L’inquinamento ambientale è una “pandemia silenziosa”

Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima, è intervenuto nel corso dell’’evento ‘Liberi di Respirare’, organizzato da Consulcesi Group. “L’Italia è tra le aree più critiche d’Europa”

Sommario
  1. Gli ultimi provvedimenti contro l’inquinamento
  2. I rischi per la salute
  3. Qual è lo stato della nostra aria?
  4. “Aumentano ricoveri per infarti e ictus a causa dell’inquinamento misurato nelle città”
  5. Gli ultimi studi
  6. Cosa si può fare?

L’inquinamento rappresenta un tema di grande attualità. Tra le varie problematiche correlate, molta attenzione merita il particolato atmosferico, classificato come cancerogeno di classe 1 dall’IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) soltanto nel 2013. Ed è solo nel maggio 2015 che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha affrontato ufficialmente il problema, collegandolo ad altre questioni come l’epilessia. Ma ormai è chiaro che l’inquinamento atmosferico è responsabile di numerose morti premature, con il tumore polmonare come causa principale, e di costi economici significativi. Le fonti di inquinanti sono diverse e includono il riscaldamento domestico, i trasporti e la produzione energetica da fonti fossili.

Per quanto riguarda l’Italia, si tratta purtroppo di una delle zone più critiche in Europa (in particolare la Pianura Padana). Per affrontare questo problema, è necessaria una prevenzione primaria che includa l’adozione di limiti più rigorosi e l’implementazione di politiche e misure volte a migliorare la qualità dell’aria. È questo, in sintesi, l’intervento di Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente SIMA (Società italiana medicina ambientale) nel corso dell’’evento ‘Liberi di Respirare’, organizzato da Consulcesi Group in vista della Giornata Mondiale dell’Ambiente, in cui è stata lanciata la prima causa legale collettiva sul tema ‘Aria Pulita’.

Gli ultimi provvedimenti contro l’inquinamento

“Vorrei iniziare – esordisce Piscitelli – menzionando una posizione fondamentale assunta dall’IARC nel 2013, in cui il particolato atmosferico è stato classificato come cancerogeno di classe 1, dimostrando il suo ruolo cancerogeno per gli esseri umani. Questo è un argomento recente che ha ricevuto molta attenzione, come dimostra il fatto che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è riuscita a formalizzare una soluzione solo nel maggio 2015, appena otto anni fa”.

Per farlo, l’Assemblea Generale ha dovuto “integrare questo tema con una risoluzione sull’epilessia. Due argomenti che hanno poco in comune. Questo dimostra quanto sia recente l’attenzione verso la problematica dell’inquinamento atmosferico e quanto velocemente si siano accumulate importanti evidenze in merito. Prima della pandemia – aggiunge –, i calcoli relativi all’Unione Europea indicavano che ci fossero 400mila morti premature ogni anno a causa dell’inquinamento atmosferico, con il 17% di tutti i decessi attribuiti al tumore polmonare e un impatto economico superiore ai 20 miliardi di euro all’anno”.

Le fonti di inquinanti atmosferici sono diverse. “Nel caso delle particelle sottili – spiega Piscitelli –, come il PM2.5, un importante contributo proviene dai riscaldamenti domestici nelle città, che rappresentano un ambito in cui possiamo intervenire per migliorare la situazione. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, i trasporti ne sono il maggior contributore, mentre per gli ossidi di zolfo, la produzione energetica da fonti fossili contribuisce in modo significativo rispetto ad altri inquinanti”.

I rischi per la salute

I problemi per la nostra salute causati dall’inquinamento sono reali, in quanto “il nostro sistema respiratorio è completamente permeabile alle dimensioni delle particelle PM10 e PM2.5, nonché alle particelle ultrafini” che hanno “dimensioni inferiori al micron”. Non esistono, attualmente “normative specifiche per queste particelle ultrafini. Il particolato atmosferico e le sostanze che vi aderiscono possono penetrare negli alveoli polmonari e persino nel sistema circolatorio, causando infiammazioni vascolari e danneggiando direttamente l’apparato respiratorio”.

