Burnout e sindrome del turnista: un mix di effetti collaterali per le professioni di aiuto

Il burnout è una forma di distress tipica delle professioni di aiuto, quelle sanitarie comprese. A questo può aggiungersi la sindrome del turnista se il lavoratore in questione opera all’interno di una struttura attiva 24 ore al giorno. L’analisi di Marco Vitiello, psicologo del lavoro, psicoterapeuta e coordinatore gruppo di Psicologia del Lavoro Ordine Psicologi del Lazio

Sommario
  1. La sindrome del turnista
  2. Il burnout: il distress delle professioni di aiuto
  3. Burnout e sindrome del turnista, un mix di effetti negativi

“Bruciato”, “esaurito” o “scoppiato”: è con uno di questi termini che può essere tradotta la parola inglese “burnout“. Riconosciuto nel maggio 2019, come “sindrome”, il burnout è stato inserito dell’11esima revisione dell’International Classification of Disease (ICD). Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si tratta di una sindrome derivante da stress cronico legato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito. “In particolare è associato alle professioni di aiuto, tra le quali rientrano tutte le professioni sanitarie e socio-sanitarie”, spiega Marco Vitiello, psicologo del lavoro, psicoterapeuta e coordinatore gruppo di Psicologia del Lavoro Ordine Psicologi del Lazio.

La sindrome del turnista

 

Affaticamento, delusione, logoramento e improduttività che possono via via trasformarsi in prostrazione e disinteresse per la propria attività professionale quotidiana sono i sintomi principali che caratterizzano questa sindrome. Ad aggravare l’eventuale condizione di stress di medici, professionisti e operatori sanitari c’è anche la turnazione che, laddove ci si trovi in strutture operative h24, comprende pure le ore notturne. “Per descrivere le potenziali conseguenze negative sulla salute di chi lavora in modo variabile, sia di giorno che di notte, è stato coniato un termine ad hoc: la sindrome del turnista – aggiunge Vitiello -. In questi soggetti il rischio di burnout è aggravato da alcuni fattori che scaturiscono proprio dall’alterazione dei ritmi circadiani”.

 

Stress e distress, differenze e similitudini

 

Tuttavia, per comprendere meglio gli effetti del burnout e della sindrome del turnista è necessario fare un passo indietro. Abbiamo definito il burnout come una sindrome derivante da stress cronico legato al contesto lavorativo. “Tuttavia – sottolinea lo psicologo del lavoro – laddove lo stress assuma accezioni negative andrebbe definito ‘distress’”. Lo stress è la risposta psicologica e fisiologica che l’organismo mette in atto quando deve affrontare difficoltà o eventi della vita valutati come eccessivi o pericolosi: “Per provvedere a questa risposta l’individuo attiva una curva energetica che, proprio in quanto ‘curva’, dopo aver contributo all’assoluzione di un determinato compito, cala”. O almeno dovrebbe. Lo stress, infatti, diventa ‘distress’ quando l’individuo non riesce più ad attivare questa ‘curva energetica’ in modo fisiologico: diventa difficile assolvere ai compiti richiesti, la curva non oscilla, le energie non vengono recuperate e le risorse individuali finiscono via via per esaurirsi. “Non è un caso che fino a qualche tempo fa il distress venisse definito ‘esaurimento nervoso’”, aggiunge lo psicoterapeuta.

Il burnout: il distress delle professioni di aiuto

 

Se il distress si verifica in ambito lavorativo e se il lavoratore coinvolto svolge una professione di aiuto, allora sarà possibile parlare di sindrome da burnout. “Ciò che distingue un distress lavorativo dal burnout è il carico emotivo che caratterizza le professioni di aiuto. A chi le svolge è richiesta una buona dose di empatia che, pur essendo una capacità fisiologica insita nell’essere umana (i neuroni specchio consentono ad ognuno di noi la comprensione emotiva dell’altro, ndr), può apparire, a livello individuale, più o meno sviluppata. Il livello di burnout può essere misurato attraverso il Maslach Burnout Inventory (MBI), un questionario multidimensionale che prende il nome della professoressa Christina Maslach che lo ha messo a punto insieme alla collega Susan E. Jackson. Il test affronta tre diversi campi della professionalità: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale.

 

“Questi tre ambiti possono aiutarci anche valutare la presenza di eventuali campanelli di allarme: difficoltà di concentrazione, sensazione di abbattimento e/o fallimento, irascibilità, sonno irrequieto o irregolare, indifferenza per la sofferenza altrui (assenza di empatia)”, spiega Vitiello. A questi possono aggiungersi anche disturbi fisici: dall’apparato gastrointestinale al senso di fiacchezza costante, fino ad emicrania, perdita di appetito, manifestazione cutanee come eczemi, psoriasi, alterazioni del sistema cardiovascolare, dall’ipertensione fino a patologie gravissime come ischemia e ictus.

Burnout e sindrome del turnista, un mix di effetti negativi

“Disturbi del comportamento alimentari o del sonno possono accentuarsi quando alla sindrome da burnout si associa quella del turnista. Chi lavora di notte tende ad assumere molti più zuccheri nel tentativo di rimanere sveglio e, alternando riposo diurno a riposo notturno, finirà per alterare i suoi ritmi circadiani”, dice lo psicologo del lavoro. Ovviamente, non tutti coloro che affrontano turni di lavoro di notte finiscono per ‘ammalarsi’.

“È possibile seguire degli stili di vita corretti pur lavorando di notte, controllando l’alimentazione e regolando le ore di riposo. Ad esempio: non mangiare alla fine del turno per evitare di coricarsi subito dopo il pasto, assumere caffeina fino alla prima metà del turno per assicurarsi un riposo sereno alla fine del lavoro. Ancora, fare un pisolino di 30-40 minuti prima di cominciare il proprio turno di notte può essere molto utile”, consiglia lo psicoterapeuta. Anche a livello aziendale è possibile adottare delle buone pratiche, limitando il numero di turni consecutivi, offrendo un numero maggiore di weekend liberi a chi lavora spesso di notte, programmando i turni a lungo termine, così da permettere al lavoratore di gestire al meglio l’organizzazione dei propri impegni e prevedere un numero minore di turni, ma di maggiore durata.

Di: Redazione Consulcesi Club