Aggressioni ai sanitari in aumento, allo studio nuove misure per contrastarle

Aumentano ancora i casi di aggressione a medici e operatori sanitari. Tra le principali soluzioni messe in campo i presidi delle Forze dell’Ordine negli ospedali. Tante le segnalazioni arrivate a Consulcesi da professionisti stanchi e amareggiati. Per prevenire il problema nel lungo termine è necessario colmare la carenza dei medici e, ancor prima, ripensare il Numero Chiuso.

Sommario
  1. Presidi di polizia negli ospedali
  2. Un Tavolo sui Pronto Soccorso
  3. Numero chiuso
  4. Formazione ECM

Tempi duri per i nostri operatori sanitari. E non per colpa della pandemia. A rendere più difficile, complicato e addirittura più pericoloso il lavoro di medici ed infermieri sono le aggressioni, sia verbali che fisiche, di cui sono troppo spesso vittime. Si stima che in totale siano circa 2.500 i casi di aggressione o minaccia accertati ogni anno a danno degli operatori sanitari italiani. Anche se Nursing Up stima che siano ben 5mila gli infermieri che ogni anno subiscono aggressioni fisiche e verbali. I casi accertati registrati dall’Inail, tra il 2016 e il 2020, risultano più di 12mila, il 46% dei quali avvenuti negli ospedali, nelle case di cura e negli studi medici. Il 28% delle aggressioni censite dall’Inail ha invece avuto luogo nei servizi di assistenza sociale residenziale, come le case di riposo, le strutture di assistenza infermieristica, i centri di accoglienza, ecc. Mentre il 26% nell’assistenza sociale non residenziale.

Anche Consulcesi, che offre sostegno a tutti professionisti che chiedono consulenze o consigli, ha registrato centinaia di segnalazioni da parte di operatori sanitari preoccupati per la loro incolumità. “Stiamo assistendo ad un aumento di denunce da Nord a Sud del Paese, che però non ci raccontano tutta la reale portata del problema”, afferma Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi. “Le centinaia di segnalazioni registrate dagli avvocati di Consulcesi nel corso di quest’anno indicano che ci sono moltissimi operatori sanitari che non sanno come affrontare e gestire le minacce e le aggressioni che molto spesso arrivano dai loro pazienti e dalle famiglie”, aggiunge.

Presidi di polizia negli ospedali

I recenti casi di cronaca, non ultimo quello che ha visto la dottoressa ventottenne Adelaide Andriani, che è stata quasi strangolata dall’accompagnatore di un paziente mentre era di turno come guardia medica all’ospedale Gervasutta di Udine, hanno attirato l’attenzione pubblica e hanno risvegliato la coscienza dei decisori politici, i quali hanno annunciato seri provvedimenti. In accordo con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha prodotto un elenco dei Pronto Soccorso italiani dove si sono verificati il maggior numero di aggressioni. Si è quindi partiti con l’apertura di presidi delle Forze dell’Ordine che hanno lo scopo di tutelare la sicurezza degli operatori sanitari. Per alcuni grandi poli ospedalieri si parla di riaperture di presidi di polizia che erano stati dismessi o depotenziati.

Nel frattempo, però, le Regioni avevano già iniziato a muoversi in autonomia. Tra i primi ad attivarsi è stato il Piemonte che durante la pandemia ha avviato un piano di vigilanza nei Pronto Soccorso tale da ridurre il numero di aggressioni. La Liguria si è attivata da tempo con iniziative legate ai singoli ospedali, con la presenza di forze dell’ordine e, dove necessario, un eventuale supporto suppletivo o complementare del sistema di guardie giurate. In Lombardia sono stati invece organizzati corsi di formazione rivolti ad operatori del settore sanitario, sono state installate telecamere a circuito chiuso e collegamenti diretti con le forze dell’Ordine. Nel Lazio, in diversi ospedali di Roma e provincia, è stata annunciata l’apertura di posti di polizia.

