Il signor A. si sottopone a cure odontoiatriche presso l’odontoiatra dottor B., avendo necessità di sottoporsi a otto impianti, tra l’arcata superiore ed inferiore.
Il dottor B esegue la prestazione, ma non viene pagato dalla signora A, la quale ritiene che il lavoro non sia stato eseguito a regola d’arte, avendo lei avuto dolore e fastidi sin dal giorno dopo la fine delle sedute dall’odontoiatra ed avendo inoltre perso, dopo circa otto mesi, due impianti dell’arcata superiore, uno a sinistra e uno a destra.
Il dottor B si rivolge al Tribunale per ottenere un’ingiunzione di pagamento nei confronti della paziente, che tuttavia, dopo aver ricevuto la notifica del decreto ingiuntivo, si oppone, chiedendo:
- La risoluzione del contratto d’opera intercorso tra la signora A. e il dottor B.,
- La condanna del dottor B. al risarcimento del danno,
- La restituzione da parte del dottor B. delle somme già versate a titolo di acconto.
Perché il lavoro del dentista non è un’opera materiale
Quando una persona si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si parla di contratto d’opera.
L’odontoiatra, in quanto soggetto iscritto all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, è un professionista intellettuale, soggetto all’applicazione dell’articolo 2230 e seguenti del codice civile.
Secondo la normativa, il prestatore d’opera deve eseguire l’incarico che ha assunto personalmente, potendosi comunque avvalere di sostituti e ausiliari, purché sotto la propria direzione e responsabilità e solo la ciò gli sia consentito dal contratto o dagli usi.
Al medico spetta, per l’opera prestata in favore del paziente, un compenso, da determinarsi secondo le tariffe o, in mancanza, secondo gli usi o direttamente da parte del giudice, sentito il parere dell’ordine di riferimento.
Se l’opera prestata implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non per dolo o colpa grave.
Entrambe le parti hanno facoltà di recedere dal contratto stipulato:
- Il cliente può recedere, rimborsando all’odontoiatra le spese sostenute e pagando comunque il compenso per l’opera svolta,
- L’odontoiatra può recedere dal contratto per giusta causa, ma ha comunque diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso per l’opera prestata.
Sotto il profilo della responsabilità professionale, derivante dallo svolgimento dell’opera intellettuale, la legge Gelli Bianco prevede un regime di doppia responsabilità:
- Per la struttura sanitaria si parla di responsabilità contrattuale,
- Per l’esercente la professione sanitaria operante in una struttura sanitaria, la responsabilità è, invece, extracontrattuale.
La differenza tra le due tipologie di responsabilità è fondamentale per la predisposizione della difesa in giudizio, poiché:
- Nel caso di responsabilità contrattuale, l’onere della prova è a carico della struttura sanitaria e il termine prescrizionale dell’azione è decennale,
- Nel caso di responsabilità extracontrattuale, invece, è il paziente a essere onerato della prova del danno subito, con termine prescrizionale quinquennale per l’esercizio dell’azione.
L'articolo 7 della legge Gelli Bianco, in particolare, richiama per la responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria, sia pubblica che privata, gli articoli 1218 e 1228 del codice civile, in virtù dei quali:
- il debitore (la struttura sanitaria) che non esegue in maniera esatta la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno cagionato, salvo che provi che il suo inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione dovuta per cause a lui non imputabile,
- salvo diversa volontà delle parti, il debitore (la struttura sanitaria) che nell'adempimento dell'obbligazione (la prestazione medica) si avvale dell'opera di terzi (il professionista sanitario) risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi ultimi.
A prescindere dai profili di responsabilità, la norma dirimente, nel caso della controversia tra il dottor B. e la signora A., è costituita dall’articolo 2226 del codice civile, relativa alla difformità e ai vizi dell’opera: tale disposizione stabilisce che l’accettazione, espressa o tacita, dell’opera libera il prestatore dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima, se all’atto dell’accettazione questi erano noti al committente o erano facilmente riconoscibili, purché in quest’ultimo caso non siano stati dolosamente occultati.
