Il problema del nostro SSN? Pochi investimenti per gli infermieri

L’appello è per infermieri e medici, affinché vengano creati dei posti di lavoro per loro e i loro stipendi vengano equiparati a quelli europei

Il primo passo da compiere secondo la FNOMCeO (Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) è certamente quello di equiparare gli stipendi di medici e infermieri agli standard europei. Secondo il 18esimo Rapporto Sanità del Centro per la Ricerca Economica applicata in Sanità (CREA), la realtà è nota a tutti: il SSN ha carenza di personale e questo si traduce nella mancanza di 30mila medici e 250mila infermieri. Questo mette a rischio tutto il Sistema Sanitario e la salute dei cittadini che vedono allungarsi inesorabilmente le liste d’attesa. 

Una situazione incresciosa che, però, può avere delle soluzioni anche abbastanza celeri da prendere in considerazione. Il primo rimedio è quello di equiparare gli stipendi di medici e infermieri agli standard europei, ma prima ancora sarebbe necessario valorizzare le categorie che, più di tutte, hanno dimostrato resilienza e spirito di adattamento anche in momenti di crisi sanitaria, prima tra tutte quelle degli infermieri. Ma forse in tal senso, qualcosa si sta muovendo. Interessanti sono due pronunce a riguardo che fanno intendere una presa d’atto da parte della giurisprudenza italiana. 

Le pronunce

La prima pronuncia riguarda i diritti del lavoratore, in particolare degli infermieri ai quali sono stati riconosciuti gli straordinari. 

La causa, portata avanti dal Nursind – il sindacato degli infermieri – si è conclusa con l’obbligo per un’azienda ospedaliera di Bologna di pagare gli straordinari agli infermieri. 

Da gennaio del 2019, il sindacato aveva sollecitato la stessa azienda a regolarizzare i mancati pagamenti delle ore di lavoro svolte dagli infermieri in regime di straordinario, senza però ricevere alcuna risposta. Nonostante le diverse interlocuzioni tra i rappresentanti sindacali e i dirigenti, la questione era rimasta irrisolta. 

Quella dell’azienda ospedaliera era ormai diventata una prassi. Tra l’altro, a questi operatori sanitari non era nemmeno concesso il riposo compensativo. Il tutto è stato portato alla luce da questa sentenza, che ha riconosciuto il diritto degli infermieri al pagamento degli straordinari.

Questo è stato non solo un riconoscimento di diritti, ma anche l'importanza di sottolineare la determinazione degli infermieri, e dello stesso sindacato, nel far valere i propri diritti.

Accanto a questa sentenza del marzo 2023, è possibile analizzarne un’altra se non per similitudine di casi quanto per logica di importanza a questa categoria di professionisti sanitari. Nel febbraio 2023, il Tribunale di Roma si è espresso su un’annosa problematica quale quella del demansionamento degli infermieri.

Un infermiere, impiegato con la qualifica di infermiere inquadrato nella categoria D, fascia 4, ha adito il Tribunale romano, perché aveva dovuto svolgere sempre mansioni di contenuto inferiore a quelle proprie della sua professione e del suo inquadramento contrattuale, in violazione delle disposizioni di legge e in totale spregio della sua dignità professionale. Lo stesso era stato, infatti, inserito nel reparto come OSS.

Tra tutte, i Giudici romani hanno preso in considerazione la massima che stabilisce che:

Per gli infermieri valgono poi le disposizioni [..] del D.M. 739/1994 con l’emanazione del quale sono state attribuite all’infermiere un’autonomia anche decisionale, competenze e responsabilità chesegnano l’evoluzione a professione di un’arte fino ad allora considerata ausiliaria, di mero supporto ed esecutiva di prescrizioni e istruzioni dei medici”.

Il Tribunale ha preso dunque in esame la sola pretesa al risarcimento dei danni da demansionamento e su questa ha specificato che occorre distinguere:

il danno patrimoniale, derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità, con la connessa perdita di chances, ovverosia di ulteriori possibilità di guadagno (…), da quello non patrimoniale, comprendente sia l’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore, accertabile medicalmente, sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (…), sia infine la lesione arrecata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore (…). 

Tali pregiudizi, la cui natura non patrimoniale non ne impedisce una valutazione in termini economici, sono risarcibili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, diritti del lavoratore che costituiscano oggetto di tutela costituzionale, e vanno accertati in relazione alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, nonché all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti (…).”(Cass. ord. 24595/2019).

Il Tribunale di Roma ha considerato come fondamentale il protrarsi della condotta illecita e, per altro, della lesione dell’immagine professionale e della dignità del lavoratore. Per questo, ha condannato l’azienda sanitaria al risarcimento dei danni da demansionamento subito, per complessivi € 57.996,04.

La ratio legislativa 

Il risarcimento è un ottimo risultato così come il pagamento di straordinari, il tutto orientato a far crescere – anche nell’opinione pubblica – secondo la normativa vigente il valore delle professionalità sanitarie e in particolare degli infermieri che spesso si trovano al fronte senza le adeguate tutele. 

Conoscere i propri diritti e riuscire a fare scudo con questa conoscenza è l’inizio della valorizzazione degli infermieri. Per farlo, un consulente specializzato potrebbe essere la chiave. 

Di: Cristina Saja, avvocato

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