“L’avvento dell’intelligenza artificiale (AI) sta trasformando la sanità, offrendo strumenti potenti ma anche nuove sfide. Se da un lato l’AI promette di accelerare la diagnosi e personalizzare le cure, dall’altro un uso non governato – sia da parte dei pazienti che dei medici – rischia di compromettere il rapporto fiduciario e la qualità dell’atto medico. È quindi essenziale promuovere una cultura dell’uso consapevole, fondata sulla conoscenza dei limiti e delle potenzialità di questa tecnologia”. A parlare è Fabio Bonsanto, specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Isokinetic Medical Group e segretario generale della Società Italiana di Telemedicina (SIT), che invita a non subire passivamente l’avanzata dell’intelligenza artificiale ma a guidarne lo sviluppo con senso critico e responsabilità.
Il paziente digitale tra informazione e ansia
“Il paziente moderno è digitale. Secondo Eurostat (2022), il 52% dei cittadini europei – e il 52,23% degli italiani – utilizza Internet per cercare informazioni sanitarie. Con la diffusione di modelli generativi come ChatGPT, questo comportamento si è intensificato, specie tra i più giovani. Se non accompagnata, questa abitudine può sfociare nella cosiddetta cybercondria, ovvero l’ansia da autodiagnosi basata su risposte plausibili ma decontestualizzate fornite da chatbot”. Una preoccupazione concreta, che mette in evidenza quanto sia necessario accompagnare i cittadini nell’uso corretto delle tecnologie, per evitare che strumenti nati per supportare la conoscenza diventino fattori di confusione o allarme.
Anche i medici usano l’AI, ma manca alfabetizzazione digitale
“Anche la comunità medica si avvicina all’AI con interesse e cautela. Secondo l’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano (maggio 2025), il 46% dei medici di medicina generale e il 26% degli specialisti italiani ha già utilizzato strumenti di AI generativa, con un risparmio stimato fino a due settimane lavorative l’anno. Un altro sondaggio indica che il 54% dei medici italiani è interessato a integrare l’AI nella propria pratica. Tuttavia, questa rapida adozione non è accompagnata da un’adeguata alfabetizzazione digitale: saper porre domande corrette, interpretare criticamente gli output e comprendere concetti come la black box (l’opacità del processo decisionale dell’algoritmo) non è ancora una competenza diffusa. Questo divario rappresenta una delle principali criticità attuali”. Per Bonsanto, la tecnologia non può sostituire il pensiero clinico, ma può diventare un’alleata formidabile solo se il professionista sa come utilizzarla con consapevolezza e spirito critico.
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Una nuova frattura nella relazione medico-paziente
“L’uso scorretto dell’AI può minare la relazione medico-paziente. Un paziente che arriva con una ‘diagnosi’ da chatbot può mostrarsi diffidente verso il parere del clinico, creando un cortocircuito comunicativo. Dall’altro lato, un medico che si affida acriticamente a un software, per guadagnare tempo, rischia di delegare parte del ragionamento clinico e della relazione umana, perdendo efficacia”. Un rischio concreto, accentuato anche dalla capacità dell’AI di simulare empatia. “Alcuni studi – come una ricerca pubblicata su JAMA Internal Medicine – hanno mostrato che i chatbot possono fornire risposte percepite come più empatiche e accurate rispetto ai medici. Questo non implica una sostituzione del medico, ma evidenzia una sfida: l’AI può simulare empatia, ma non ha coscienza, esperienza né capacità di costruire una vera relazione terapeutica. Il rischio è doppio: il paziente può preferire questa ‘empatia artificiale’ e il medico può sentirsi deresponsabilizzato dal costruire un rapporto umano”.
Il medico deve essere formato e accompagnato
“La rivoluzione dell’AI in sanità è inarrestabile. La sfida non è opporsi, ma governare il cambiamento. Per farlo, è necessario investire in formazione e competenze digitali, diffondendo principi pratici di utilizzo della AI come: contestualizzare le richieste, usare prompt adeguati e verificare le fonti. Senza una solida consapevolezza dei limiti e delle opportunità dell’AI, il medico non potrà più essere una guida credibile per il paziente. Un ruolo che oggi include anche l’aiutare il cittadino a orientarsi nella complessità delle informazioni e ricordargli che nessun algoritmo potrà mai sostituire l’ascolto, l’alleanza terapeutica e il giudizio clinico”. Bonsanto lancia un appello chiaro: il medico va supportato, non lasciato solo di fronte all’innovazione tecnologica. “In questo cambiamento, il medico non può essere lasciato solo. Le Istituzioni devono supportarlo affinché diventi un professionista ‘aumentato’ dalla tecnologia, capace di garantire una medicina moderna, efficiente e profondamente umana”. Una medicina dove l’intelligenza artificiale non sostituisce, ma potenzia. Dove il progresso tecnologico non cancella, ma rafforza la centralità della relazione.