A distanza di oltre cinque anni dall’inizio della pandemia, la comunità scientifica sta rivedendo molte certezze sul modo in cui SARS-CoV-2 interagisce con il sistema immunitario. Se inizialmente si pensava che la ridotta esposizione a virus e batteri durante i lockdown avesse portato a un cosiddetto “debito immunitario” (immunity debt), oggi si ipotizza che il virus stesso abbia lasciato un’impronta duratura sul sistema immunitario delle persone.
Il concetto è chiaro: non si tratta solo di mancanza di stimoli esterni, ma di un possibile danno diretto o indiretto dell’infezione sul funzionamento delle difese immunitarie.
Oltre il Long Covid: un impatto più ampio
Il Long Covid è ormai riconosciuto come una condizione clinica che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo. Ma il BMJ sottolinea che le alterazioni immunitarie non riguardano soltanto i pazienti con sintomi persistenti.
Studi emergenti evidenziano che anche chi ha avuto forme lievi o asintomatiche può presentare:
- disfunzioni della memoria immunitaria,
- ridotta capacità di risposta ad altre infezioni respiratorie (es. influenza, RSV),
- possibili alterazioni nella sorveglianza immunitaria contro i tumori.
Si ipotizza quindi che l’infezione da SARS-CoV-2 lasci delle “cicatrici immunitarie”, sottili ma clinicamente rilevanti, capaci di influenzare la salute nel lungo periodo.
Quali meccanismi sono coinvolti?
Il BMJ sottolinea che la ricerca è solo agli inizi, ma alcune ipotesi includono:
- Alterazioni delle cellule T e B: una risposta iniziale iperattiva può portare a una fase di “esaurimento” funzionale.
- Infiammazione cronica di basso grado: residui di attivazione immunitaria che restano anche dopo la guarigione.
- Effetti epigenetici: modifiche stabili nell’espressione genica delle cellule immunitarie, che cambiano il modo in cui rispondono ad agenti esterni.
- Coinvolgimento dei tessuti linfoidi: studi su animali hanno mostrato danni strutturali a linfonodi e milza, con conseguente riduzione della capacità di generare risposte protettive a nuovi patogeni.
Cosa cambia per la sanità pubblica?
Queste scoperte hanno implicazioni concrete.
- Sorveglianza a lungo termine: non basta più monitorare solo il Long Covid; occorre studiare l’impatto di SARS-CoV-2 sulla vulnerabilità generale della popolazione ad altre malattie infettive e oncologiche.
- Vaccinazioni strategiche: le campagne vaccinali contro influenza e Covid-19 assumono un ruolo ancora più centrale, soprattutto nei fragili e negli operatori sanitari.
- Modelli predittivi di rischio: i sistemi di epidemiologia dovranno considerare non solo l’esposizione ai patogeni, ma anche le “cicatrici immunitarie” che la pandemia ha lasciato.
- Approccio multidisciplinare: immunologi, oncologi, infettivologi e medici di sanità pubblica dovranno collaborare per comprendere meglio le conseguenze sistemiche dell’infezione.
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Gli ultimi studi
Negli ultimi mesi è cresciuto un corpus di lavori che approfondisce come SARS-CoV-2 possa generare alterazioni immunitarie durature: il BMJ ha riassunto e commentato queste evidenze in un articolo-ragionamento che invita a ripensare il concetto semplice di “immunity debt” e a investigare cicatrici immunitarie a lungo termine. Studi di carattere clinico-immunologico pubblicati su riviste e preprint hanno mappato profili di disfunzione immunometabolica e infiammatoria persistente dopo l’infezione, con alterazioni misurabili in citochine, fenotipi di cellule T/B e metabolomica plasmatica. Ricerche su coorti di recupero hanno mostrato che, anche dopo infezioni lievi, permangono segnali di danno/riarrangiamento nei tessuti linfoidi e cambiamenti epigenetici che possono ridurre la capacità di risposta ad agenti patogeni successivi. Studi di immunologia traslazionale hanno inoltre identificato meccanismi specifici con rilevanza clinica: lavori di istituti come Johns Hopkins e Stanford descrivono come SARS-CoV-2 possa “corrompere” alcuni globuli bianchi o associare uno stato di disregolazione immunitaria preesistente a esiti più gravi, suggerendo sia danno diretto del virus sia interazioni con la condizione immunitaria di base del paziente. Infine, alcune linee di ricerca emergenti esplorano l’interazione virus-cancro: rapporti sperimentali e casi clinici indicano che l’infezione può, in circostanze particolari, risvegliare cellule tumorali dormienti o —al contrario— attivare risposte onco-immunitarie in grado di provocare regressioni tumorali; queste osservazioni sono preliminari ma aprono nuovi filoni sia di rischio sia di potenziale sfruttamento terapeutico.
La letteratura più recente (review, studi traslazionali, coorti cliniche e preprint) converge sull’idea che SARS-CoV-2 possa lasciare modifiche immunitarie misurabili e clinicamente rilevanti — da disfunzioni dell’immunità innata e adattativa fino a cambiamenti immunometabolici — e che siano necessari studi longitudinali estesi per chiarire ampiezza, durata e impatto reale di queste “cicatrici immunitarie”.
Una ricerca ancora aperta
Il messaggio del BMJ è chiaro: siamo solo all’inizio della comprensione degli effetti immunologici del Covid-19. Non abbiamo ancora dati sufficienti per definire quanto questi cambiamenti possano incidere a livello individuale e collettivo, ma il fatto che sempre più studi convergano verso questa ipotesi spinge a non sottovalutare l’impatto a lungo termine del virus.
Il paradigma sta cambiando: dall’idea di “debito immunitario” legato alle restrizioni sociali si passa alla consapevolezza che SARS-CoV-2 possa avere modificato in profondità l’immunità di milioni di persone. Questa nuova prospettiva non deve generare allarmismo, ma consapevolezza:
- i sistemi sanitari devono pianificare una sorveglianza a lungo termine,
- i medici devono prestare attenzione a infezioni ricorrenti o anomalie immunitarie nei pazienti post-Covid,
- la ricerca deve accelerare per chiarire se queste cicatrici immunitarie possano aumentare il rischio di altre patologie.
Il Covid-19, insomma, non ha solo cambiato il mondo nell’immediato: potrebbe aver cambiato il modo in cui il nostro sistema immunitario risponde al futuro.