Per quanto riguarda i dati forniti dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, Piscitelli spiega che “nel primo rapporto sulla qualità dell’aria del 2016 si parlava di 467mila morti premature evitabili, di cui 66mila attribuite solo all’Italia. Nel 2020, questi numeri sono passati a 367mila e nel 2022 si è arrivati a 238mila morti premature evitabili. È importante ricordare che nel 2019, prima della pandemia, in Italia si stimavano 89mila morti premature causate dall’inquinamento atmosferico”.

Piscitelli fa notare che nel primo anno della pandemia da Covid-19 i decessi sono stati 75mila, un dato che riflette una sorta di “pandemia silenziosa”. I dati del 2022, pubblicati nel rapporto sulla qualità dell’aria dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, non mostrano un miglioramento della situazione nel nostro paese, a differenza di altre nazioni. Piscitelli fa l’esempio della Germania, il cui numero di morti premature è passato da 58.600 nel 2016 a 28.900 nel 2020, grazie alla riduzione delle concentrazioni medie annuali di PM2.5, e da 11,6 a 9,6 microgrammi per metro cubo come media annuale. In Italia, invece, si registra una situazione stazionaria, con concentrazioni di PM2.5 che, a partire da 16,6 microgrammi per metro cubo nel 2016, non scendono al di sotto dei 15 microgrammi per metro cubo nel 2020, che rappresentava il limite target delle linee guida dell’OMS del 2005.

Infine, “nel rapporto sulla qualità dell’aria dell’Agenzia Europea per l’Ambiente del 2022, vengono fornite stime degli anni di vita persi a causa della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) correlata alle polveri sottili e al diabete, quindi malattie metaboliche correlate all’ossido di azoto, che ammontano a 350mila anni di vita persi all’anno in Italia. Inoltre, si stima che in Italia nel solo 2020 siano stati persi 606mila anni di vita, con costi sociali e sanitari pari a 61 miliardi di euro”.

Qual è lo stato della nostra aria?

La qualità dell’aria, secondo le linee guida dell’OMS del 2005, si basa su valori di riferimento e monitoraggio conformemente alle attuali normative sulla qualità dell’aria e alla legislazione nazionale. “Tuttavia – spiega Piscitelli –, i valori stabiliti per i principali inquinanti sono il doppio o più del doppio rispetto alle linee guida dell’OMS. Ad esempio, per le polveri sottili, le linee guida del 2005 stabiliscono un limite di 10 microgrammi per metro cubo, mentre la normativa nazionale prevede una media annuale di 25 microgrammi per metro cubo per le PM2.5 e un limite di 20 microgrammi per metro cubo per le PM10, rispetto al doppio di tali valori come obiettivo delle linee guida nella legislazione nazionale ed europea”. Di conseguenza, “ciò si traduce in diverse stime: se consideriamo solo le normative nazionali ed europee, solo il 21% della popolazione risulterebbe esposta a valori superiori ai limiti. Tuttavia, se adottiamo i limiti sanitari dell’OMS del 2005, l’81% della popolazione risulterebbe esposta a inquinanti al di sopra delle soglie di sicurezza”.

Qual è il problema? Il problema è che “l’Italia, soprattutto nella Pianura Padana, è tra le aree più critiche d’Europa. Tutte le curve di mortalità cardiorespiratoria generale e per tumore polmonare superano il limite di legge europeo e nazionale. Di fatto, tutti gli effetti sanitari correlati ai limiti attuali di legge sono già evidenti. Pertanto, tale limite non offre una vera protezione per la salute”.

Gli effetti sulla salute coinvolgono diversi sistemi, dal metabolismo e sistema endocrino al sistema respiratorio e cardiovascolare, ma anche la fertilità e la pelle. Piscitelli spiega che “sulla mortalità generale, non ci sono dubbi: l’aumento delle PM2.5 è associato in media a un aumento del 7% della mortalità generale, come indicato da una meta-analisi di numerosi studi che ha evidenziato anche incrementi fino al 14% e al 28%. Non vi è alcun dubbio – aggiunge – che l’esposizione a lungo termine a livelli elevati di PM2.5 sia linearmente associata alle curve di mortalità per malattie non infettive e del tratto respiratorio. Inoltre, è ormai accertato che vi sia un aumento della mortalità cardiovascolare anche in caso di esposizione acuta alle PM2.5. Pertanto, abbiamo prove visibili documentate da diversi studi che si accumulano come evidenze scientifiche sulle patologie cardiovascolari, riconosciute dall’American Heart Association e da studi condotti anche a Roma, dove al momento della conduzione di tali studi di coorte i livelli medi, anche giornalieri, di PM2.5 erano nettamente superiori alle linee guida dell’OMS, soprattutto nell’area all’interno del raccordo anulare e nel centro città”.

