In Polonia è in vigore dall'anno 2012 la nuova legge sul diritto farmaceutico, che vieta la pubblicità delle farmacie e dei punti vendita farmaceutici e delle loro attività.
Le uniche informazioni consentite dalla legge, in quanto espressamente qualificate come non pubblicitarie, sono quelle relative a:
- ubicazione della farmacia,
- orario di apertura della farmacia o dei vari punti vendita.
Le farmacie che non rispettano la norma, prevista dall'articolo 94a paragrafo 1 della nuova legge sul diritto farmaceutico polacco, sono punite con un'ammenda che può arrivare fino a 50.000 zloty polacchi (PLN), equivalenti a circa 12 mila euro.
Nel gennaio 2019 la Commissione Europea ha inviato alla Repubblica di Polonia una lettera di diffida con cui ha chiarito la contrarietà al diritto europeo delle disposizioni nazionali circa il divieto di pubblicità alle farmacie e ai relativi punti vendita.
Dopo una serie di scambi di corrispondenza infruttuosi tra la Polonia e la Commissione europea, quest'ultima ha deciso di aprire la procedura d'infrazione nei confronti della Polonia, proponendo ricorso alla Corte di Giustizia Europea per far dichiarare la contrarietà della normativa nazionale a quella comunitaria.
Cosa dice davvero la normativa UE sulla pubblicità
La Direttiva Europea sul commercio elettronico n. 31/2000 definisce come comunicazioni commerciali tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l'immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di una persona che esercita un'attività commerciale, industriale, artigianale o una libera professione.
La normativa elenca, inoltre, in maniera tassativa tutto ciò che non può essere considerato comunicazione commerciale:
- indicazioni necessarie per accedere direttamente all’attività di tale impresa, organizzazione o persona, come un nome di dominio («domain name») o un indirizzo di posta elettronica,
- comunicazioni relative a beni, servizi o all’immagine di tale impresa, organizzazione o persona elaborate in modo da essa indipendente, in particolare se a titolo gratuito.
In virtù della direttiva europea sul commercio elettronico ciascuno Stato membro ha il compito di provvedere affinché l'impiego di comunicazioni commerciali fornito da chi esercita una professione regolamentata (avvocato, medico, architetto, farmacista) siano autorizzate nel rispetto delle regole professionali relative:
- all'indipendenza,
- alla dignità,
- all'onore della professione,
- al segreto professionale,
- alla lealtà verso clienti e colleghi.
In materia di medicinali per uso umano, a livello comunitario, è vigente la Direttiva n. 2001/83/CE che dispone due principi per la pubblicità di un medicinale, che:
- deve favorire l'uso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza esagerarne le proprietà,
- non può essere ingannevole.
La Direttiva Europea n. 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno, inoltre, stabilisce che occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate (medico, avvocato, commercialista, farmacista, ecc.), revocando tutti quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, come ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione.
Secondo la Direttiva del 2006, per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre anzi incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello comunitario.
Ogni Stato membro è obbligato, in particolare, a sopprimere tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, provvedendo affinché le comunicazioni commerciali che provengono da questo tipo di professionisti sia conforme alle regole professionali e al diritto comunitario, salvaguardando la specificità di ciascuna professione e rispettando i principi di:
- indipendenza,
- dignità,
- integrità della professione,
- segreto professionale.
Le regole di ciascuna professione devono essere:
- non discriminatorie,
- giustificate da motivi imperativi di interesse generale,
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Perché la Polonia è stata condannata dalla Corte di Giustizia
Alla luce delle norme comunitarie finora citate, uno stato membro dell'Unione Europea non può emanare una normativa che vieti, così come ha fatto la Polonia, a una professione regolamentata come quella dei farmacisti di realizzare comunicazioni commerciali, anche volgarmente definita pubblicità.
Così facendo, la Polonia ostacola la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento, rendendo difficile – se non impossibile – per i farmacisti di qualunque stato membro farsi conoscere in Polonia e rendendo più difficile l'accesso al mercato per chi intende aprire una farmacia in Polonia, specialmente se provenga da un altro stato membro.
Le attività, sia fisiche che di e-commerce, provenienti dagli altri stati dell'Unione sono estremamente penalizzate da una legge nazionale come quella polacca, che rende – di fatto – il sito e le pagine web fuorilegge in quel determinato stato.
Queste libertà avrebbero potuto subire una limitazione da parte della Polonia solo per tutelare la salute pubblica, nello specifico per favorire la lotta contro il consumo eccessivo di medicinali e salvaguardare l'indipendenza professionale dei farmacisti. Tuttavia, la Polonia non ha dimostrato, nel corso della procedura di infrazione, che la legge farmaceutica del 2012 sia nata con questi scopi.
Per tutti questi motivi la Corte ha statuito che la Polonia, con l'articolo 94a della legge farmaceutica, è venuta meno agli obblighi derivanti dalla normativa europea.
In Italia non esiste una normativa come quella polacca, anzi la pubblicità delle farmacie è pienamente lecita e specificamente regolamentata: chi voglia investire in quel paese, nel settore farmaceutico, sarà comunque lieto di sapere che la legge polacca è incompatibile con i principi europei e perciò è perfettamente lecito pubblicizzare medicinali anche in quella nazione, sempre attenendosi – nel dubbio – scrupolosamente ai principi dettati dal codice deontologico professionale.