Antisepsi in ospedale: dal 31 agosto solo farmaci autorizzati (ma potrebbero scarseggiare)

Con il nuovo decreto del Ministero della Salute, i presidi medico-chirurgici sono stati sostituiti da specialità medicinali per la disinfezione della cute. Una misura pensata per rafforzare la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, ma che porta con sé criticità organizzative, rischi di carenze e nuove responsabilità clinico-legali.

Sommario

  1. Antisepsi e clorexidina: il cuore della prevenzione
  2. Chirurgia e ruolo degli infermieri: un impegno condiviso
  3. Tra responsabilità legale e cambiamento culturale

Dal 31 agosto 2023, negli ospedali italiani possono essere utilizzate esclusivamente specialità medicinali autorizzate per la disinfezione della cute integra prima di una procedura sanitaria. È questa la novità introdotta dal Decreto direttoriale del Ministero della Salute del 29 marzo 2023, che ha revocato le autorizzazioni ai presidi medico-chirurgici per adeguarsi al Regolamento europeo sui biocidi. La misura nasce con l’obiettivo di rafforzare la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, un problema che nel nostro Paese riguarda tra 500mila e 700mila pazienti ogni anno. Le conseguenze di tali infezioni sono pesanti: più complicanze, maggiore mortalità, ricoveri prolungati e costi crescenti per il sistema sanitario.

In vista della Giornata Mondiale della Sepsi, che ricorre il 13 settembre, diversi esperti hanno sottolineato come questa nuova norma rappresenti un passo importante ma al tempo stesso complesso, perché richiede un adeguamento rapido da parte di ospedali e operatori. Il rischio, infatti, è che l’assenza di protocolli aggiornati, la scarsa conoscenza del decreto e la ridotta disponibilità di soluzioni disinfettanti possano rallentarne la piena applicazione, con implicazioni cliniche e organizzative non trascurabili.

Antisepsi e clorexidina: il cuore della prevenzione

La disinfezione della cute prima di un intervento o dell’inserimento di un dispositivo medico rappresenta il primo baluardo contro le infezioni ospedaliere. Per questo la scelta dell’antisettico è cruciale. La clorexidina in soluzione alcolica al 2% è considerata da anni il “gold standard”, grazie alla sua efficacia e sicurezza, ma la sua disponibilità sul mercato è oggi limitata. Il decreto ministeriale ha reso necessario orientarsi anche su soluzioni con concentrazioni inferiori, che secondo le evidenze scientifiche restano valide alternative in alcuni contesti, come il cateterismo venoso periferico o la preparazione cutanea per interventi chirurgici a basso rischio.

La Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni (SIMPIOS) ha pubblicato un position paper per guidare i professionisti in questa fase di transizione, sottolineando come l’uso mirato delle diverse formulazioni possa mantenere elevati standard di sicurezza. La sfida è garantire che la ridotta disponibilità non induca a pratiche scorrette o, peggio, a rivolgersi a prodotti importati da mercati meno regolamentati, con rischi per la qualità e l’affidabilità. La prevenzione passa dunque da scelte basate sull’evidenza scientifica e da una costante attenzione al bilanciamento tra efficacia, sicurezza e sostenibilità.

Chirurgia e ruolo degli infermieri: un impegno condiviso

Il decreto non riguarda solo i medici, ma coinvolge direttamente anche gli infermieri di sala operatoria, che hanno un ruolo centrale nella prevenzione delle infezioni chirurgiche. Circa il 15% delle ICA, infatti, è legato a procedure chirurgiche e può tradursi in conseguenze drammatiche: ferite che non cicatrizzano, nuove operazioni, degenze prolungate e, nei casi più gravi, esiti fatali. Claudio Buttarelli, presidente di AICO, ha ricordato come gli infermieri siano responsabili non solo della preparazione preoperatoria, ma anche dell’educazione del paziente nel periodo post-dimissione, quando la cura personale diventa fondamentale per ridurre i rischi. La clorexidina in soluzione alcolica resta la sostanza di riferimento, e le Linee guida in via di elaborazione intendono chiarire l’uso delle diverse concentrazioni disponibili.

L’obiettivo è duplice: da un lato garantire la piena applicazione della normativa, dall’altro coniugare la sicurezza del paziente con la sostenibilità del sistema sanitario, anche in termini ambientali. In questo contesto, la formazione continua degli operatori e l’adozione di buone pratiche basate sulle evidenze diventano strumenti indispensabili per assicurare cure sicure, efficaci e rispettose delle risorse disponibili.

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Tra responsabilità legale e cambiamento culturale

Oltre alla pratica clinica, la nuova normativa apre scenari rilevanti anche sul piano della responsabilità sanitaria. La giurisprudenza, con recenti sentenze della Corte di Cassazione, ha chiarito che le strutture ospedaliere hanno l’onere di dimostrare di aver adottato protocolli di prevenzione aggiornati e di averli applicati correttamente. In caso contrario, può configurarsi una responsabilità diretta delle organizzazioni, con ricadute sulle figure apicali. Da qui la necessità di dotarsi di procedure dettagliate e uniformi, che riducano la discrezionalità del singolo operatore e rafforzino la compliance.

Come sottolinea Gianfranco Finzi, presidente di ANMDO, non basta un decreto a garantire la sicurezza: servono risorse, formazione universitaria e aggiornamento costante, oltre a un vero cambiamento culturale che ponga la prevenzione al centro della pratica clinica quotidiana. Se la normativa segna un progresso importante, la sua piena efficacia dipenderà dalla capacità del sistema sanitario di tradurre la legge in comportamenti diffusi e condivisi. Solo così sarà possibile ridurre davvero il peso delle infezioni ospedaliere, proteggere i pazienti e assicurare cure all’altezza delle sfide future.

Di: Arnaldo Iodice, giornalista

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