Carne e latticini: 1 mld tonnellate di emissioni, dice Greenpeace
Le 15 aziende globali di carne e latticini emettono più gas serra di Italia e Germania. Greenpeace chiede regole e trasparenza nel settore agroalimentare.
12 Novembre 2025, 12:27

Sommario
La produzione industriale di carne e latticini è uno dei principali fattori di emissioni di gas serra a livello globale. Secondo il recente report “Roasting the Planet: Big Meat and Dairy’s Big Emissions”, realizzato da Greenpeace, Foodrise, Friends of the Earth U.S., Greenpeace Nordic e Institute for Agriculture and Trade Policy, le 45 maggiori aziende del settore hanno prodotto tra il 2022 e il 2023 oltre un miliardo di tonnellate di CO₂ equivalenti, più di quelle generate dall’Arabia Saudita, secondo produttore mondiale di petrolio.
Gran parte di queste emissioni – il 51% – è costituita da metano, un gas serra particolarmente potente e responsabile di gran parte del riscaldamento globale, che gli scienziati indicano come prioritario da ridurre entro il 2030 per mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C.
Le aziende più inquinanti: chi guida la classifica
Lo studio evidenzia come i principali colossi della carne e dei latticini abbiano emissioni comparabili a quelle dei maggiori produttori di combustibili fossili. Solo i primi cinque emettitori – JBS, Marfrig, Tyson, Minerva e Cargill – hanno prodotto nel 2023 circa 480 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti, superando colossi petroliferi come Chevron, Shell e BP.
Se tutte le 45 aziende considerate fossero un Paese, si collocherebbero al nono posto mondiale per emissioni di gas serra. Il primato spetta al brasiliano JBS, responsabile di quasi un quarto delle emissioni totali, con oltre 240 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti.
L’Italia nella classifica globale
Tra le aziende incluse nello studio c’è anche un nome italiano: il Gruppo Cremonini, al ventesimo posto con 14,41 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti prodotte nel 2023. Il gruppo controlla Inalca, leader nella carne bovina con brand noti come Montana e Manzotin, e insieme a La Pellegrina, Tre Valli, Granarolo e Galbani fa parte della top 5 italiana per ricavi nel settore. I profitti di Inalca superano 1,6 miliardi di euro, secondo gli ultimi bilanci disponibili.
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Impatto climatico e urgenza di intervento
Secondo Simona Savini, campaigner Agricoltura di Greenpeace Italia:
“Mentre i leader del mondo si preparano alla COP30 in Amazzonia, gli scienziati hanno chiaro che senza riduzione delle emissioni zootecniche supereremo la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale. Le aziende agroecologiche dovrebbero guidare la produzione, non i maxi-allevamenti industriali”.
Il report mette in evidenza che tre quarti delle emissioni derivano da sole 15 aziende, evidenziando il peso sproporzionato dei giganti del settore.
Le richieste di Greenpeace e le strategie di riduzione
Per rispettare gli accordi di Parigi e limitare il riscaldamento globale, lo studio propone:
- Rendicontazione trasparente delle emissioni: dati obbligatori sulla produzione e sulle emissioni di ogni azienda.
- Obiettivi vincolanti di riduzione: specifici per il settore agricolo e per il metano.
- Limitazione della sovrapproduzione: riduzione del consumo eccessivo di carne e latticini.
- Transizione verso l’agroecologia: promozione di modelli sostenibili, sovranità alimentare e alimenti di origine vegetale.
- Riposizionamento dei fondi pubblici: dai maxi-allevamenti industriali verso produzioni sostenibili.
Cosa indica il report Greenpeace
Il report di Greenpeace evidenzia quanto il settore carne e latticini sia cruciale nella lotta al cambiamento climatico. La produzione industriale di questi alimenti contribuisce in maniera significativa alle emissioni globali, superando molti Paesi produttori di petrolio e alcuni interi blocchi economici come l’UE e il Regno Unito.
Agire ora significa incentivare modelli agroalimentari sostenibili, ridurre le emissioni di metano e CO₂ e promuovere scelte alimentari più consapevoli, proteggendo così il clima e la salute del pianeta.