Long Covid, studi e ricerche: a che punto siamo?
16/03/2023
In occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da coronavirus, che si celebra ogni 18 marzo, facciamo una panoramica sulle ultime scoperte relative al Long Covid

Sommario
Sembra trascorsa un’infinità di tempo ma dall’inizio del primo lockdown, voluto dall’allora governo Conte per contrastare la pandemia da Covid-19, sono passati “soltanto” tre anni. Ed esattamente due anni fa, ovvero il 17 marzo del 2021, è stata istituita la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da coronavirus che si celebra ogni 18 marzo. La data non è casuale ma è stata scelta per il forte valore simbolico di cui è intrisa: risalgono proprio al 18 marzo 2020 le immagini dei camion militari carichi di bare che percorrono le strade di Bergamo. Tre anni, dunque, in cui abbiamo imparato a conoscere e a convivere con un virus, il Sars-CoV-2, di cui letteralmente non sapevamo nulla, tanto s’è diffuso in maniera così rapida non solo nel nostro Paese ma in tutto il mondo.
L’importanza dell’aggiornamento continuo
Fondamentale, da questo punto di vista, si è dimostrata la tempestiva formazione degli operatori sanitari. In pochi mesi, se non addirittura settimane, hanno dovuto cambiare completamente il loro modo di approcciarsi ai pazienti e alle loro nuove esigenze. La nuova minaccia richiedeva l’immediata applicazione di nuove procedure e buone pratiche e i corsi da remoto hanno aiutato i professionisti ad affrontare al meglio le difficoltà nel corso degli ultimi tre anni.
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Anche grazie a ciò l’emergenza è stata gestita e circoscritta. Da diversi mesi non esistono più misure restrittive (ma di prudenza) per contrastare la diffusione del virus. Continuano invece, gli studi volti a capire se e in che modo l’avvenuto contagio può influire sulla salute del soggetto non solo nell’immediato ma anche con l’andare del tempo. Parliamo, dunque, di Long Covid. È infatti noto che può capitare, in seguito al contagio da Covid-19, che alcuni sintomi (come vertigini, mal di testa, difficoltà respiratorie, perdita di capelli, dolori muscolari, eccetera) possano persistere anche nei mesi successivi alla guarigione.
Una problematica non indifferente, tant’è che dagli Stati Uniti è partita una grossa mobilitazione sui social. Le vittime, provenienti da tutto il mondo si sono unite e hanno lanciato il Long Covid Awareness Day, una Giornata internazionale della consapevolezza sul Long Covid, che si celebra il 15 marzo.
La situazione a distanza di tre anni
Dall’inizio dell’emergenza il numero totale di contagi registrati nel mondo sfiora le 677 milioni di unità, mentre i decessi ammontano a quasi 7 milioni. Per quanto riguarda invece la situazione italiana, i contagi superano i 25 milioni e i morti le 180mila unità. Alla data della più recente indagine rapida per valutare la prevalenza delle varianti del virus, si scopre che la variante Omicron rappresenta la quasi totalità (99,97%) dei sequenziamenti. Il restante 0,03% è invece da attribuire ad un ricombinante Delta/Omicron. La sottovariante BA.5 risulta predominante (87,0%), con 138 differenti sotto-lignaggi identificati (incluso il lignaggio parentale). Tra questi, BQ.1.1 ha raggiunto una frequenza del 38,9%. Si continua infine ad osservare un incremento, sebbene moderato, nella proporzione di sequenziamenti attribuibili ai sotto-lignaggi CH.1.1 e XBB.1.5.
Long Covid: le nuove scoperte
Ed è proprio la variante in assoluto predominante, ovvero Omicron, ad essere al centro dei principali studi di questo periodo. Secondo uno studio svizzero condotto da Carol Strahm (Divisione Malattie infettive ed Epidemiologia ospedaliera dell’Ospedale cantonale di San Gallo) che sarà presentato al Congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive tra il 15 e il 18 aprile a Copenaghen, in Danimarca, soffrire di Long Covid è molto meno probabile dopo avere contratto un’infezione da variante Omicron piuttosto che successivamente al contagio da variante originale del Sars-CoV-2.
Gli autori dello studio hanno osservato che gli operatori sanitari infettati dalla prima versione del virus avevano una probabilità di sviluppare Long Covid maggiore fino al 67% rispetto ai non contagiati. Rischio che nel tempo scendeva al 37%. Tra gli infettati da virus wild, la probabilità di fatigue (stanchezza cronica) rispetto ai non contagiati era del 45% maggiore all’inizio, per poi calare fino a raggiungere una differenza non statisticamente significativa. Per quanto riguarda i guariti da Omicron, questi non mostravano un rischio aumentato né di Long Covid né di affaticamento rispetto ai non infettati. Reinfettarsi con Omicron dopo un precedente contagio da virus originale, inoltre, non comportava una probabilità maggiore di Long Covid, rispetto a una singola infezione da virus wild.
