La signora A. decide di sottoporsi a un intervento di liposuzione bilaterale delle cosce presso lo studio medico privato del dottor B.
Il dottor B., dopo aver visitato la paziente, la ritiene idonea per l'intervento e le consiglia di sospendere la pillola anticoncezionale nelle settimane antecedenti l'intervento.
La liposuzione viene eseguita presso lo studio medico del dottor B., e non presenta particolari problematiche; il dottor B. non prescrive nulla alla signora A. per il post operatorio, mandandola semplicemente a casa e rassicurandola sulla buona riuscita dell'intervento.
Tuttavia, il giorno dopo l'intervento la paziente, che manifesta dei vistosi ematomi sull'area trattata, decede a causa di una tromboembolia polmonare massiva causata da una trombosi venosa profonda.
Il dottor B. viene iscritto nel registro degli indagati per il reato di omicidio colposo, e al termine delle indagini preliminari viene formulata nei suoi confronti l'imputazione, con cui è accusato di avere colposamente cagionato la morte della signora A. per occlusione trombo emolitica dell'arteria polmonare sinistra nel post-operatorio dell'intervento ambulatoriale di liposuzione bilaterale delle cosce.
Le norme sulla responsabilità medica e il contesto legislativo vigente
Le cronache degli ultimi giorni ci raccontano del triste caso di una donna 46enne morta dopo la liposuzione eseguita da un medico peruviano (con precedenti per altri episodi analoghi) in uno studio privato di medicina estetica romano, senza autorizzazioni sanitarie: la donna si sarebbe sentita male proprio durante l'intervento di liposuzione all'interno dello studio, i sanitari che l'avevano in cura avrebbero (il condizionale è d'obbligo, poiché siamo ancora in fase d'indagine) provato a rianimarla senza chiamare i soccorsi e dopo qualche ora, anziché chiamare il 118, avrebbero contattato un'ambulanza privata con medico a bordo, che ha condotto presso il più vicino pronto soccorso la paziente, che però è deceduta poiché in condizioni disperate.
Il caso della donna 46enne morta pochi giorni fa presenta delle analogie con quello affrontato dalla Corte di Cassazione nel 2022, di cui ci occupiamo in questo articolo, quantomeno sotto il profilo della responsabilità del chirurgo estetico, che è soggetto – come qualunque altro medico – alla vigente normativa sulla responsabilità penale del sanitario, contenuta nel combinato disposto degli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale.
Se, nell'esercizio della professione sanitaria, il professionista cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a un massimo di cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).
L'art. 590 sexies del codice penale prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Nel corso del processo è stato accertato il nesso causale tra la condotta del dottor B. e la morte della povera paziente, signora A.: durante l'intervento di liposuzione, infatti, il dottor B. ha inavvertitamente lesionato la vena grande safena sinistra, da tale lesione si è formato un vasto ematoma che ha dato luogo alla formazione del trombo, che ha provocato la morte della paziente.
La difesa del dottor B., per scongiurare il rischio di condanna, ha rilevato che:
- la signora A. presentava un rischio trombotico lieve, tant’è che la donna, che prendeva anticoncezionali, ne aveva interrotto l’assunzione da tempo,
- le linee guida dell’ottobre 2013, applicabili agli interventi di liposuzione effettuati in anestesia locale, non richiedono una profilassi antitrombotica,
- il decreto n. 35/2019 della Regione Lazio – applicabile al caso concreto – non prevede l’osservazione post-operatoria nel caso di liposuzione ambulatoriale o ospedaliera, essendo il medico tenuto solo a garantire una reperibilità (anche telefonica) per le prime 24 ore successive all’intervento.
Il Tribunale, la Corte d’appello e la Corte di Cassazione, alla luce dei fatti come descritti, delle cartelle cliniche, della CTU e delle Linee guida richiamate, hanno dovuto esprimere il loro giudizio, oltre ogni ragionevole dubbio, circa la sussistenza o meno di una colpa medica in capo al dottor B.
Le motivazioni della sentenza: la colpa medica e la gestione inadeguata del post-operatorio
I primi due gradi di giudizio hanno sancito la colpevolezza del dottor B., che ha gestito male la fase post operatoria, lasciando ogni valutazione sulla gravità dei sintomi riportati alla paziente, totalmente inesperta in materia.
Il dottor B., in particolare, dopo l’intervento non si è mai preoccupato di accertare l’esistenza di eventuali sintomi di complicanze post operatorie, limitandosi semplicemente a:
- fornire alla paziente un numero di telefono da chiamare “in caso di complicanze particolarmente gravi", formula idonea a scoraggiare la chiamata per questioni apparentemente di modesto rilievo, come dei lividi, che per una persona inesperta possono sembrare banali,
- consegnare un semplice foglio con scritto “istruzioni post-operatorie” in cui non vi era alcun cenno al rischio trombotico post-operatorio e agli eventuali segnali d’allarme che l’avrebbero dovuta (e potuta) indurre a chiamare il chirurgo.
Se il dottor B. avesse seguito la paziente, visitandola e sorvegliandola nel post operatorio, si sarebbe sicuramente avveduto dei grossi lividi e avrebbe somministrato prontamente la terapia antitrombotica adeguata che avrebbe, con elevata probabilità, impedito la morte della signora A.
Una semplice visita di controllo nelle ore successive alla liposuzione avrebbe evitato che la signora A. manifestasse la tromboembolia, che il trombo si consolidasse e si distaccasse, scongiurando così la morte della signora A.
Considerata la doppia conformità delle sentenze di primo e secondo grado, che hanno sancito entrambe la colpevolezza del dottor B., la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal medico per la riforma della sentenza, proprio in virtù del principio che, in gergo tecnico, si chiama “della doppia conforme”, che consentono di ricorrere alla Suprema Corte solo in determinati casi specifici.
Nel rigettare il ricorso, la Corte di Cassazione ha anche condannato il dottor B. al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili (i parenti della povera signora A.), liquidate in euro 4.800,00 oltre gli accessori di legge (le tasse).
La medicina estetica privata necessita di regole ben precise, che negli ultimi tempi vengono chieste a gran voce dai professionisti del settore e dall’opinione pubblica: speriamo di assistere presto a un cambiamento, in modo da non dover più raccontare storie come quella della povera signora A.