria e rievocata la ripartizione dei rispettivi oneri probatori fra paziente e struttura, anche con riferimento al profilo essenziale del nesso di causalità, la Corte di Cassazione ha quindi confermato la sentenza resa dalla Corte di Appello, ritenendo che la stessa avesse correttamente motivato la sua decisione, essendo emerso chiaramente che, vista la prescrizione presente all’atto delle dimissioni, era compito precipuo della paziente procurarsi il “girello” deambulatore e il rialzo per il water, invero completamente disatteso.

Ulteriore elemento di responsabilità della stessa paziente veniva infine rintracciato nella circostanza che, in modo completamente autonomo, costei aveva deciso di utilizzare impropriamente una sedia comune al posto del prescritto girello, così inserendosi con la sua condotta nell’evoluzione causale del danno successivamente scaturito che, in modo ritenuto corretto a giudizio della Corte, è stato poi stimato nella misura del 50%.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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