Quando la distruzione diventa reato: la battaglia per riconoscere l’ecocidio

Sommario

  1. La spinta legislativa internazionale
  2. L’ecocidio davanti alla Corte Penale Internazionale
  3. Le ricadute a livello nazionale
  4. Opinione pubblica e prospettive future

Il termine ecocidio venne coniato nel 1970 dal biologo Arthur Galston per denunciare le devastazioni ambientali provocate durante la guerra in Vietnam dall’uso dell’Agente Arancio, un diserbante che ha causato danni irreversibili a foreste, ecosistemi e alla salute di milioni di persone.

Oggi, in un’epoca segnata dalla crisi climatica, dall’innalzamento dei mari e dalla perdita di biodiversità, l’idea che la distruzione ambientale debba essere riconosciuta come crimine internazionale ha acquisito nuova forza. Non si tratta solo di proteggere l’uomo dalle conseguenze dell’inquinamento, ma di affermare un principio: la natura ha un valore intrinseco che merita tutela giuridica.

La spinta legislativa internazionale

Nel maggio 2025 la Scozia ha presentato una proposta di legge per criminalizzare l’ecocidio, unendosi a un movimento globale già avviato da 12 Paesi. Tra questi, il Belgio è stato il primo membro dell’Unione Europea a introdurre questa norma, dopo l’aggiornamento della direttiva UE sui crimini ambientali. Anche Argentina, Repubblica Dominicana, Italia, Paesi Bassi e Perù hanno avviato iter legislativi simili.

Un passaggio chiave risale al 2021, quando un gruppo internazionale di esperti ha elaborato una definizione giuridica del crimine di ecocidio. Essa include “atti illeciti o sconsiderati compiuti con la consapevolezza di un’alta probabilità di causare danni gravi, diffusi o di lunga durata all’ambiente.” Tale definizione coprirebbe casi come deforestazioni su larga scala, sversamenti di petrolio o inquinamenti massicci di acqua e suolo.

L’ecocidio davanti alla Corte Penale Internazionale

Nel dicembre 2024, tre piccoli stati insulari guidati da Vanuatu hanno chiesto ufficialmente di inserire l’ecocidio tra i crimini perseguibili dalla Corte Penale Internazionale (CPI), che attualmente si occupa solo di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e aggressione.

L’inclusione dell’ecocidio come quinto crimine internazionale avrebbe un valore simbolico e pratico enorme: significherebbe poter chiamare a rispondere individui – politici, leader militari, dirigenti d’impresa – indipendentemente dal loro ruolo istituzionale, introducendo un approccio meno antropocentrico e più ecocentrico al diritto internazionale.

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Le ricadute a livello nazionale

Pur restando i singoli Stati i principali responsabili nell’applicare queste norme, la CPI interverrebbe solo in caso di inerzia nazionale. Ciò rende fondamentale l’impegno interno: per esempio, nel Regno Unito una proposta di legge sull’ecocidio è stata presentata già nel 2023, ma non ha ancora avuto seguito.

La criminalizzazione a livello nazionale rafforzerebbe i sistemi giuridici esistenti, offrendo un deterrente più forte della sola responsabilità civile o amministrativa. Punire con sanzioni penali i decisori politici e aziendali potrebbe cambiare la percezione sociale del danno ambientale, elevandolo da questione regolatoria a vero e proprio reato contro la collettività e il pianeta.

Opinione pubblica e prospettive future

Un sondaggio Ipsos condotto nel 2024 in 20 Paesi del G20 ha rilevato che il 72% degli intervistati sostiene la criminalizzazione dell’ecocidio, con una percentuale che sale al 78% nel Regno Unito. Questo consenso crescente evidenzia come l’opinione pubblica sia pronta a riconoscere la distruzione ambientale come crimine di rilevanza penale.

Accogliere questa visione significherebbe trasformare i valori collettivi, riconoscendo che la tutela della natura non è solo un mezzo per proteggere l’essere umano, ma un dovere morale e giuridico verso il pianeta stesso.

Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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