Carol Strahm ha dichiarato che “con Omicron ancora dominante a livello globale i nostri risultati dovrebbero rassicurare chi si sta infettando adesso per la prima volta, così come chi ha già contratto l’infezione da virus originale. Tuttavia – puntualizza Strahm – è importante notare che i partecipanti al nostro studio erano soprattutto donne sane, giovani e vaccinate. I risultati potrebbero dunque essere diversi in una popolazione più malata, anziana e/o non vaccinata”.
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Esiste un legame tra Covid e sintomi neurologici?
“Nel corso dell’ultimo anno sono emerse numerose segnalazioni di possibili ripercussioni a distanza dell’infezione. Dagli studi autoptici”, ovvero dalle indagini eseguite sui cadaveri, “è emersa una possibile invasione da parte del virus nel sistema nervoso centrale. La maggior parte del danno sull’organismo è stata però evidenziata in relazione ai meccanismi che regolano il sistema vascolare e i processi infiammatori. Il virus può infatti innescare l’attivazione di cellule microgliali, cioè una tipologia di cellule abbondantemente presenti in tutte le regioni del sistema nervoso centrale, dando vita così a un meccanismo noto come neuroinfiammazione”. Così si è espresso di recente il professor Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca e della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza.
Nel corso dell’ultimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia è stato presentato uno studio intitolato “An Italian multicenter retrospective-prospective observational study on neurological manifestations of Covid-19 (Neurocovid)”, al quale hanno partecipato 38 Neurologie italiane. Dallo studio, eseguito su pazienti affetti da complicanze neurologiche post-Covid, è emerso che “le complicanze neurologiche più acute sono state: encefalopatia acuta (25% dei casi analizzati), patologia neurologica, contraddistinta da un’infiammazione a carico di encefalo e midollo spinale che si manifesta con delirium e disturbi di coscienza; disturbi dell’olfatto e del gusto (20% dei casi); ictus ischemico, noto anche come ictus trombotico o trombosi cerebrale, che si genera quando, all’interno di una arteria cerebrale, si forma un coagulo di sangue, il trombo, che restringe il vaso sanguigno. A seguire sono stati anche evidenziati casi di disturbi cognitivi (14%)”.
Long Covid e rischi cardiovascolari
Da quanto emerge dalla combinazione dei dati di diversi studi, chi soffre o ha sofferto di Long Covid ha una probabilità più che doppia di incappare in problemi cardiovascolari rispetto a chi non ha mai contratto il Sars-CoV-2. Questa metanalisi, presentata durante il convegno annuale dell’American College of Cardiology a New Orleans, raccoglie undici ricerche su oltre 5.8 milioni di persone in tutto il mondo.
“Le stime – spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente della Sic (Società Italiana di Cardiologia) –, indicano che il Long Covid può colpire fino a una persona contagiata su sette e i dati di questa metanalisi mostrano chiaramente che in questi soggetti è molto importante fare attenzione a eventuali segni di disturbi cardiovascolari. La metanalisi, che ha la forza dei grandi numeri, indica che il Long Covid aumenta da 2.3 a 2.5 volte le probabilità di sviluppare sintomi correlati a malattie cardiovascolari come dolore toracico, stanchezza, affanno, palpitazioni rispetto a chi non è stato contagiato. Tra le persone con Long Covid è anche più probabile presentare alterazioni negli esami diagnostici, come i test sul sangue, l’elettrocardiogramma o gli esami di imaging come l’ecografia cardiaca o l’ecocardiografia con anomalie indicative di un aumentato rischio cardiovascolare o della presenza di disturbi”, conclude il presidente Sic.
“Mix arginina e vitamina C funziona contro Long Covid”
Un cocktail di arginina e vitamina C sarebbe “in grado di migliorare la percezione dei sintomi più comuni legati alla sindrome post-Covid nell’87% dei pazienti con disturbi gastrici e nell’80% dei pazienti con insonnia”. È quanto dimostrato da uno studio sul Long Covid che ha coinvolto oltre 20 centri di ricerca, coordinato dal Consorzio International Translational Medical Education (Itme), che coinvolge l’Università Federico II di Napoli, l’Albert Einstein College di New York e il Cardiovascular Research Center di Ahalst (Belgio).
Nello studio sono stati coinvolti in totale 1.390 pazienti con Long Covid, intervistati in relazione ai sintomi manifestati e divisi in due gruppi: un primo che ha ricevuto una combinazione multivitaminica (tra cui Vitamina B, B1, B2, B6 e acido folico) e un secondo che ha ricevuto il mix di Arginina e Vitamina C liposomiale.
“Dopo 30 giorni, abbiamo osservato che nell’87% dei pazienti a cui è stato dato il mix di Arginina e Vitamina C, i disturbi gastrici erano assenti contro il 64% dei pazienti che invece ha ricevuto il composto multivitaminico – spiega Gaetano Santulli, tra i principali autori dello studio e professore di Cardiologia dell’Albert Einstein College di New York -. Allo stesso modo per l’insonnia il disturbo è risultato assente nell’80% dei pazienti trattati con il cocktail arginina + vitamina C, contro il 40% dei pazienti che ha ricevuto l’altro composto a base di Vitamina B”.
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Arnaldo Iodice, giornalista