Sei stato stabilizzato dopo anni di contratti a termine? Hai ancora diritto al risarcimento secondo la Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione è intervenuta per ribadire che l’abusiva successione di contratti a termine non può ritenersi sanata dall’avvenuta assunzione, a tempo indeterminato, a seguito di concorso pubblico.

Sommario
  1. Disciplina dei contratti a termine nel settore pubblico
  2. Risarcimento del danno da abusiva successione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato
  3. Il danno risarcibile
  4. La procedura di stabilizzazione ed i suoi effetti sul risarcimento del danno comunitario
  5. L’azione risarcitoria

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta per spiegare che, nel lavoro pubblico privatizzato, l’avvenuta assunzione del lavoratore a tempo indeterminato a seguito di procedura concorsuale, non può considerarsi per sé stessa riparatrice rispetto al danno provocato dall’abusiva successione di contratti a termine.

Disciplina dei contratti a termine nel settore pubblico

La disciplina del contratto a termine nel lavoro pubblico discende dalla fusione dell’impianto normativo dettato per il settore privato, con alcune peculiarità previste dalla disciplina del lavoro pubblico.

Viene pertanto in rilievo la disciplina privatistica – artt. 19 e ss. – del D. Lgs. n. 81/2015 siccome compatibile con le specificità dettate per il settore pubblico e previste dall’art. 36 del D. Lgs. n. 165/2001 (cd. “Testo Unico del Pubblico Impiego”).

Nello specifico, le Pubbliche Amministrazioni possono ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato a condizione che:

  • i contratti a tempo determinato siano sottoscritti con soggetti risultati vincitori o idonei rispetto a graduatorie per concorsi pubblici a tempo determinato;
  • sussistano esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale atte a giustificare il ricorso a tali misure;
  • venga mantenuto il divieto di trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.

L’art. 36, comma 5, del D. Lgs. n. 165/2001 stabilisce altresì che “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

Ciò significa che, in caso di violazione della disciplina sulla successione dei contratti a termine, al lavoratore impegnato nel settore pubblico privatizzato è consentito agire nei confronti della PA invocando il risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro lesiva di norme imperative.

Risarcimento del danno da abusiva successione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato

Avendo come obbiettivo quello di contrastare il fenomeno del precariato del lavoro, la direttiva 1999/70/CE, applicabile anche al settore pubblico, ha quindi fissato due principi fondamentali:

  • il principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato;
  • il principio di prevenzione dell’abuso derivante dalla reiterazione del lavoro a termine.

Così facendo, si è quindi voluto ribadire il carattere di eccezionalità del ricorso al contratto a termine rispetto alla regola, invero preferita, della creazione di rapporti di lavoro caratterizzati da maggiore stabilità, maggiormente garantita dalla forma a tempo indeterminato.

Di recente, le stesse SS.UU. della Cassazione (sentenza n. 5072/16) si sono espresse sul punto ribadendo, da un canto, il divieto di conversione del rapporto di lavoro illegittimo in un contratto a tempo indeterminato e, dall’altro, che nel caso in cui questi rapporti si siano protratti oltre i 36 mesi (anche in modo non continuativo) si è in presenza certamente di un danno risarcibile che, definito “comunitario”, viene generalmente calcolato ex art. 36, comma 5, della l. n. 183/2010 in misura forfettaria (da 2,5 a 12 mensilità rispetto all’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 8 l. 604/1996), con conseguente esonero dal relativo onere probatorio, eventualmente aumentabile qualora venga dimostrata l’effettiva sussistenza della perdita di chance.

A questa pronuncia ne sono poi seguite molte altre (da ultimo Cass. Civ. Sez. Lav. n. n. 7060/18 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7440/18), con cui si conferma che la reiterazione di contratti a tempo determinato, ancorchè in modo non continuativo, si pone comunque in violazione della normativa comunitaria, con conseguente diritto per il lavoratore ad ottenere il ristoro del danno cd. presunto, salva la possibilità di dimostrare un maggior pregiudizio patito.

