11 ore di riposo tra i turni: perché saltarle espone a rischi legali e clinici

Ogni violazione delle pause obbligatorie nei turni espone il datore di lavoro a responsabilità e il professionista a rischi per la salute e la carriera. Documentare, segnalare, farsi assistere: una guida pratica per i sanitari che vogliono difendere i propri diritti.

Sommario

  1. Cosa dice la legge: il diritto al riposo non è negoziabile
  2. I rischi per la salute del personale sanitario
  3. Le ricadute sulla sicurezza del paziente
  4. Cosa fare se i turni non rispettano i tempi di riposo

Chi lavora nel mondo della sanità lo sa bene: turni estenuanti, notti insonni, reperibilità e carenza di personale sono la quotidianità. Ma spesso ci si dimentica che saltare il riposo obbligatorio non è solo una consuetudine diffusa — è un rischio professionale grave, che mette in pericolo la salute dell’operatore e la sicurezza dei pazienti.

Il mancato rispetto dei tempi di riposo è una violazione non solo della normativa sul lavoro, ma anche del buon senso clinico. Eppure, medici, infermieri e operatori sanitari continuano a pagare il prezzo di un sistema sotto pressione, in cui il sacrificio personale è diventato la norma.

Cosa dice la legge: il diritto al riposo non è negoziabile

Il D.Lgs. 66/2003, che recepisce la Direttiva europea 2003/88/CE, è chiaro:

  • Ogni lavoratore ha diritto ad almeno 11 ore consecutive di riposo ogni 24 ore.
  • Tra due turni non può mancare questo periodo minimo.
  • Inoltre, è previsto un riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, da sommare alle 11 giornaliere.

Tuttavia, nonostante i numerosi richiami anche della Corte di Giustizia Europea, negli ospedali e nelle strutture sanitarie pubbliche e private questa norma è spesso disattesa, soprattutto in contesti con organici insufficienti o turnazioni sovraccariche.

I rischi per la salute del personale sanitario

Il mancato riposo ha conseguenze gravi, documentate dalla letteratura scientifica:

Riduzione delle capacità cognitive
Stanchezza e sonno insufficiente compromettono attenzione, memoria, velocità di ragionamento e capacità di prendere decisioni rapide. Per un sanitario, questo può significare errori clinici, anche fatali.

Stress cronico e burnout
La privazione di sonno è un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi dell’umore, ansia, depressione e soprattutto del temuto burnout, la sindrome da esaurimento emotivo sempre più diffusa tra i sanitari.

Compromissione della salute fisica
Aumentano i rischi di:

  • Ipertensione e disturbi cardiovascolari
  • Diabete di tipo 2
  • Disturbi gastrointestinali
  • Suscettibilità a infezioni (calo dell’immunità)

Maggiore rischio infortuni
Secondo studi internazionali, un medico o infermiere che ha lavorato più di 12 ore consecutive ha un rischio fino al 300% più alto di commettere un errore clinico. Non solo: aumentano anche gli infortuni sul lavoro, per sé e per i colleghi.

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Le ricadute sulla sicurezza del paziente

Un sanitario stanco è anche un rischio per il paziente. Numerose indagini su eventi avversi e malpractice mostrano come la fatica e il mancato riposo siano tra i principali fattori contribuenti negli errori medici.

Questo rende il mancato rispetto del diritto al riposo non solo una questione individuale, ma anche una problematica etica, organizzativa e medico-legale.

Cosa fare se i turni non rispettano i tempi di riposo

  • Riconoscere il problema
    Non normalizzare il disagio: se i turni violano il diritto al riposo, è lecito – e doveroso – segnalarlo.
  • Documentare
    Conserva le turnazioni, gli orari effettivi di lavoro e i giorni senza riposo. La prova documentale è fondamentale in caso di contenzioso.
  • Coinvolgere il medico competente e il RSPP
    Segnalare una condizione di affaticamento persistente può attivare misure di sorveglianza sanitaria o riorganizzazione dei turni.
  • Rivolgersi a consulenti esperti
    Attraverso tutele legali e supporto sindacale o professionale (come quelle offerte da Consulcesi), è possibile far valere i propri diritti senza temere ritorsioni.
Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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