“Aumentano ricoveri per infarti e ictus a causa dell’inquinamento misurato nelle città”

La mortalità acuta, inclusa quella causata da patologie ischemiche come gli infarti e gli ictus cerebrali, è per Piscitelli “influenzata anche dall’aumento dei livelli giornalieri di polveri sottili. Non solo gli effetti a lungo termine delle medie annuali, ma anche i picchi di polveri sottili hanno un impatto significativo, come dimostrato nello studio Escape che coinvolge diverse città italiane ed europee. Questo studio ha evidenziato un aumento dei ricoveri per infarti e ictus cerebrali correlato all’aumento dei livelli di polveri sottili misurati nelle nostre città, rivelando un legame che prima non conoscevamo, ma che oggi è supportato da evidenze scientifiche statisticamente significative”.

Inoltre, lo spessore medio intimale delle arterie è associato alle problematiche legate agli ictus cerebrali ischemici: “Ogni aumento di 5 microgrammi al metro cubo di PM2.5 è correlato in modo negativo e significativo a un aumento del rischio di ictus cerebrale. Lo stesso si osserva per l’aumento della pressione arteriosa, che può incrementarsi fino all’8% per ogni aumento di 5 microgrammi al metro cubo di PM2.5 su base annuale”.

Gli ultimi studi

Il grande registro del Belgio fornisce evidenze sull’associazione tra particolato, ossidi di azoto e livelli di ozono con l’infarto miocardico, mentre l’American Heart Association riassume le evidenze sulla mortalità prematura per tutte le cause, inclusi problemi respiratori, cardiovascolari e ischemie cardiache.

“Inoltre – spiega Piscitelli –, lo studio Sentieri V sui siti inquinati fornisce un quadro più generale. Questo studio coinvolge 41 siti inquinati e dimostra un aumento dei casi di tumori nei giovani, comprese leucemie, linfomi e tumori dei tessuti molli. Si registra un aumento del 66% per i sarcomi dei tessuti molli rispetto alle aree non inquinate, e del 50% per i linfomi. Inoltre, si osserva un eccesso di ospedalizzazioni del 6-8% nei bambini e ragazzi, e un aumento del 3% nei ricoveri nel primo anno di vita. Questo impatta in particolare sulle fasce più fragili della nostra società”.

Altri recenti studi, come quello pubblicato sul British Medical Journal (BMJ), “associano un aumento del 4% dei casi di demenza per ogni minimo incremento di 2 microgrammi al metro cubo nelle medie annuali di polveri sottili, e un aumento del 5% per ogni incremento di 10 microgrammi al metro cubo nelle medie annuali di ossidi di azoto. Inoltre, numerosi studi hanno evidenziato l’associazione tra l’inquinamento e le mutazioni genetiche. Ciò significa che l’esposizione prenatale a sostanze cancerogene può avere effetti visibili sulle generazioni successive”.

Cosa si può fare?

Se vogliamo ottenere risultati tangibili bisogna puntare sulla prevenzione primaria: “Secondo l’ISGlobal di Barcellona, incrementando il bike sharing del 24%, si potrebbero evitare 10mila decessi prematuri in una coorte di 75 milioni di persone residenti in 167 città europee. Inoltre, garantendo l’accesso a spazi verdi conformi alle linee guida dell’OMS, cioè con almeno mezzo ettaro di superficie entro 300 metri dalle abitazioni, potremmo risparmiare 43mila decessi all’anno in Europa”. Se invece adattassimo “la normativa sulla qualità dell’aria europea ai limiti stabiliti dall’OMS, potremmo evitare 50mila decessi in mille città europee se seguiamo le soglie dell’OMS del 2005. Questo numero salirebbe a 114mila decessi evitabili adottando i nuovi limiti stabiliti dall’OMS nel 2021. Sono numeri molto significativi, simili alle previsioni pandemiche, ma in questo caso possiamo fare molto e come comunità medica abbiamo il dovere di sostenere attivamente la prevenzione primaria”, conclude Piscitelli.

Arnaldo Iodice, giornalista

Di: Redazione Consulcesi Club

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