La Corte di Giustizia europea ha inoltre affermato che il sistema sanzionatorio previsto dall’art. 36 del D. Lgs. n. 165/2001, invero limitato esclusivamente al risarcimento del danno senza possibilità di conversione del rapporto di lavoro pubblico, è compatibile con i principi dettati dalla richiamata direttiva, essendo poi compito del giudice interno valutare se ed in quale misura lo strumento sanzionatorio è idoneo a costituire un valido impedimento all’eventuale condotta abusiva tenuta dalla PA (ex multis, CGUE del 7/9/2006 n. 53/04, CGUE del 7/9/2006 n. 180/04, CGUE del 12/12/2013 n. 50/13).

Il danno risarcibile

Per quanto riguarda la determinazione del risarcimento del danno subito dal dipendente pubblico nel caso di un illegittimo reiterarsi di contratti a termine, la regola discende dall’art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010 secondo la quale il lavoratore è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo e un massimo.

Ciò significa, riprendendo sul punto quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 5072/16), che il dipendente “che abbia subìto la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato – posto dall’art. 36 comma 5 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 -, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio  nella misure e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010 n. 183 e quindi nella misura pari ad una indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966 n. 604”.

La procedura di stabilizzazione ed i suoi effetti sul risarcimento del danno comunitario

Di recente, anche a seguito delle diverse procedure di stabilizzazione dei lavoratori a termine nel settore pubblico privatizzato, si è posta la questione dell’eventuale compatibilità di queste situazioni con il persistere del diritto al risarcimento del danno per la condotta illegittima della PA.

Ebbene, la Corte di Cassazione con sentenza n. 35145 del 15/12/2023 è decisamente intervenuta sul punto affermando chiaramente che “Nel lavoro pubblico privatizzato, nelle ipotesi di abusiva successione di contratti a termine, la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell’illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l’abuso commesso dalla amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente”.

Ciò significa, a tenore delle considerazioni espresse dalla stessa Corte, che questa stretta correlazione deve presupporre, da un lato che la stabilizzazione avvenga nei ruoli dell’ente pubblico che ha realizzato la condotta ritenuta abusiva e, dall’altro, che la stessa sia effetto diretto ed immediato dell’illecita condotta tenuta dalla pubblica amministrazione.

Si è dunque concluso per l’insussistenza di questi presupposti ogni qual volta l’assunzione a tempo indeterminato non sia direttamente correlata, quale misura riparatrice, all’abuso perpetrato nei confronti del dipendente con l’illegittima successione di contratti a termine, ma discenda dall’esito positivo della partecipazione dello stesso lavoratore ad una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine.

L’azione risarcitoria

Tutti coloro che hanno avuto più contratti di lavoro con la PA a tempo determinato, con o senza soluzione di continuità, per un periodo superiore ai 36 mesi, possono quindi agire avanti la Sezione Lavoro del Tribunale territorialmente competente nei confronti del medesimo ente ammnistrativo, deducendo l’illegittimità della reiterazione dei contratti di lavoro a termine, con conseguente richiesta di risarcimento del danno presunto (da 2,5 a 12 mensilità rispetto all’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 8 l. 604/1996) e del relativo danno da perdita di chance, se dimostrato.

Salva migliore valutazione del professionista incaricato, sarà comunque opportuno produrre in giudizio copia dei contratti di lavoro a tempo determinato, delle buste paga dell’ultimo anno di contratto, con relativi CUD, e dell’eventuale diffida inviata alla PA con effetti interruttivi della prescrizione.

Il diritto fatto valere in giudizio è infatti soggetto alla prescrizione decennale, venendo in rilievo somme in ipotesi spettanti a titolo di risarcimento del danno conseguente a responsabilità contrattuale dell’Amministrazione.

Di: Redazione Consulcesi Club