Paziente suicida in reparto: struttura condannata per deficit nelle misure di protezione

Questo aspetto della responsabilità sanitaria risulta poco conosciuto, cogliendo spesso impreparato il personale del reparto quando si trovi a dover fronteggiare atteggiamenti potenzialmente autolesionistici dei pazienti ricoverati.

Sommario

  1. L’obbligo di vigilanza e protezione del paziente
  2. Un caso recente
  3. Cosa è stato stabilito

Le cronache giudiziarie sono spesso occupate da casi di responsabilità sanitaria legati per lo più ad errori, reali o presunti, rinvenuti nei processi di diagnosi e cura. Ben poco si parla – e soprattutto si conosce – rispetto a quell’ulteriore obbligazione che riguarda la protezione della persona destinataria dell'assistenza sanitaria.

Benché statisticamente inferiori, gli episodi di autolesionismo (talvolta, con conseguenze letali per il paziente) sono in costante aumento nelle corsie dei nostri ospedali, aprendo un ulteriore fronte di responsabilità (e di risarcimento) a carico delle strutture e di coloro che, lavorando in reparti diversi dalla psichiatria, non sono neppure adeguatamente preparati ed attrezzati ad affrontare criticità così importanti nella gestione del degente. 

L’obbligo di vigilanza e protezione del paziente

Come noto, la responsabilità gravante sulla struttura ospedaliera per gli eventi avversi che possano colpire i degenti durante il tempo del ricovero viene ormai pacificamente ricondotta nell’ambito del rapporto contrattuale, affiancata da quella extracontrattuale riferibile a coloro attraverso i quali la stessa struttura fornisce le prestazioni a cui è tenuta per contratto.

Questo rapporto, definito “di spedalità”, insorge con l’accettazione del paziente presso la struttura ed implica una molteplice e complessa articolazione di prestazioni, riferibili alla cd. "assistenza sanitaria", che racchiude al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi di protezione, di vigilanza ed accessori. 

Ne consegue che, in caso di evento lesivo occorso al paziente, quest’ultimo dovrà dimostrare unicamente l'avvenuta accettazione nella struttura, e che il danno si è verificato durante il tempo della sua degenza (anche se per omessa vigilanza del personale del reparto), mentre spetta poi alla struttura provare di avere adempiuto la propria prestazione con la diligenza idonea ad impedire il fatto lesivo.

Questo dovere di vigilanza sarà tanto più stringente quanto più il paziente abbia evidenziato problematiche tali da far presagire il possibile insorgere pericoli per la propria od altrui incolumità, imponendo l’adozione di misure (terapeutiche, farmacologiche e di contenimento) che possano scongiurare il verificarsi di eventi avversi.

In precedenti occasioni, la Corte di Cassazione ha ancorato l’obbligo di vigilanza e protezione del paziente ricoverato nell’ambito dell’art. 1374 c.c., ritenendoli pienamente validi a prescindere dalla capacità di intendere e di volere del degente, né esigendo che costui risulti sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio.

Quest’obbligo si estende poi a qualsiasi rischio che possa prevedibilmente colpire il soggetto assistito.

Un caso recente

Di recente, è stata pubblicata la sentenza n. 1165/2023 con cui il Tribunale di Pisa ha condannato una struttura sanitaria al risarcimento dei danni patiti dagli stretti congiunti per la perdita di una loro parente, improvvisamente suicidatasi durante la degenza ospedaliera.

Ricoverata a seguito di un incidente stradale, le veniva diagnosticata "emorragia subaracnoidea diffusa, con focolai lacero-contusivi, sottodurale; frattura occipitale con diastasi occipite C1, contusioni polmonari", cui non seguiva intervento chirurgico, ma unicamente trattamento farmacologico.

Fin da principio, la paziente mostrava segni di disorientamento, agitazione psicomotoria e confusione, tanto da venir sottoposta a misure di contenimento e terapia sedativa.

Venivano registrati episodi di improvviso allontanamento dal reparto, fino a quando una notte, sfruttando la finestra della propria stanza, lasciata aperta dal personale, si gettava nel vuoto, perdendo così la vita.

Nel motivare la decisione di accoglimento della domanda, il Tribunale ha dapprima evidenziato, sulla scorta delle risultanze peritali raccolte in atti, che il decesso non fosse attribuibile a un suicidio volontario, dovendosi ritenere più verosimile la tragica conclusione di un tentativo incongruo di allontanamento dal reparto utilizzando la finestra.

Il punto determinante per giungere al giudizio di colpevolezza si fonda, però, sull’individuazione di una serie di fattori che hanno fatto propendere per la prevedibilità della condotta, sebbene incongrua, assunta dalla paziente, con conseguente accertamento dell’evitabilità dell’evento letale.

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Cosa è stato stabilito

La minorata capacità temporanea della pazienteconseguente al grave trauma cranico patito nell’incidente ha presto mostrato i tratti del delirio iperattivo che, secondo le conclusioni peritali, avrebbe richiesto “un alto carico assistenziale medico ed infermieristico, soprattutto durante la manifestazione del delirio iperattivo per il continuo monitoraggio farmacologico e la stretta supervisione medica ed infermieristica".

Di contro, la prestazione fornita nel caso specifico dal personale adibito al reparto non è stata ritenuta adeguata all’elevato standard richiesto nel caso specifico, non soltanto per non aver attivato sufficienti presidi farmacologici e di contenimento, quanto piuttosto per aver omesso di disporre la consulenza psichiatrica. Questo perché, come si legge nel testo della sentenza, "la gestione del delirium prevede l'ausilio di farmaci di competenza psichiatrica ed interventi ambientali o di supporto atti a garantire la sicurezza del paziente (..). Il ricovero in ambito specialistico psichiatrico avrebbe ridotto sensibilmente l'attuazione del gesto autolesivo, che non è stato sostenuto da una fenomenica depressiva, ma avvenuto verosimilmente per un tentativo di fuga in preda ad uno stato di alterazione dello stato di coscienza e delirio di tipo paranoideo”.

Si imputa allora al personale che ha avuto in carico la paziente durante il ricovero di non aver scrupolosamente valutato la fenomenica psichica presentata dalla paziente, omettendo di adottare quell’approccio multidisciplinare, necessario per la migliore gestione del caso concreto e che, con probabilità superiore al 50%, avrebbe determinato il ricorso a meccanismi più efficaci di contenzione e somministrazione di terapie più adeguate, riducendo così il rischio di avveramento dell’episodio mortale poi realizzato.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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