Il dottor A. è un medico psichiatra responsabile del locale ufficio di Salute Mentale, dove ha in cura il paziente signor B, un soggetto con un vissuto particolare:
- abuso di sostanze stupefacenti,
- esplosioni di rabbia,
- suicidio fallito, in esito al quale riportò gravi lesioni,
- omicidio della fidanzata commesso oramai sedici anni prima.
Il dottor A, quale psichiatra di riferimento del piano riabilitativo del signor B, ritenendo che lo stesso stia migliorando decide di ridurre la terapia farmacologica e inserirlo all'interno di una struttura residenziale gestita da un'associazione che si occupa di questa particolare tipologia di pazienti; la struttura è a bassa soglia assistenziale.
Una notte il signor B, infastidito da uno dei pazienti della struttura, il signor C, lo uccide con un'ascia lasciata incustodita all'interno della struttura sferrandogli numerosi colpi al capo e al collo, sol perché era infastidito dal comportamento della vittima.
Il dottor A viene iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo, per avere, con la sua condotta, favorito la condotta omicidiaria del signor B nei confronti della vittima.
Il quadro normativo: concorso colposo nel reato doloso di omicidio
Il reato di omicidio di cui è accusato il dottor A rappresenta, per gli operatori del diritto, una fattispecie molto interessante: il concorso doloso nel delitto colposo, che si verifica quando un soggetto compie con coscienza e volontà (il dolo) un reato e viene aiutato o favorito, nel realizzare la condotta dolosa, dal comportamento attivo o omissivo di un altro soggetto, che non lo fa con coscienza e volontà bensì con negligenza, imprudenza o imperizia o per violazione di legge.
Nel nostro ordinamento giuridico è configurabile il concorso colposo di un soggetto in un reato doloso (come l'omicidio), purché il reato che commette il partecipe (nel nostro caso il dottor A) sia previsto dalla legge anche in forma colposa e nella condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa.
La giurisprudenza, in particolare, si è occupata più volte della posizione di garanzia che grava sul medico psichiatra nei confronti dei suoi pazienti e sul contenuti degli obblighi di protezione e controllo che ne derivano nei confronti di condotte autolesive o lesive del paziente verso i terzi.
Ad esempio, in passato è stato ritenuto colpevole di concorso colposo nel reato di omicidio lo psichiatra che, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunità, ne aveva determinato lo scompenso psichico, ritenuto durante il processo la causa della crisi nel corso della quale il paziente aveva aggredito e ucciso uno degli operatori che lo accudivano (Cassazione n. 10795/2007); in quel caso il paziente venne ritenuto non imputabile perché incapace di intendere e di volere, mentre lo psichiatra venne condannato per concorso colposo nel reato di omicidio.
La posizione di garanzia che lo psichiatra riveste nei confronti del paziente è chiara: il paziente psichiatrico è qualificato come una vera e propria fonte di pericolo rispetto alla quale lo psichiatra, quale garante, ha il dovere di neutralizzare gli effetti lesivi che il soggetto potrebbe avere verso i terzi (obbligo di controllo) e nei confronti di sé stesso (obbligo di protezione) attraverso comportamenti pregiudizievoli per sé o per gli altri.
La posizione dello psichiatra è naturalmente da valutare in base alla particolare complessità della situazione rischiosa da governare: in tal senso, assumono particolare importanza la selezione delle regole tecniche, delle raccomandazioni che orientano l'attività dello psichiatra nella scelta del percorso terapeutico.
La psichiatria, infatti, è una scienza particolare, in quanto le manifestazioni morbose a carico della psiche sono meno evidenti rispetto alle malattie fisiche, per le quali è tendenzialmente più semplice – rispetto alla psichiatria – individuare la patologia e la cura.
Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, la psichiatria mostra patologie spesso difficilmente controllabili completamente, anche in virtù del fatto che pratiche deprecabili di isolamento e segregazione del paziente in manicomio sono state – fortunatamente – abbandonate in favore di terapie che rispettano maggiormente la dignità umana ma che, purtroppo, non eliminano al 100% il rischio di condotte inconsulte da parte del paziente.
In questi casi è compito del giudice verificare se le pratiche terapeutiche poste in essere dallo psichiatra siano idonee a governare il rischio specifico di quel determinato paziente, sulla base delle raccomandazioni contenute nelle linee guida, che offrono indicazioni e spunti di riferimento sia per il paziente che per il giudice.
Le linee guida - alla stregua delle acquisizioni ad oggi consolidate - costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un'utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche.
Le linee guida hanno un contenuto orientativo, esprimono raccomandazioni: esse non indicano una analitica e automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti.
Pertanto, vanno applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico.
Il caso che ha visto protagonisti il dottor A e il suo paziente si è verificato molto tempo prima dell'entrata in vigore del nuovo articolo 590 sexies del codice penale, che esclude la punibilità quando l'evento (lesione o morte) si è verificato a causa di imperizia ma sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle citate linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
La nuova norma, più favorevole per il reo, non trova applicazione in quegli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida, né nelle situazioni concrete in cui le raccomandazioni debbano essere disattese per via della particolarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione che sia imposta da esigenze scientificamente motivate.
Leggi anche
L’evoluzione normativa e l’esito giudiziario
Il GIP aveva pronunciato, inizialmente, sentenza di non luogo a procedere nei confronti del dottor A perchè il fatto non sussiste.
Tuttavia la Corte di Cassazione, facendo applicazione dei principi esposti finora, ha stabilito che il Tribunale di primo grado, in nuova composizione, rivaluti la posizione penale del dottor A, rifacendosi alla normativa vigente nel 2012 (epoca dei fatti), che appare più favorevole al reo in quanto limita la responsabilità ai soli casi di colpa grave.
Il nostro ordinamento giuridico, infatti, stabilisce che quando si susseguono varie leggi nel tempo, al reo deve essere applicata sempre quella più favorevole (il cosiddetto principio del favor rei).
La Cassazione, inoltre, chiede al Tribunale di pronunciarsi nuovamente in merito alla posizione del dottor A e al suo concorso colposo nel reato di omicidio commesso dal paziente prendendo in considerazione le problematiche afferenti le linee guida e la professione di psichiatra, per come descritte nel paragrafo precedente.