Il committente, a pena di decadenza, deve denunziare al prestatore d’opera le difformità e i vizi occulti entro otto giorni dalla scoperta; l’azione si prescrive entro un anno dalla consegna.
Proprio in merito all'applicabilità dell'art. 2226 c.c. la giurisprudenza di questa Corte, già con la sentenza 23 luglio 2002, n. 10741, emessa proprio in relazione allo svolgimento di prestazioni odontoiatriche, ha avuto modo di precisare che la norma citata, che regola i diritti del committente per il caso di difformità e vizi dell'opera, non è applicabile al contratto di prestazione di opera professionale intellettuale; essa infatti ha per oggetto, pur quando si estrinsechi nell'istallazione di una protesi dentaria, la prestazione di un bene immateriale in relazione al quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le difformità o i vizi eventualmente presenti, assumendo rilievo assorbente l'attività riservata al medico dentista di diagnosi della situazione del paziente, di scelta della terapia, di successiva applicazione della protesi e del controllo della stessa. Pertanto, non potendosi individuare un'entità materiale nell'opera del dentista, la protesi può considerarsi un'opera materiale ed autonoma solo in quanto oggetto della prestazione dell'odontotecnico.
Tale orientamento ha ricevuto l'autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 28 luglio 2005, n. 15781, ed è stato poi ribadito dalla sentenza 9 marzo 2006, n. 5091, sempre in materia di prestazioni odontoiatriche, e da altre successive in materia di prestazione d'opera intellettuale in generale (v. Sez. 3, Sent. n. 12871 del 2015; nonchè Sez. 3, Sent n. 12871 del 2015).
Leggi anche
La decisione della Cassazione e le conseguenze per l’odontoiatra
Dalla consulenza tecnica espletata in corso di giudizio è emerso, effettivamente, che la perdita dei due impianti fosse da attribuire a un’errata prestazione del dottor B.; dai dati che possiamo trarre dalla sentenza emerge che l’impianto di sinistra doveva essere immediatamente sostituito dall’odontoiatra perché vi era stata l’esecuzione di una protesi sbilanciata negli ancoraggi che aveva causato un grave squilibrio nell’ancoraggio delle protesi da cui era scaturita anche la successiva perdita di un impianto a destra, per il sovraccarico verificatosi a causa della scorretta installazione della protesi di sinistra.
Il signor A. aveva chiesto che venisse affermata la risoluzione del contratto per grave inadempimento del professionista, che non aveva “esattamente adempiuto” la sua prestazione, provocando la perdita dei due impianti; in particolare, il signor A. chiedeva che al caso in esame non fosse applicata la norma di cui all’articolo 2226 del codice civile, in virtù del quale l’accettazione dell’opera da parte del paziente libererebbe il prestatore d’opera dalla responsabilità per difformità o per vizi.
Nei primi due gradi di giudizio la domanda del signor A. era stata rigettata; tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni, stabilendo che, in virtù della giurisprudenza prevalente, non può applicarsi a casi come quello del signor A. e del dottor B. la normativa sulla difformità e i vizi dell’opera di cui all’articolo 2226 codice civile.
Il rapporto tra paziente e odontoiatra si colloca, infatti, nel contratto di prestazione d'opera intellettuale ex art. 2230 c.c. e il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
In generale il professionista, nell'espletamento dell'attività promessa (sia essa di mezzi o di risultato), è obbligato, a norma dell'art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che nel caso in cui, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e, in caso di colpa in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., con perdita del diritto al compenso (con riferimento alla professione medica: Cass. 17306/2006).
Dato che la Corte d’appello, nel giudizio di secondo grado, ha omesso ogni indagine circa la valutazione della gravità dell’inadempimento del dottor B., la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza, chiedendo alla Corte d’appello di rifare il processo, sulla base dei principi sopra enunciati.
Dai dati estratti dalla sentenza della Corte di Cassazione sembra che l’inadempimento del dottor B. sia inequivocabile, perciò è altamente probabile che la Corte d’appello accoglierà la domanda del paziente, revocando il decreto ingiuntivo e dichiarando risolto il contratto, in danno dell’odontoiatra.