"Inclusione" è una parola che medici e professionisti sanitari hanno imparato prima a fare propria e poi a diffondere intorno, sia nella vita personale che in quella professionale. Intorno a quelle 10 lettere si annoda il primo filo che lega sanitario e paziente, che ne caratterizzerà il rapporto e ovviamente l'evoluzione proficua. Da sanitari, spesso capita di sentire l'inclusione del paziente come una propria responsabilità, come parte del lavoro ben fatto intorno al supporto dato a chi ci si trova di fronte. Ma quale significato danno i pazienti alla parola "inclusione"?
A questa domanda ha provato a rispondere l'Osservatorio Malattie Rare (OMAR) con la mostra “Ridefiniamo l’inclusione: parole e immagini per la Health Equity”, presentata a Palazzo Merulana a Roma, dove 10 artisti tra i più apprezzati della scena nazionale, hanno dato corpo alla defizione che oltre 30 persone con malattie rare danno di "inclusione". Le illustrazioni che ne sono derivate hanno definitivo l'inclusione come Gioia e festa, Tenerezza e affetto, Venirsi incontro con reciprocità, Solidarietà per aiutare, Stare insieme nel gruppo, Insieme si vince, Apertura verso l’altro, rispetto e diritti, Inclusione e linguaggio, Inclusione e lavoro, Inclusione medico-paziente.
Il progetto "Ridefiniamo l’inclusione: parole e immagini per la Health Equity"
Il progetto, ideato da OMaR con il contributo non condizionante di Sobi, è stato patrocinato da AMARE Onlus - Associazione Malattie Rare Ematologiche, Fondazione Paracelso e La Lampada di Aladino ETS, e ha visto il coinvolgimento nelle fasi preliminari anche di AIPIT - Associazione Italiana Porpora Immune Trombocitopenica e AIEPN - Associazione Italiana Emoglobinuria Parossistica Notturna. Le patologie prese come “case-study” sono state emofilia, emoglobinuria parossistica notturna (EPN), trombocitopenia immune (ITP) e linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL).
Ad aiutare i pazienti a dare la propria interpretazione, con operazione maieutica, c'è stato lo psicologo e psicoterapeuta Jacopo Casiraghi, Coordinatore degli psicologi dei Centri Clinici NeMO. "In tutti i gruppi emerge il concetto di reciprocità dell’inclusione - ha spiegato - “includere” non è solo una responsabilità della società (o del gruppo) verso l’individuo ma anche viceversa: è l’individuo che trova il “coraggio” di raccontarsi nella speranza di essere ascoltato, capito e infine incluso nonostante la (o in ragione della) sua storia: “ci si viene incontro reciprocamente”. Per gli intervistati, inoltre, tutte persone con una storia passata (o contestuale) di malattia rara, l’inclusione parte dal momento della diagnosi, in cui le parole del medico, se sono pesate e corrette, permettono l’alleanza e la compliance alle cure (“se mi tratta come una persona e non come un paziente o un numero mi sento incluso”). A tal riguardo il tempo della comunicazione diagnostica efficace è un tempo di cura molto prezioso che richiede investimento e attenzione da parte dei curanti: “prima di parlare, però, bisogna conoscere la persona che hai davanti… non esiste un protocollo prestabilito. Devi usare parole diverse in base alla persona che ha davanti, per questo serve anche lo psicologo".
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Inclusione medico-paziente: un lavoro di squadra
Colpisce molto l'illustrazione dedicata all'inclusione medico-paziente, in cui l'artista Manuele Fior ha tracciato due figure che guardano in direzioni opposte ma si stringono le mani in un gesto contemporaneamente di collaborazione e difesa. "Il primo cerca con la sua competenza una cura - spiega l'artista - il secondo guarda un orizzonte di guarigione. Si tengono per mano, perché ogni processo di guarigione presuppone una vicinanza umana, essenziale nel percorso di inclusione. "Condividere con un professionista sanitario ’impatto della malattia sulla propria vita quotidiana è un atto di inclusione. Informare il medico consente di personalizzare le cure, riconoscendo al contempo il paziente come “persona”. In questo modo, si favorisce la nascita e il consolidamento di un’alleanza terapeutica", si legge.
La Health Equity dunque passa anche dal coraggio e dalla forza del paziente di mettersi a disposizione di un confronto con chi lo cura, di credere per primo che esista qualcuno disposto a provare a capire e a risolvere, anche se non può trovarsi nella stessa condizione. Un bellissimo spunto anche per i sanitari, che possono trarre da questa visione dei pazienti un grande approccio di vicinanza, solidarietà e collaborazione; che rafforza la squadra che deve sempre esistere per il successo dell'impresa.
Ministra Locatelli: "Valorizzare il vissuto di affronta una malattia rara"
La Ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, colpita dalle intenzioni del progetto, ha scritto: "Mettere al centro la persona, valorizzare i vissuti di chi affronta ogni giorno una malattia rara, dare voce ai bisogni e ai diritti delle famiglie, significa costruire insieme una società più consapevole, sensibile e giusta. L’unione tra parole e immagini, così come quella tra riflessione scientifica e linguaggio creativo, può contribuire ad aprire nuovi spazi di comprensione e rispetto".