L’importanza della formazione nel percorso di un professionista della sanità non è più in discussione, anzi, ormai da tempo, i rappresentanti delle principali categorie e degli ordini ne stanno ribadendo la centralità e, dopo una prima fase di assestamento, ora invocano l’applicazione di misure più efficaci che garantiscano l’assolvimento degli obblighi formativi e questo con la chiusura del triennio alle porte rischia di produrre conseguenze rilevanti per tutti coloro che ancora non sono in regola non solo, in termini di applicazione di sanzioni a parte degli ordini di appartenenza, ma anche dal punto di vista assicurativo.
Quanto sopra riportato è oggetto di discussioni da mesi, anzi anni e, probabilmente, il 2023 sarà un anno cruciale perché vedremo il completamento di un sistema che è attivo già da tempo, ma che con questo ultimo anno possiamo affermare sia definitivamente rodato.
Il tempo dedicato alla formazione
Ma se è indubbio che il tempo dedicato alla formazione sia prezioso per la crescita professionale di ciascun operatore della sanità, è altrettanto vero che si tratta di ulteriori ore sottratte alla propria vita privata, che si vanno ad aggiungere, per le categorie dei lavoratori della sanità pubblica in particolar modo, alle numerose ore di straordinario che spesso svolgono.
Sicuramente la formazione a distanza è un modo per efficientare le tempistiche. Bisogna innanzitutto considerare l’azzeramento dei tempi necessari allo spostamento che con i vecchi convegni residenziali occorreva affrontare per raggiungere il luogo ove si svolgevano e che nel caso di corsi molto strutturati poteva “bloccare” il professionista anche per più giorni; a questo poi si deve aggiungere che molti professionisti svolgono i corsi a distanza nei momenti più disparati proprio per ottimizzare meglio i tempi: sul treno mentre vanno a lavoro, durante i turni (su autorizzazione del datore di lavoro) se non hanno pazienti da visitare o altre incombenze, la mattina prima di andare a lavoro.
Nonostante a formazione a distanza abbia notevolmente migliorato la situazione, già da qualche tempo si è aperto un dibattito sulla questione delle ore di formazione obbligatoria e della possibilità che vengano inglobate nelle ore di lavoro per lo meno quando non siano direttamente funzionali all’attività.
La prima giurisprudenza europea e nazionale in materia
La sentenza della Corte di Giustizia UE del 28/10/21 (C-909/19) ha affermato il principio per cui l’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, deve essere interpretato nel senso che il lasso di tempo durante il quale un lavoratore segue una formazione professionale impostagli dal suo datore di lavoro, che si svolge al di fuori del suo luogo di lavoro abituale, nei locali del prestatore di servizi di formazione, e durante il quale egli non esercita le sue funzioni abituali, costituisce «orario di lavoro».
Il caso valutato dalla CGUE nello specifico riguardava un dipendente pubblico che, con contratto di lavoro per 8 ore giornaliere e 40 settimanali, aveva dovuto svolgere oltre 120 ore di formazione anche fuori dall’orario di lavoro, per le quali aveva quindi reclamato il pagamento dello straordinario.
Dopo aver richiamato gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/88/CE e la nozione «orario di lavoro», inteso come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, la CGUE ha ritenuto determinante il fatto che il dipendente fosse costretto ad essere presente nel luogo che il datore di lavoro aveva indicato per la formazione, a nulla rilevando il fatto che questo fosse diverso da quello dove abitualmente svolgeva la sua prestazione e fuori dell’ordinario orario di lavoro.
Giova ricordare in questa sede anche una recente sentenza del Tribunale di Milano (n. 1973 del 21 luglio 2021, in causa R.G. n. 4706/2021), che ha riconosciuto il diritto alla retribuzione in favore di un insegnante destinato a frequentare un corso obbligatorio di formazione quale rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in prevalenza al di fuori dell’orario di servizio.
In questo caso, il Giudice ha ritenuto che questa attività formativa non rientrasse nell’attività di insegnamento e nelle attività funzionali alla prestazione di insegnamento, con conseguente riconoscimento della retribuzione a titolo di straordinario.
Possibili sviluppi futuri
Al momento non sono molte le sentenze e le azioni legali in merito, ma è possibile, soprattutto alla luce delle conseguenze che si paventano per coloro che non svolgeranno la formazione obbligatoria che, l’argomento acquisti una maggiore centralità. Chiaramente si tratta di un tema molto più ampio, che soprattutto nell’ambito della sanità pubblica ha dei risvolti connessi con quelli dei turni massacranti, perché le maggiori difficoltà si rilevano per coloro che lavorano già molte più ore di quelle previste dalle normative che garantiscono la sicurezza e la salute dei lavoratori. Forse, dunque, il tema non è capire se la formazione obbligatoria debba o meno far parte dell’orario di lavoro, ma come garantire ai professionisti della sanità condizioni lavorative accettabili che permettano loro di vedere i momenti formativi come utili momenti di crescita e non come mere incombenze burocratiche da svolgere per evitare le sanzioni degli ordini di appartenenza.