Visite fiscali per congedo malattia: le fasce orarie nel pubblico impiego vanno ridotte come nel privato

Lo scorso 3 novembre, la sezione IV del Tar Lazio è intervenuta, in modo perentorio, risolvendo una disputa che, da qualche anno, faceva sentire il suo gravoso peso sulle spalle del pubblico impiego: una disparità di trattamento riguardo al privato che, finalmente, è stata composta ricorrendo al principio costituzionale che garantisce l’uguaglianza.

Sommario

  1. I motivi di ricorso
  2. La decisione del Tar Lazio sulle visite fiscali

L’oggetto del contendere riguardava l’applicazione del Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017, pubblicato il successivo 29 dicembre 2017, concernente il “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell’articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

Nello specifico, i motivi di ricorso si concentravano sul contenuto dell’art. 3 che, disciplinando le modalità di espletamento della visita fiscale in caso di malattia, individuava per il pubblico impiego fasce di reperibilità tra le 9 e le 13 e tra le 15 e le 18 di ciascun giorno, nulla disponendo riguardo al lavoro privato, dove vigono invece fasce orarie più ridotte, tra le ore 10 e le 12 e tra le ore 17 e le 19, così contravvenendo all’obbiettivo di armonizzazione fra pubblico e privato invocato dall’art. 55 septies, comma 5 bis, del d. lgs. n. 165/2001.

I motivi di ricorso

Tre i motivi di doglianza presentati al Giudice amministrativo.

Con il primo, veniva dedotto il contrasto della richiamata disciplina con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per l’evidente disparità di trattamento generatasi fra pubblico impiego e privato, nonché per aver contravvenuto alla delega prevista dall’art. 55 septies, comma 5 bis, d.lgs. 165/2001, che invero richiedeva un’opera di armonizzazione dal momento che, venendo in rilievo i medesimi presupposti di subordinazione, la malattia non poteva incidere diversamente, anche con riferimento alle modalità di verifica e controllo del lavoratore.

Con il secondo veniva individuata la violazione della medesima disposizione ministeriale riguardo alla Direttiva n. 2000/78/CE che, di fatto, non consente agli stati membri dell’Unione l’adozione di norme, regolamenti o contratti collettivi, che provochino disparità di trattamento tra lavoratori, senza che vi siano motivate ragioni oggettive.

Con l’ultimo motivo, veniva rimarcato come la censurata disposizione, creando una disparità di trattamento fra lavoratori pubblici e privati, avrebbe travisato lo scopo della delega, che invece prevedeva l’armonizzazione, manifestando altresì un’intenzione del legislatore diretta più che altro a dissuadere, con uno specifico apparato sanzionatorio, il dipendente pubblico dal ricorrere all’assenza per malattia, anziché accertarne lo stato fisico patito.

La decisione del Tar Lazio sulle visite fiscali

Preliminarmente, il giudice amministrativo ha ritenuto opportuno ricostruire il quadro normativo entro il quale si è inserito il contestato Decreto Ministeriale, richiamando espressamente il disposto di cui all’art. 18 del d. lgs. n. 75 del 2017 che, riformando l’art. 55 septies del d.lgs n. 165 del 2001, ha stabilito che: “Al fine di armonizzare la disciplina dei settori pubblico e privato, con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le fasce orarie di reperibilità entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo e sono definite le modalità per lo svolgimento delle visite medesime e per l’accertamento, anche con cadenza sistematica e ripetitiva, delle assenze dal servizio per malattia. Qualora il dipendente debba allontanarsi dall’indirizzo comunicato durante le fasce di reperibilità per effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva comunicazione all’amministrazione che, a sua volta, ne dà comunicazione all’Inps”.

Poste queste premesse, si è quindi passati a verificare se la disposizione ministeriale impugnata fosse realmente in contrasto con la delega ricevuta dalla norma primaria concludendo, già solo alla semplice lettura dell’art. 3, per l’inidoneità della stessa a dare attuazione a quanto richiesto.

In particolare – afferma il Tar – con riferimento al solo settore pubblico, le fasce orarie di reperibilità sono così indicate: 9-13 e 15-18, con obbligo di reperibilità anche nei giorni non lavorativi e festivi, mentre per il settore privato persistono orari completamente diversi: 10-12 e 17-19.

È quindi evidente come nessuna opera di armonizzazione sia stata realmente perseguita, così contravvenendo all’obiettivo indicato nella legge delega a danno dei dipendenti pubblici.

Già il Consiglio di Stato aveva peraltro espressamente sottolineato, obiettando al testo dell’art. 3 del D.M., che “tale articolo – nell’individuare quali fasce orarie di reperibilità i periodi ricompresi tra le ore 9 e le 13 e tra le ore 15 e le 18 di ciascun giorno – mantiene gli orari attualmente previsti per i pubblici dipendenti, lasciando dunque immutata la differenziazione tra dipendenti pubblici e privati, in relazione ai quali sono previste fasce orarie di reperibilità più brevi, ricomprese tra le ore 10 e le 12 e tra le ore 17 e le 19.”.

Rimarcando a chiare lettere questa incongruenza, lo stesso organo consultivo aveva quindi profetizzato che la normativa avrebbe potuto essere considerata non conforme alla normativa primaria, che invece prefigurava l’armonizzazione fra le due distinte situazioni, invitando l’amministrazione pubblica ad intervenire in tal senso.

Questo disallineamento fra pubblico e privato ha quindi provocato – a detta del giudice amministrativo – un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad un evento, come la malattia, identico per entrambe le categorie, con conseguente violazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della carta costituzionale.

L’aver voluto mantenere, peraltro a dispetto del puntuale parere espresso dal Consiglio di Stato, questa differenza di fasce orarie (pari addirittura al doppio per il dipendente pubblico rispetto al privato), conferma altresì lo sviamento di potere da parte dell’amministrazione pubblica che, di fatto, ha rivelato un’intenzione diretta più a dissuadere il dipendente pubblico dal ricorso al congedo per malattia, che allo scopo, proprio della legge delega, di uniformare le procedure con le relative tempistiche di controlli.

Tutte queste considerazioni hanno quindi portato all’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento ministeriale.

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Di: Francesco Del Rio, avvocato

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