Trattato Oceani: 60 firme, ma l’Italia resta fuori
Il Trattato sugli Oceani entra in vigore con 60 firme. L’Italia non aderisce. Greenpeace sollecita l’impegno per la protezione marina globale.
22 Ottobre 2025, 12:46

Sommario
Dopo anni di negoziati e attese, il Trattato globale sugli Oceani ha finalmente raggiunto le 60 ratifiche necessarie per entrare in vigore, segnando un momento storico nella lotta per la protezione dei mari e della biodiversità marina. L’accordo, approvato dalle Nazioni Unite nel 2023, mira a istituire un quadro internazionale per la conservazione e l’uso sostenibile delle aree marine al di fuori delle giurisdizioni nazionali, ossia quella parte di oceano che rappresenta quasi i due terzi della superficie marina del pianeta.
Tuttavia, tra i Paesi che hanno firmato e ratificato il Trattato non figura ancora l’Italia, come denunciato da Greenpeace Italia in un recente comunicato.
L’Italia resta indietro: nessuna ratifica dal 2015
“L’Italia purtroppo non è tra i 60 Paesi che hanno ratificato il Trattato”, spiega Valentina Di Miccoli, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Secondo l’organizzazione, il governo italiano non ha ancora avviato il processo di ratifica, nonostante gli impegni presi negli ultimi anni per proteggere almeno il 30% dei mari entro il 2030, in linea con l’accordo sulla biodiversità globale approvato alla COP15 di Montréal.
Il dato è allarmante: solo lo 0,9% degli oceani del mondo è attualmente protetto, e nel caso dell’Italia la percentuale scende drasticamente a soli 0,04% di mare sotto tutela rigorosa.
Ciò significa che gran parte del nostro patrimonio marino resta esposto agli effetti della pesca intensiva, dell’inquinamento e della crisi climatica, senza un’adeguata salvaguardia.
Cosa prevede il Trattato sugli Oceani
Il Trattato globale sugli Oceani — noto anche come BBNJ Treaty (Biodiversity Beyond National Jurisdiction) — rappresenta il più ambizioso strumento giuridico mai creato per proteggere gli ecosistemi marini.
I suoi obiettivi principali sono:
- creare aree marine protette in acque internazionali;
- regolamentare attività economiche e di ricerca che possano danneggiare gli habitat marini;
- garantire un uso equo e sostenibile delle risorse genetiche marine;
- promuovere la cooperazione scientifica internazionale e il trasferimento di tecnologie.
L’entrata in vigore, prevista per gennaio 2026, sarà un punto di svolta per la governance globale degli oceani. Con esso, si potranno istituire riserve marine internazionali, strumenti essenziali per contrastare la perdita di biodiversità e mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
L’impegno di Greenpeace e il progetto “AMPower”
Per colmare il divario nella protezione dei mari italiani, Greenpeace ha lanciato il progetto “AMPower” in collaborazione con la Blue Marine Foundation, con l’obiettivo di sostenere l’espansione delle Aree Marine Protette (AMP) nazionali.
L’iniziativa mira a contribuire concretamente al raggiungimento del traguardo europeo del 30×30, cioè la protezione del 30% dei mari entro il 2030.
Il progetto si concentra su tre priorità:
- rafforzare la gestione delle AMP esistenti;
- ampliare la superficie marina tutelata, con nuove aree strategiche;
- coinvolgere comunità locali, pescatori e istituzioni nella tutela condivisa del mare.
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Una mancata adesione che pesa
La mancata ratifica italiana non è solo una questione formale, ma un segnale politico rilevante.
Come ricorda Greenpeace, l’Italia non potrà partecipare alla prima Conferenza delle Parti (COP) sugli oceani, prevista per il 2026, se non avrà ratificato il Trattato in tempo.
Ciò significa perdere la possibilità di sedere al tavolo delle decisioni globali in materia di conservazione marina e di contribuire alla definizione delle prime riserve oceaniche internazionali.
Per un Paese come l’Italia — che possiede oltre 8.000 chilometri di coste e un patrimonio marino tra i più ricchi d’Europa — restare fuori da questo processo appare come una contraddizione grave e preoccupante.
Perché il Trattato è cruciale
Gli oceani non sono soltanto habitat di milioni di specie, ma anche regolatori essenziali del clima globale.
Assorbono circa il 30% della CO₂ prodotta dalle attività umane e generano oltre la metà dell’ossigeno che respiriamo. Tuttavia, l’inquinamento, la pesca eccessiva e il riscaldamento globale stanno rapidamente compromettendo questi equilibri.
L’attuazione del Trattato rappresenta dunque una svolta decisiva per garantire:
- la sopravvivenza degli ecosistemi marini;
- la sicurezza alimentare di miliardi di persone;
- la resilienza degli oceani agli impatti della crisi climatica.
Come sottolinea Greenpeace, “l’era dello sfruttamento e della distruzione deve finire, e il Trattato globale sugli oceani è lo strumento giusto per farlo”.
Un appello all’Italia
L’entrata in vigore del Trattato sugli Oceani segna un punto di svolta nella storia della tutela ambientale globale. Ma l’assenza dell’Italia tra i Paesi firmatari lancia un segnale di immobilismo in un momento in cui il pianeta chiede azioni concrete.
Greenpeace invita il governo italiano a ratificare al più presto il Trattato, affinché il Paese possa tornare protagonista nella difesa dei mari e contribuire in modo attivo alla costruzione di un futuro sostenibile per il Mediterraneo e per gli oceani del mondo.