Un Tavolo sui Pronto Soccorso

A dare un contributo alla lotta alle aggressioni contro i sanitari dovrebbe essere anche un Tavolo sui Pronto Soccorso istituito dal Ministero della Salute. In realtà, la mission principale di questo tavolo è quella di andare a intervenire sulle criticità legate alla carenza dei medici di medicina d’urgenza. Ma allo stesso tempo verranno affrontati anche problemi come la distribuzione non congrua dei carichi di lavoro, l’utilizzo dei “medici gettonisti” e anche il problema delle aggressioni. Si tratta di problematiche che, secondo gli esperti, sarebbero tutte collegate fra di loro. I Pronto Soccorso italiani, infatti, vengono troppo spesso presi d’assalto e oltre il 70% delle volte da “codici bianchi”, cioè da persone che dovrebbero cercare risposte ai bisogni di salute nella sanità territoriale. In molti casi i pazienti aspettano il proprio turno, in altri tendono invece a essere aggressivi e a sfogarsi contro gli operatori sanitari. Quindi, se da un lato l’apertura di presidi delle Forze dell’Ordine offre una risposta immediata al problema delle aggressioni, lavorare per colmare la carenza di operatori sanitari è una delle strade per prevenire il problema sul lungo periodo.

Numero chiuso

La carenza degli operatori sanitari, e la conseguente esasperazione di alcune reazioni, dipende anche in parte da “errori di calcolo” del fabbisogno all’interno di strutture sanitarie pubbliche. Su questo fronte il ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, ha convocato un tavolo tecnico che ha l’obiettivo di per capire se il Numero Chiuso sia ancora uno strumento di selezione da mantenere. Verranno quindi valutati metodi di selezione diversi, alternativi ai classici quiz, ritenuti da molti non idonei a distinguere tra gli studenti meritevoli e quelli che lo sono meno. Si starebbe valutando, in particolare, il sistema francese che rende libero l’accesso al primo anno. In considerazione dei vincoli strutturali degli atenei italiani, allo studio ci sarebbe una modalità di selezione degli studenti più meritevoli che verrebbe applicata al secondo e al terzo anno in base ai risultati accademici conseguiti. La speranza è che, grazie a una migliore programmazione, le occasioni di scontro tra pazienti e operatori sanitari siano meno diffuse e frequenti, al contrario di come lo sono oggi.

Formazione ECM

Nel frattempo, il team di legali specializzati di Consulcesi continua a investire in formazione professionale, ritenuta essenziale per intercettare e prevenire il fenomeno delle aggressioni. Tra i corsi ECM presenti nel suo ampio catalogo, c’è anche “Il counselling al servizio della relazione con il paziente” che, oltre ad assegnare 46.8 crediti, offre agli operatori sanitari strumenti utili per affrontare anche il problema delle aggressioni verbali e fisiche.

“Una comunicazione efficace e strategie di counselling, oltre a prevenire e gestire situazioni di violenza e aggressività, possono migliorare notevolmente diversi aspetti: dalla dilagante sfiducia verso gli operatori sanitari, alle ansie vissute da pazienti e caregivers”, commenta Lucilla Ricottini, formatrice specializzata nei campi della comunicazione in sanità e della gestione dei conflitti e responsabile del corso Consulcesi.

Nel nuovo corso, la Ricottini spiega come a volte, per evitare una denuncia pretestuosa da parte di un paziente, basta fare un respiro profondo, mantenere la calma e cercare di rapportarsi al meglio con lui. Una corretta formazione anche su come comunicare nel modo più corretto con i pazienti, leggendo bene le situazioni e comportandosi di conseguenza, può rappresentare una parte fondamentale del bagaglio culturale e professionale del camice bianco. Un bagaglio che può risparmiare al medico un dannoso e spesso impervio iter giudiziario.

Fabiola Zaccardelli, BA (Hons) Journalism, University of Westminster

Di: Redazione Consulcesi Club

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