Dopo l’approvazione, da parte della Regione Toscana, della prima legge sul fine vita che regola i requisiti, la procedura, i tempi e le modalità per accedere al suicidio assistito, il dibattito si fa sempre più acceso. Sono molte le voci contrarie che cercano di frenare la messa in pratica della nuova normativa. Aldilà della peculiare situazione della Toscana, in Italia, esiste una legge, la n. 38 del 2010, che tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. Grazie al contributo della dott.ssa Valentina De Tommasi, dirigente psicologa e psicoterapeuta presso l’UOC Hospice Centro residenziale Cure palliative per il bambino dell’ospedale di Padova, approfondiamo il delicato ruolo dei professionisti della salute mentale chiamati a guidare i genitori verso scelte sul fine vita per i propri figli.
Fine vita: oltre i confini del linguaggio
“Quando ci troviamo ad accompagnare un bambino nel fine vita, ci muoviamo all'interno di uno di quegli spazi che sfida i confini del linguaggio – spiega la dottoressa De Tommasi -. Per questo, il ruolo dello psicologo e/o psicoterapeuta non si definisce in un'unica funzione, ma si articola lungo un processo relazionale che è complesso e che coinvolge non solo il bambino, ma anche la sua famiglia, la rete di curanti e anche il contesto di vita”. In questo scenario, i professionisti della salute mentale devono mostrare “la capacità di essere ascoltatori profondi, capaci di costruire un’alleanza terapeutica che tenga insieme con delicatezza, vissuti, paure, proiezioni e, spesso, ambivalenze”, continua la psicoterapeuta. Devono porsi, dunque, in una posizione di “prossimità, ma anche di regia silenziosa, in si aiuta a dare parola all'indicibile, all'angoscia”, sottolinea ancora la specialista.
Il lavoro di uno psicologo e/o di uno psicoterapeuta non è mai solo verbale: “Si sviluppa anche attraverso canali indiretti, come quelli simbolici, affettivi, corporei, immaginativi. Allora, il nostro compito è quello di intercettare dei segnali, delle domande implicite, delle richieste di senso ed essere capaci di restituirle in forme diverse, che possano essere sostenibili, ma anche trasformative”.
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Dal lutto anticipatorio al lutto vero e proprio
Il lavoro dei professionisti della salute mentale va ben oltre la vita del paziente: “La nostra funzione si estende al lutto, alla rielaborazione. Inizia con il ‘lutto anticipatorio’ e, poi, va oltre il lutto vero e proprio. Lo psicologo e/o psicoterapeuta che lavora nei Centri di cure palliative pediatriche, soprattutto nel fine vita, (le cure palliative sono dirette anche a persone affette da patologie incurabili non prossime alla morte, al fine di migliorare la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie nel quotidiano, ndr) è chiamato ad abitare una sorta di ‘porta’ tra la vita e la morte, tra la parola e il silenzio, tra sapere e non sapere. Il nostro contributo, quindi, non è in realtà quello di semplificare, ma di ‘stare’ nella complessità, di accompagnare, di rendere possibile un processo psicologico autentico - conclude -, anche nel momento dell'estremo limite”.