PFAS in acque minerali: 6 marche su 8 contaminate
Greenpeace Italia rileva PFAS in 6 marche di acque minerali su 8 analizzate. Serve trasparenza e limiti più severi per proteggere la salute pubblica.
13 Novembre 2025, 09:00

Sommario
Un recente studio condotto da Greenpeace Italia ha rilevato la presenza di PFAS, sostanze chimiche persistenti e pericolose per la salute, in sei marche su otto delle acque minerali più diffuse nel nostro Paese. L’indagine, pubblicata il 9 ottobre 2025, ha preso in esame 16 bottiglie acquistate presso un supermercato di Roma, appartenenti a Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto, analizzandole in laboratori italiani e tedeschi.
Cos’è il TFA e perché preoccupa
Il TFA (acido trifluoroacetico) è il PFAS più diffuso sul pianeta ed è stato l’unico rilevato nei campioni contaminati. I PFAS, noti anche come “inquinanti eterni”, si accumulano nell’ambiente e negli organismi viventi, essendo molto persistenti e difficili da degradare. Il TFA, in particolare, è considerato dalle autorità tedesche tossico per la riproduzione, molto mobile e altamente persistente.
Questa sostanza può derivare dalla degradazione di altri PFAS e si ritrova ovunque: nella polvere domestica, nel sangue umano e, come conferma lo studio, anche nelle acque minerali.
I risultati dell’indagine di Greenpeace
L’analisi ha mostrato che:
- Ferrarelle e San Benedetto Naturale: nessuna presenza rilevabile di PFAS (sotto il limite di 50 ng/L).
- Levissima, Panna, Rocchetta, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto: rilevazione di TFA.
I valori più elevati sono stati registrati in:
- Acqua Panna: 700 ng/L
- Levissima: 570 ng/L
- Sant’Anna: 440 ng/L
Nessuno dei campioni conteneva altri PFAS regolamentati dalla direttiva UE sull’acqua potabile, né sostanze particolarmente pericolose come PFOA, PFOS, PFHxS e PFNA.
Greenpeace ha contattato le aziende coinvolte, ma nessuna ha voluto commentare i risultati.
Implicazioni per la salute pubblica
L’esposizione al TFA rappresenta un rischio potenziale, soprattutto per la riproduzione e la salute a lungo termine, a causa della sua persistenza e della sua mobilità nell’ambiente. I valori riscontrati in Italia (tra 70 e 700 ng/L) sono comparabili ad altri studi condotti in Europa, dove le concentrazioni possono arrivare fino a 3.300 ng/L.
Alla luce di questi dati, la Germania ha richiesto all’ECHA (Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche) la classificazione del TFA come sostanza tossica per la riproduzione. Se approvata, la normativa tedesca stabilirebbe un valore limite di 100 ng/L per l’acqua potabile, potenzialmente estendibile a tutti i Paesi europei.
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Cosa possiamo fare per ridurre l’esposizione
- Preferire acque minerali verificate: scegliere marchi con analisi certificate e trasparenti.
- Ridurre l’uso di plastica: limitare la contaminazione da PFAS presenti negli imballaggi.
- Sostenere la regolamentazione: incoraggiare l’adozione di limiti vincolanti per i PFAS nell’acqua potabile.
Significato tecnico e sanitario
Il TFA, come osservato nello studio, è un composto ultracorto della famiglia PFAS: ciò significa che ha caratteristiche diverse dai PFAS a catena lunga (es. PFOA, PFOS) riguardo persistenza, mobilità e trattamento. Lo studio sottolinea che in Italia “non esistono dati pubblici” sulla contaminazione da TFA fino a questo tipo di indagini.
Il TFA è descritto come «molto mobile e persistente» dalle autorità tedesche e classificato come “tossico per la riproduzione”. Il fatto che non siano stati rilevati PFAS4 regolamentati nei campioni non significa che non ci sia rischio: la presenza di TFA mostra che i contaminanti emergenti, meno regolamentati, possono essere presenti. Inoltre, la normativa europea attuale non copre tutti i composti PFAS.
