PFAS: l’Europa verso il divieto, ma tra lobby e rinvii

Il divieto UE sui PFAS è ostacolato da lobby e consulenze dubbie. Il rischio di conflitto d’interessi solleva interrogativi sulla tutela ambientale.

29 Ottobre 2025, 10:26

PFAS: l’Europa verso il divieto, ma tra lobby e rinvii

L’Unione Europea sta cercando di regolamentare migliaia di sostanze chimiche sintetiche conosciute come PFAS (“Forever Chemicals”), impiegate in prodotti che vanno dall’abbigliamento alle pentole antiaderenti fino alle schiume antincendio. Queste sostanze, estremamente persistenti nell’ambiente e nell’organismo umano, sono associate a gravi rischi per la salute, tra cui cancro, problemi di fertilità e disturbi metabolici.  Tuttavia, il percorso verso un divieto totale dei PFAS appare complesso e controverso, tra ritardi normativi e sospetti di conflitto di interessi legati a consulenze esterne. 

Il ruolo controverso di Ramboll 

Secondo un’inchiesta del Financial Times, la società di consulenza Ramboll avrebbe lavorato contemporaneamente per: 

  • L’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche), fornendo supporto scientifico e strategico sulle decisioni regolatorie relative ai PFAS. 
  • Alcuni dei principali produttori di PFAS, come Honeywell, 3M e Gujarat Fluorochemicals. 

Questa sovrapposizione di incarichi solleva preoccupazioni di conflitto di interessi, perché le raccomandazioni tecniche potrebbero essere state influenzate dalle stesse aziende che hanno interesse a rallentare o limitare il divieto. In particolare, Ramboll avrebbe suggerito un phase-out decennale dei PFAS nelle schiume antincendio, un periodo di transizione poi recepito nella normativa europea finale. 

I rischi per la salute pubblica e l’ambiente 

I PFAS sono noti come “inquinanti eterni” per la loro resistenza alla degradazione naturale. La loro presenza nell’acqua, nel suolo e negli organismi viventi rappresenta un rischio sanitario significativo. Il rinvio del divieto totale e l’adozione di deroghe a lungo termine, come quelle raccomandate da Ramboll, aumentano il rischio di esposizione della popolazione e ritardano la transizione verso alternative più sicure. 

Gli attivisti e le ONG ambientali sottolineano come la dipendenza dell’UE dai consulenti esterni possa compromettere la trasparenza delle decisioni. La complessità del dossier PFAS e la scarsità di risorse interne dell’ECHA rendono le agenzie europee vulnerabili a pressioni industriali. 

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Reazioni politiche e richieste di trasparenza 

A seguito delle rivelazioni, l’eurodeputata Cristina Guarda (Verdi/ALE) ha depositato un’interrogazione urgente alla Commissione Europea, chiedendo: 

  • Chiarezza sui rapporti contrattuali tra Ramboll, ECHA e le aziende produttrici di PFAS. 
  • Garanzie che le valutazioni scientifiche siano svolte in piena indipendenza. 
  • L’applicazione del principio di precauzione e l’adozione di un divieto universale dei PFAS, senza ulteriori rinvii. 

Guarda ha definito la vicenda come un “caso emblematico di come le lobby possano influenzare le decisioni pubbliche, con impatti diretti sulla salute dei cittadini”. 

Il nodo strutturale: consulenze e trasparenza 

Il caso Ramboll evidenzia un problema più ampio: la crescente dipendenza della Commissione Europea dai consulenti privati. Questa pratica, sebbene necessaria per gestire l’enorme mole di lavoro legata al Green Deal e alla revisione delle normative ambientali, comporta rischi significativi di influenza delle lobby. Ramboll ha respinto le accuse, affermando che le proprie valutazioni si basano su prove scientifiche indipendenti e che esistono “muri etici” per separare i progetti, ma la vicenda resta sotto scrutinio pubblico e politico. 

Il cammino verso il divieto dei PFAS in Europa appare quindi ostacolato non solo da difficoltà tecniche e industriali, ma anche da potenziali conflitti di interesse. Il dibattito evidenzia la necessità di maggiore trasparenza, controllo dei consulenti esterni e rispetto del principio di precauzione, per proteggere la salute pubblica e l’ambiente dai cosiddetti “inquinanti eterni”.