Sanità, il precariato mascherato costa caro: oltre 200mila euro alla psicologa sfruttata

Una psicologa impiegata per anni tramite borse di studio e contratti “a progetto” ottiene dal Tribunale di Reggio Calabria il riconoscimento della subordinazione, oltre 176mila euro di differenze retributive e 43mila euro di danno comunitario. Respinta invece la richiesta di stabilizzazione

Sommario

  1. Una psicologa usata come dipendente tramite borse di studio e contratti a progetto
  2. Le pretese della ricorrente: assunzione, retribuzioni dovute e contributi non versati
  3. Perché la stabilizzazione è stata negata: i limiti della legge e della P.A.
  4. Accertata la subordinazione: 176mila euro di differenze retributive
  5. La reiterazione abusiva dei contratti e il riconoscimento del danno UE
  6. Il verdetto: niente assunzione, ma oltre 200mila euro tra arretrati e risarcimenti

Il precariato nel mondo del pubblico impiego è una piaga piuttosto frequente, soprattutto nel settore sanitario, dove si è registrato, nel corso degli anni, il ricorso delle Aziende alle più svariate forme di contrattazione flessibile ed a termine nel tentativo di arginare le gravi carenze organizzative e di personale, mantenendo così standard prestazionali in linea con le esigenze della comunità.

Queste iniziative, seppur legittime siccome previste in diversi interventi normativi, sono state però letteralmente abusate, venendo utilizzate ben oltre i previsti limiti temporali e con modalità non coerenti con quanto stabilito dalle norme regolatrici degli specifici rapporti contrattuali utilizzati.

Una psicologa usata come dipendente tramite borse di studio e contratti a progetto

Emblematico di questa situazione, il caso pervenuto all’apprezzamento della Sezione Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria che, con la sentenza n. 1246/2025 pubblicata lo scorso 5 settembre, offre l’occasione a tutti coloro che si trovino nella medesima situazione lavorativa, ovvero l’abbiano patita durante la loro carriera, di avere un quadro piuttosto chiaro dei propri diritti per poterli, eventualmente, reclamare nel rispetto del termine prescrizione applicabile alla fattispecie concreta.

In estrema sintesi, una dottoressa in psicologia con specializzazione in psicoterapia evocava in causa un’azienda sanitaria e l’INPS riferendo di aver svolto la propria prestazione lavorativa in forza di una borsa di studio di un anno, costantemente rinnovata per diversi anni mediante plurimi contratti, definiti “a progetto”, che prevedevano lo svolgimento della medesima attività di psicologa di reparto, dapprima in affiancamento ad un medico strutturato e successivamente in piena autonomia, per il suo collocamento a riposo.

Le pretese della ricorrente: assunzione, retribuzioni dovute e contributi non versati

Ricostruite tutte le fasi del descritto rapporto lavorativo e delineati gli aspetti più concreti dell’attività complessivamente svolta, nel corso degli anni di servizio, a favore dell’Azienda, il medico ha quindi invocato le seguenti tutele:

  • Stabilizzazione del rapporto di lavoro, con riconoscimento delle differenze retributive
  • Accertamento del vincolo della subordinazione, con pagamento delle differenze retributive per la qualifica ricoperta,
  • Riconoscimento della relativa anzianità di servizio, con conseguente regolarizzazione della posizione contributiva-previdenziale
  • Liquidazione del cd. “danno comunitario” per l’illegittima reiterazione dei contratti di borsa di studio a tempo determinato.
  • Ricostruzione della posizione assicurativa, con condanna al pagamento dei contributi omessi.

Perché la stabilizzazione è stata negata: i limiti della legge e della P.A.

In piena adesione ai numerosi pronunciamenti già resi sul tema dalla Cassazione, il giudice del lavoro ha dovuto respingere la domanda con cui si evocava la stabilizzazione del rapporto di rapporto di lavoro, ricordando come anche la previsione contenuta nell’art. 268 della L. n. 234/2021 (relativa al personale sanitario) presupponga, in ogni caso, il rispetto dei vincoli finanziari, che regolano l’attività della P.A., non potendo comunque riconoscersi alcun diritto all’assunzione da parte del lavoratore, trattandosi di una mera facoltà riconosciuta all’ente pubblico.

Pertanto, in questi casi, non sussiste alcun diritto incondizionato alla stabilizzazione presso l'ente di  appartenenza dal momento che – come si legge – “la determinazione dell'amministrazione a procedervi è condizionata dal rispetto dei limiti finanziari e dall'esistenza dei posti in organico da ricoprire e la medesima previsione non dà diritto all'assunzione nella stessa posizione professionale ricoperta nell'ambito dell'ultimo rapporto di lavoro a termine”.

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Accertata la subordinazione: 176mila euro di differenze retributive

Negata qualsiasi ipotesi di stabilizzazione, l’indagine non si è però fermata a questo, avendo il magistrato approfondito la questione della natura del rapporto di lavoro, definito “a progetto”, utilizzato dall’azienda sanitaria, nonché le modalità con cui si è concretamente svolta la prestazione lavorativa.

La ricerca degli indici rilevatori del vincolo della subordinazione sono stati presto individuati allorchè, dal materiale probatorio reso disponibile dal medico ricorrente, è emerso chiaramente come quest’ultimo, diversamente da quanto solitamente previsto per i cd. “borsisti”, dove prevale l’aspetto collaborativo rispetto a condivisi percorsi di formazione e studio, fosse invece stabilmente inserito nell'organizzazione dell’azienda e la sua prestazione fosse pienamente funzionale al raggiungimento di scopi propri della stessa.

Al conseguente riconoscimento del vincolo della subordinazione, è quindi conseguito l’accertamento del diritto del medico al pagamento del credito retributivo maturato nel corso del tempo, calcolato complessivamente in oltre 176 mila euro sulla scorta dell’anzianità di servizio maturata.

La reiterazione abusiva dei contratti e il riconoscimento del danno UE

L’ulteriore aspetto trattato dalla decisione in commento riguarda poi la questione della reiterazione dei contratti a tempo determinato che, seppur definiti a progetto o borse, hanno superato ampiamente i termini previsti dalla normativa applicabile.

Rilevata, anche in questo specifico caso, la natura abusiva della condotta tenuta dall’azienda, si è quindi passati alla valorizzazione del danno provocato al medico ricorrente, facendo espresso riferimento al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ord. 12 dicembre 2013, C-50/13).

Ebbene, su tali presupposti, verificato l’andamento pluriennale dei rinnovati contratti flessibili e, quindi, del lungo protrarsi dell’illegittimità, il giudice ha dunque ritenuto congruo liquidare, a titolo di cd. “danno comunitario”, il corrispettivo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale, con conseguente riconoscimento a favore del medico ricorrente dell’ulteriore importo di oltre 43.000,00 euro.

Il verdetto: niente assunzione, ma oltre 200mila euro tra arretrati e risarcimenti

Pertanto, in conclusione, respinta la domanda diretta alla stabilizzazione del rapporto, le statuizioni di condanna hanno visto però riconosciuto il diritto del sanitario alle differenze retributive ed al risarcimento del danno, per un importo ben superiore ai 200 mila euro, oltre al beneficio della ricostruzione della posizione contributiva, con relativi adempimenti a carico della parte resistente.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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