La morte di un bambino, soprattutto se improvvisa e inattesa, rappresenta uno degli eventi più traumatici che una famiglia possa vivere. Le implicazioni psicologiche, relazionali e sociali possono perdurare per anni e influenzare generazioni intere. Eppure, come confermato da recenti studi internazionali, il supporto ai genitori in lutto è spesso inadeguato, anche nei Paesi con servizi pediatrici avanzati.
Questo articolo analizza come supportare in modo efficace le famiglie dopo una perdita così devastante, attingendo alle evidenze scientifiche più recenti, tra cui il contributo pubblicato sul British Medical Journal (BMJ, 2025).
L'impatto della morte improvvisa di un bambino
Ogni anno, oltre 6,2 milioni di bambini sotto i 19 anni muoiono nel mondo; una parte significativa di queste morti avviene improvvisamente e senza preavviso. Questi casi, noti come Sudden Unexpected Death in Childhood (SUDIC), includono:
- Incidenti,
- Suicidi,
- Omicidi,
- Arresti cardiaci improvvisi,
- Cause mediche inspiegate.
Secondo Hunt et al. (2025), nei Paesi ad alto reddito la SUDIC rappresenta un terzo di tutti i decessi infantili.
Conseguenze psicologiche sulle famiglie
I genitori colpiti da lutto improvviso sono ad altissimo rischio di sviluppare:
- Disturbo da stress post-traumatico (PTSD),
- Depressione clinica,
- Ideazione suicidaria, soprattutto nelle prime settimane,
- Isolamento sociale,
- Disregolazione familiare (impatti anche su fratelli e altri membri).
Lacune nei sistemi di supporto
Tuttavia, l’accesso al supporto emotivo e psicologico è estremamente disomogeneo. Le famiglie si trovano frequentemente a dover affrontare il dolore in solitudine, senza una guida o un punto di riferimento. In molti contesti, non esiste una figura professionale incaricata di seguire la famiglia nel tempo, e i servizi di assistenza psicologica o sociale sono spesso frammentari, non coordinati e scarsamente formati sul piano del lutto traumatico.
Esistono però modelli virtuosi che dimostrano come una risposta ben organizzata possa fare la differenza. Nel Regno Unito, per esempio, alcune regioni prevedono la figura del “key worker”, un referente unico che accompagna la famiglia sin dalle prime ore dopo il decesso, assicurando continuità tra supporto emotivo e adempimenti pratici. Alcuni hospice pediatrici offrono persino la possibilità di trascorrere del tempo col corpo del bambino in ambienti protetti e privati, come le cosiddette stanze fredde. In Galles, l’associazione 2Wish ha creato un modello integrato che coordina i servizi di emergenza, la polizia e il personale sanitario per garantire un sostegno immediato e duraturo.
Anche la Svezia ha introdotto linee guida nazionali che impongono un supporto psicologico e pratico subito dopo la morte di un bambino, mentre in Australia alcune reti di cure palliative pediatriche includono anche il supporto al lutto per i casi di morte inattesa. Queste esperienze mostrano che un approccio integrato, attivo fin dalle prime ore e centrato sulla famiglia, può ridurre l’angoscia, favorire una rielaborazione sana del lutto e prevenire disturbi psicologici a lungo termine.
L’efficacia di questi modelli si fonda su alcuni principi chiave. Prima di tutto, è necessario un approccio multidisciplinare in cui operatori sanitari, forze dell’ordine, psicologi, assistenti sociali e specialisti in cure palliative collaborino in modo coordinato. Il supporto alla famiglia deve iniziare immediatamente, idealmente già in ospedale o sul luogo del decesso, e proseguire nel tempo attraverso visite domiciliari, consulenze psicologiche personalizzate e aiuti concreti per la gestione degli aspetti burocratici e funerari.
Un altro elemento centrale è l’intervento psicologico informato sul trauma, basato su tecniche validate come la terapia cognitivo-comportamentale o approcci narrativi centrati sulla rielaborazione dell’evento. Anche i fratelli e i familiari allargati devono essere inclusi nel percorso, poiché anch’essi vivono conseguenze spesso invisibili, ma profonde.
Un aspetto spesso trascurato riguarda la formazione degli operatori. Chi lavora con famiglie colpite da una perdita così dolorosa deve possedere competenze specifiche in comunicazione empatica, gestione del trauma e cura di sé. Non va dimenticato, infatti, che anche il personale sanitario e di emergenza può subire conseguenze emotive dal contatto con il dolore altrui. È essenziale, quindi, prevedere spazi di debriefing, supervisione clinica e supporto tra pari per proteggerne il benessere psicologico.
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Il ruolo delle cure palliative pediatriche
Le linee guida di OMS, NICE e European Association for Palliative Care promuovono una visione olistica e familiare dell’assistenza. Le cure palliative pediatriche possono giocare un ruolo importante in questo contesto, anche se storicamente sono state pensate per malattie croniche e terminali. Le linee guida dell’OMS e di altri enti internazionali sottolineano l'importanza di un approccio olistico, che includa l’intera famiglia e si estenda oltre il momento della morte. Tuttavia, queste risorse devono essere adattate anche ai casi di morte improvvisa, integrando nuove competenze e modalità operative.
Verso un modello equo e umanizzato
Come sottolineato dal BMJ (2025), il sostegno alle famiglie colpite da SUDIC deve diventare parte integrante dei sistemi sanitari e sociali. Servono:
- Linee guida nazionali vincolanti;
- Valutazioni basate su metriche psicologiche;
- Risorse dedicate per garantire equità d’accesso.
In conclusione, l’assistenza alle famiglie colpite dalla morte improvvisa di un bambino deve diventare una priorità di salute pubblica. Servono protocolli chiari, investimenti nella formazione, reti di supporto integrate e un cambio culturale che riconosca il diritto a un sostegno umano, competente e continuo. Solo così sarà possibile trasformare un’esperienza devastante in un percorso di cura, dignità e ricostruzione.