Dal punto di vista sanitario, la rilevazione di TFA a concentrazioni “tra circa 70 e 700 ng/L” (secondo il report) è rilevante, anche se non esiste ancora uno standard europeo unico per TFA nell’acqua minerale in Italia. Il report fa riferimento a limiti adottati in Germania (es. 100 ng/L se classificato come sostanza tossica per la riproduzione) come riferimento.
Confronto internazionale e contesto normativo
Il report italiano fa riferimento ad analisi europee che indicano valori per TFA in acque minerali o potabili tra circa 370 e 3.300 ng/L. In Italia, l’indagine “Acque Senza Veleni” di Greenpeace (settott 2024) ha analizzato 260 campioni di acqua potabile in 235 comuni rilevando PFAS nel 79% dei campioni. In quell’indagine, il TFA era presente in 104 campioni.
Sul fronte regolamentare: la normativa europea è in via di aggiornamento. Non c’è ancora un limite unico per molti PFAS, TFA incluso, nell’acqua minerale in Italia. Se il TFA fosse classificato come tossico per la riproduzione dall’European Chemicals Agency (ECHA), questo potrebbe impattare anche sull’acqua potabile e minerale, con valori limite come i 100 ng/L citati per la Germania.
Implicazioni per l’industria e il consumatore
Per l’industria delle acque minerali: questo report pone una sfida di trasparenza e controllo: le aziende devono comunicare chiaramente i risultati delle analisi sui PFAS e verificare le materie prime, le sorgenti e i processi di imbottigliamento per ridurre contaminazioni. Per il consumatore: le acque minerali non sono necessariamente “libere da contaminanti”. Anche marchi molto noti possono presentare sostanze emergenti come TFA. La scelta informata e la richiesta di trasparenza diventano fondamentali. Per le autorità e regolatori: il report rafforza l’urgenza di definire limiti vincolanti, estendere i controlli ai PFAS emergenti e garantire che le acque imbottigliate siano sottoposte a analisi con criteri aggiornati.
Limiti dello studio e questioni aperte
Il campione è relativamente piccolo: solo 16 bottiglie, 8 marchi. Non fornisce una copertura statistica ampia, ma è un indicatore di allarme. Lo studio rileva TFA, ma non tutti i PFAS emergenti: la presenza, la combinazione e la somma dei PFAS possono avere effetti che non sono ancora pienamente compresi. Non ci sono dati completi pubblici su tutti marchi, né risposte aziendali pubbliche alle analisi (il report segnala che nessuna delle aziende contattate ha voluto commentare). La correlazione tra concentrazione di TFA nelle acque minerali e impatti sanitari effettivi per il consumatore abituale richiede ulteriori studi: ad oggi la normativa specifica per TFA è in evoluzione.
Cosa ci dice l’analisi Greenpeace?
L’analisi di Greenpeace Italia sulle acque minerali mette in evidenza un fenomeno che va oltre il “microcontaminante occasionale”: si tratta della presenza di sostanze ultrapersistenti, già accumulate nell’ambiente e potenzialmente nella catena alimentare. Il TFA rilevato in sei marche su otto di acque minerali italiane è un campanello d’allarme per il settore, per i consumatori e per le politiche pubbliche. L’importanza sta non solo nella contaminazione in sé, ma nel fatto che molte delle sostanze implicate non sono ancora adeguatamente regolamentate, monitorate o comunicate. Ciò significa che la sicurezza percepita – “acqua minerale = sicura” – va messa in relazione con la realtà dei fatti e con la crescente evidenza scientifica sui PFAS.
Sul piano pratico: serve che le aziende adottino analisi più stringenti e pubbliche, che le autorità definiscano limiti vincolanti (anche per acque minerali) e che i consumatori siano informati e consapevoli. Solo così si potrà lavorare verso un sistema alimentare e idrico più sicuro e sostenibile.